The Patriot

Christian Pulisic ha solo 18 anni ma ha tutte le caratteristiche e la consapevolezza per diventare il più forte statunitense d'Europa.

Una ricerca su Youtube con la query “Pulisic” è un’esperienza comparativa, un confronto a salti che inquadra lo stesso protagonista su due livelli diversi, lontani tra loro. Gli highlights personali caratterizzati dal colore giallo, il giallo brillante della maglia del Borussia Dortmund, presentano un giocatore dalla grande tecnica individuale, bravo nell’uno contro uno e perfettamente a suo agio in un gruppo di alto livello, nei meccanismi di una squadra intensa, esteticamente gradevole. Poi ci sono i montaggi tratti dalle partite con la Nazionale, che sono un’altra cosa: mostrano un calciatore superiore, dominante in ogni zona del campo e in tutte le situazioni di gioco, elegante eppure sempre funzionale quando c’è da costruire la manovra, e rifinirla, e finalizzarla.

Entrambe le tipologie di racconto spiegano il significato di Christian Pulisic, diciottenne, per il calcio degli States. Definiscono la sua importanza, una dimensione quasi messianica per l’intero movimento. I record di precocità battuti – è il più giovane esordiente in una gara di qualificazioni mondiali e il più giovane marcatore assoluto nella storia della Nazionale Usa –, il paragone forse già limitante con Landon Donovan e una letteratura infinita sui siti americani che parlano di soccer sono solo una conseguenza di questa supremazia nel gioco. Quello di Pulisic è un primato tecnico mitopoietico, che alimenta suggestioni narrative. Un esempio: all’inizio di un video ritratto di Vice Sports, un giornalista parla guardando in camera mentre passeggia intorno al Signal Iduna Park, e definisce Pulisic come «The next big thing of Us soccer». È un titolo enorme eppure riduttivo, non basta a descrivere compiutamente l’impatto calcistico e persino culturale del fantasista nato ad Hershey, un luogo che sembra fatto apposta per la costruzione dei miti sportivi – Wilt Chamberlain, il 2 marzo 1961, ha stabilito all’Hershey Sports Arena il primato dei 100 punti in un match Nba. È molto più significativa la sequenza successiva del montaggio, un’intervista a un tifoso del Borussia Dortmund che scopre di non conoscere la nazionalità di Pulisic. Quando gli viene detto che è americano la sua espressione cambia, diventa incredula, quasi sconcertata.

Controllo di destro, finta di tiro, gol di sinistro. Semplice, no?

La crescita di Christian Pulisic ha un significato simbolico di rivincita per il calcio Usa, scottato dalla delusione per la traiettoria sbagliata di Freddy Adu. L’accostamento tra i due è inevitabile, scontato, ma già sbilanciato dai fatti e nei giudizi. Il 6 ottobre del 2016, dopo 757 minuti in 18 partite con il Borussia Dortmund, Mike Goodman già scrive su Espn: «Le doti tecniche e il percorso di formazione intrapreso permetteranno a Pulisic di non ripetere gli stessi errori commessi da Adu». Immaginare così l’esito finale di un calciatore tanto giovane vuol dire auspicare un cambiamento della percezione rispetto a tutto il movimento statunitense. Un turning point che in realtà si sta già verificando, perché Pulisic è riconosciuto come un probabile top player di domani: l’allenatore che l’ha lanciato, Thomas Tuchel, l’ha definito «un giocatore di ottima qualità, dotato di una grandissima cultura del lavoro»; So Foot l’ha presentato come «il primo americano che potrebbe avere un ruolo di primo piano nel football europeo». È il possibile prologo di una rivoluzione, il traino che gli Stati Uniti aspettano da sempre: Christian Pulisic è un wonderkid in grado di riscrivere le gerarchie storiche e geografiche del talento calcistico.
La predestinazione di Pulisic sembra essere confermata dai numeri e dall’esperienza del suo gioco: in 2060 minuti con il Borussia Dortmund – tra Bundesliga e Champions 2016/17 – ha segnato 4 gol e ha servito 8 assist e 26 key pass. Semplificando, Pulisic costruisce o concretizza un’occasione da gol ogni 54 minuti.

Il gol contro Trinidad, qualificazioni del Mondiale 2018

Compirà 19 anni a settembre, ma ha già il profilo statistico di un calciatore completo e disciplinato, che sa abbinare creatività e concretezza. Per sfruttare le sue doti nello spunto, Tuchel lo schiera come esterno offensivo, soprattutto a destra. Pulisic interpreta il ruolo in maniera coerente con i principi di gioco della squadra: il suo campo d’azione non si limita alla fascia, i movimenti senza palla creano linee di passaggio attraverso sovrapposizioni, interne ed esterne, e continui attacchi dello spazio; la conduzione del pallone è sempre orientata in avanti, Pulisic effettua la maggior parte dei tocchi e dei controlli col destro ma non esclude il rientro verso il centro del campo per generare superiorità numerica e poi utilizzare l’altro piede. La velocità di base e nel dribbling è eccezionale, ed è stata definita «una delle qualità principali di Pulisic» da Hannes Wolf, ex allenatore delle giovanili del Borussia Dortmund oggi alla guida dello Stoccarda.
Le premesse tecniche e narrative della carriera di Pulisic sono assolute, esattamente come le aspettative sul suo futuro. In un’intervista rilasciata l’estate scorsa, ha risposto così a una domanda che riguardava la sua condizione e conteneva il termine overhype: «Ho letto qualcosa, sono sui social, non posso far finta di niente. Ma non mi sento sotto pressione, per me è una motivazione in più. Il mio sogno è sempre stato diventare un professionista in Europa, voglio dimostrare che un americano può farcela». Riscrivere la storia, caricare sulla propria carriera la crescita e il futuro un intero movimento calcistico. È un destino, è il suo compito, e Christian Pulisic sembra essere pronto e soprattutto consapevole.

 

Articolo originariamente pubblicato sul numero 16 di Undici