Dove mettere Arek Milik?

Sarà un'altra stagione complicata per il centravanti polacco.

È l’ottantaseiesimo minuto della gara di andata del preliminare di Champions League tra Napoli e Nizza: con i partenopei saldamente avanti nel punteggio e in situazione di doppia superiorità numerica per le espulsioni di Koziello e Plea, Arkadiusz Milik, subentrato poco prima a Dries Mertens, spreca malamente il comodo pallone del 3-0 che avrebbe significato qualificazione blindata con 90 minuti di anticipo. Come se non bastasse, poi, nel post-gara il giocatore belga rincarerà la dose: «Capisco che Arek debba giocare, ma avrei potuto mettere ancora in difficoltà la difesa del Nizza. Erano molto stanchi, lasciavano spazi e avrei potuto approfittarne». Le difficoltà della seconda stagione italiana di Milik sono racchiuse in queste due istantanee. E poco cambia che il Napoli abbia comunque agevolmente ottenuto l’accesso alla fase a gironi o che, già la domenica successiva, il centravanti polacco trovi il gol all’esordio in campionato contro il Verona: la riconquista dei galloni della titolarità nel Napoli 3.0 di Maurizio Sarri non sarà facile. Non tanto per i postumi dell’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro rimediato lo scorso ottobre (era tornato in campo già il 19 febbraio, andando in rete due mesi dopo nella trasferta di Sassuolo), quanto, piuttosto, per il suo doversi adattare ad un sistema di gioco profondamente diverso da quello che lo aveva visto raccogliere con discreto successo (sette reti nelle prime nove partite stagionali) la pesante eredità di Higuain. Del resto, lo stesso Sarri è stato molto chiaro a giugno quando, tracciando un bilancio sul campionato appena concluso, ha commentato: «L’infortunio lo ha fermato rovinosamente, ci ha fatto cambiare, ci ha fatto scoprire le qualità di Dries e poi, nel tempo, ci ha spinto ad accelerare il rientro di Arkadiusz. Milik deve stare bene e noi abbiamo fatto poco per farlo stare benissimo perché abbiamo pensato che potesse guarire in tempo record».

Frammenti della prima stagione partenopea di Milik: un inizio folgorante stroncato dall’infortunio di inizio ottobre

La situazione assume i contorni del paradossale, soprattutto in relazione ai presupposti che hanno accompagnato i primi passi di Milik nel campionato italiano. Centravanti moderno, di grande intelligenza tattica e dalle potenzialità tecniche pressoché illimitate (pur con la pericolosa tendenza a sbagliare qualche gol di troppo), ha impiegato pochissimo tempo ad adattarsi al 4-3-3 sarriano, molto più lineare e organizzato rispetto all’anarchia armonica dell’Ajax di De Boer: anzi il suo vasto repertorio di movimenti senza palla gli ha permesso di trovare fin da subito una naturale intesa con i compagni di reparto, rendendo lo sviluppo della manovra del Napoli molto più fluido rispetto a quanto era accaduto nella stagione del record di Higuaín. In assenza di un accentratore di gioco così totalizzante, gli azzurri hanno immediatamente variato i set offensivi guadagnandone in imprevedibilità, con Milik ago della bilancia nell’attacco dell’ultimo terzo di campo (andando incontro ai centrocampisti per aprirgli un comodo corridoio verticale da attaccare, muovendosi in profondità alle spalle della linea difensiva avversaria e, in situazioni di difesa schierata, favorendo il movimento ad accentrarsi dei due esterni alti) e particolarmente a suo agio anche in fase di finalizzazione (precisione di tiro di poco superiore all’80% e un tasso di conversione non molto distante da quello dell’ultima stagione olandese, quando rivaleggiava a distanza con gente del calibro di Harry Kane e Diego Costa). L’infortunio al ginocchio durante la gara contro la Danimarca ha però rallentato un processo di inserimento destinato a completarsi di lì a breve e costretto Sarri a sperimentare Mertens falso nueve: venendo ripagato da una stagione da 34 reti in 46 gare complessive.

Il gol contro la Roma di Dries Mertens

Di colpo, il Napoli si trasforma in una squadra in cui il centravanti non è più identificato in una persona fisica me nel concetto di spazio da attaccare muovendo la difesa avversaria attraverso il possesso palla. In tal senso un giocatore abile nello stretto e a crearsi da solo lo spazio per il tiro come il belga, si è dimostrato la miglior soluzione possibile al sopravvenuto problema del mantenimento dell’imprevedibilità: i movimenti da punta centrale atipica sono stati implementati senza particolari difficoltà, in un collettivo ormai settato per assecondarne fisicità e letture all’interno dei singoli momenti della partita. Con l’allenatore stesso che non ha avuto problemi nel derogare dalle sue convinzioni iniziali, anche quando il polacco è tornato pienamente arruolabile a inizio ritiro: «Sarebbe difficile dire ad un ragazzo che ha fatto 36 goal in otto mesi che non è un centravanti e farlo tornare a fare l’esterno. Di sicuro lo farà qualche volta, è un ragazzo disponibile, certo non gradirebbe tornare a farlo con continuità. E avrebbe ragione, avendo dimostrato di essere più forte da centravanti che da esterno». Una dichiarazione che riassume l’essenza della questione: il Napoli si è trasformato da squadra che non poteva fare a meno di Milik a squadra che ricorrerà a Milik in determinate circostanze, alternando la variante del sistema “originale” (che prevede l’utilizzo di un riferimento fisso in avanti) con quella delle tre punte di movimento a scambiarsi ruoli e posizioni nel tridente.

Che l’approccio offensivo del Napoli, pur in presenza di principi di base consolidati e pur essendo sia Milik che Mertens due giocatori fortemente associativi, cambi in relazione alla presenza dell’uno o dell’altro al centro dell’attacco è evidente. E la conferma è arrivata proprio in queste prime uscite stagionali: con Mertens, giocatore che per caratteristiche punta sempre la porta cercando arrivare alla conclusione il più velocemente possibile, la manovra azzurra è molto più verticale, rapida ed imprevedibile, con la squadra molto più corta sul campo e in grado di accompagnare armonicamente l’azione; Milik, di contro, è un giocatore più statico, che partecipa al gioco attraverso le sponde e i già menzionati movimenti senza palla e maggiormente portato a occupare fisicamente l’area di rigore, offrendo agli esterni una soluzione in più in fase di chiusura sui cross tanto sul primo quanto sul secondo palo (con il belga, invece, gli esterni tendono ad effettuare traversoni radenti attaccando il fondo fino all’ultimo metro disponibile). Il concetto dello spazio da occupare in relazione allo spostamento della linea difensiva è lo stesso: a cambiare è il modo in cui viene applicato relativamente alle caratteristiche dell’avversario di giornata.

Le heatmap di Mertens nella gara contro il l’Atalanta (a sinistra) e di Milik in quella contro il Verona (a destra) mostrano il diverso modo di essere centravanti di manovra nel Napoli di Sarri: più statico e tendente al gioco di sponda per l’inserimento della mezzala il polacco, maggiormente portato alla ricerca della verticalità lungo tutto il fronte offensivo il belga

Il nodo da sciogliere, posta l’attuale incompatibilità tra i due e l’inapplicabilità di un modulo a due punte (nonostante Sarri non abbia voluto aprioristicamente escludere la possibilità di un impiego contestuale dei due), è quindi legato all’identità che l’allenatore intende dare alla sua squadra. Ed è da questo punto di vista che Milik sembra destinato, almeno per il momento, a un ruolo da “supersub”: il Napoli attuale con Mertens ha trovato il terminale ideale (anche in virtù di un maggior range in fase di conclusione) per massimizzare gli effetti del volume di un gioco espresso ad un ritmo che l’ex Ajax non sembra ancora in grado di sostenere.  E per quanto la visione di riserva di lusso da impiegare durante quelle partite in cui il meccanismo non gira alla perfezione rischi di essere notevolmente superficiale e sottostimante delle effettive qualità di Milik, è difficile immaginarlo nuovamente titolare  in tempi brevi in questo Napoli.

Il tutto nell’attesa di capire come evolverà, a livello di interpreti, il progetto tecnico azzurro nel futuro a medio-lungo termine: l’impressione è quella di volersi le proprie possibilità di vittoria consolidando i principi della passata stagione (come testimoniato da un mercato fortemente conservativo), per poi voltare nuovamente pagina. E a quel punto Milik, per importanza dell’investimento e margini di crescita, dovrà necessariamente tornare il protagonista principale:«La seconda parte della stagione non è stata una delusione totale ma di sicuro la più dura», ha ammesso qualche mese fa, «perché non è semplice rientrare dopo un infortunio come il mio in una delle squadre migliori d’Europa. Mertens ha lottato fino all’ultimo per il titolo di capocannoniere, ragion per cui l’allenatore ha avuto difficoltà a cambiare, ma la mia storia deve essere ancora scritta».

 

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