Tre cose sulla quinta giornata di Serie A

Due attaccanti che segnano tantissimo e due squadre sorprendenti e molto solide.

Mertens è pazzo

Deve essere strano quello che succede nella testa di Dries Mertens: arrivato in un grande campionato per la prima volta a 27 anni circa, per tre stagioni si “accontenta” di essere un buon attaccante, o esterno offensivo, e di segnare qualche gol senza dare mai l’impressione di poter essere un titolare inamovibile. Arrivava da 45 gol in due stagioni a Eindhoven, ma dopo tre anni a Napoli ne ha segnati 34. Non poco, ma un risultato tutto sommato normale. Oggi non c’è nulla di normale in Dries Mertens, e il processo di trasformazione è iniziato lo scorso anno: Mertens ha scoperto una nuova droga – segnare, ancora, di più – e non riesce a farne a meno. Anche il modo cha ha di giocare da quando è attaccante centrale sembra piegato a una dipendenza, a un bisogno fisico di tirare in porta: punta sempre lì, in verticale, come una calamita. Tra le cose che quest’anno abbiamo visto: contro il Bologna si avventa su Pulgar come un astore su un colombo; contro l’Atalanta, prima che Allan riesca a servire Insigne e Insigne la appoggi per lui, aveva tentato di passare attraverso Palomino con un tunnel per trovarsi davanti a Berisha; con il Benevento ha voluto tirare entrambi i rigori; e con la Lazio, nonostante l’uscita di Strakosha che allontana il pallone fuori dall’area, insegue la sfera senza alzare gli occhi, senza guardarsi intorno per avversari o compagni, e inventa il gol che vedremo sempre, nel ricordo di questa Serie A appena iniziata. Mertens è un attaccante sanguinario, un monomaniaco del gol, e con Maradona, naturalmente, non c’entra niente.

Perché?

La costanza di Edin Dzeko

Con le due reti di ieri al Benevento, che sarebbero potute essere tre o quattro senza le chiusura suicida di Lucioni, Edin Dzeko ha segnato contro 23 delle 24 squadre affrontate – solo il Frosinone, nella stagione 2015/16, si è salvato dalle realizzazioni del centravanti giallorosso. Senza i gol su calcio di rigore sarebbe davanti a Icardi e Immobile. L’attaccante della stagione 2015/16 sembra una lontana imitazione del giocatore che stiamo ammirando da un anno e mezzo. Se la prima delle due reti segnate contro il Benevento è un comodo tap-in su assist di Kolarov, la seconda realizzazione è frutto di un ottimo recupero alto del pallone da parte di Perotti, con il bosniaco bravo a mirare il palo lontano e metterla a giro bassa con il piede sinistro. A oggi Dzeko è il giocatore che tira di più in tutta la Serie A: 7 di media a partita, e 21 gol nelle ultime 21 presenze in campionato, con 7 assist in aggiunta. Dopo una settimana in cui le dichiarazioni sulla mancanza dell’ex-compagno Salah hanno fatto più rumore delle sue buone prestazioni, Edin ha pensato che 4 gol in 4 partite potessero rappresentare un buon modo per scacciare via ogni tipo di dubbio.

Con tutto il tempo di prendere la mira, e sono 5 gol in 4 partite

L’ascesa della middle class italiana

Dopo cinque giornate di Serie A ci sono ancora cinque squadre imbattute, e non è così facile individuarle tutte. Tra loro, per esempio, non c’è il Milan, e nemmeno le due romane: ci sono quelle che formano il terzetto di testa, cioè Napoli, Juventus e Inter, ma anche due insospettabili come Torino e Sampdoria. Un avvio di stagione incoraggiante per le due squadre che conferma quanto di buono società e allenatori stanno facendo: sono due realtà che rappresentano la middle class italiana, e dalla loro crescita (sportiva, economica) passa la crescita di tutto un movimento. In soldoni: più Torino e Samp ci sono, più si eleva il livello di competitività del campionato — oltre che delle italiane in Europa. Nella giornata di ieri i granata hanno vinto in trasferta contro l’Udinese per 3-2: tanto il numero dei gol realizzati (su quelli subiti, Mihajlovic sarà meno contento) quanto il fatto che si sia trattato della seconda vittoria esterna di fila confermano come la maggior propensione offensiva — con il Toro che schiera quattro uomini offensivi contemporaneamente — sia una condizione irrinunciabile per perseguire obiettivi più alti (i granata ora sono quinti, a due punti dal terzo posto e a uno dal quarto). Così come la Samp, che già lo scorso anno ha mostrato momenti di ottimo calcio, che fa vedere quanto l’idea di gioco a questi livelli conti più dei nomi (il pericolo collasso per una squadra che in un colpo solo perde due giocatori come Muriel e Schick è altissimo). Infine, la solidità passa da una squadra non con undici titolari, ma con quattordici o sedici: ieri il Toro per esempio aveva in panchina gente come Berenguer o De Silvestri, mentre la Samp ha cambiato passo a Verona, sfiorando il successo, quando ha potuto contare sulle energie fresche di Gastón Ramírez e Duván Zapata.

Osservare quanti uomini porta il Torino nell’area avversaria (sul risultato di 2-1 in favore)

 

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