È difficile capire Zaza

L'inaspettata rinascita valenciana dell'attaccante italiano ripropone la domanda: è un grande giocatore oppure no?

Non è semplice collocare Simone Zaza su una mappa del talento calcistico, e in realtà non lo è mai stato. La storia del 26enne attaccante del Valencia è un rollercoaster delle esagerazioni, è stata – ed è – un’oscillazione continua tra esaltazione e delusione. Nel dicembre 2014, durante la sua seconda stagione al Sassuolo, FourFourTwo lo definiva «uno dei più promettenti giocatori della Serie A»; due anni e mezzo dopo, eccolo nella lista dei peggiori calciatori della Premier League 2016/17 stilata dal Guardian – che utilizza il superlativo assoluto “floppiest” per raccontare la sua avventura di sei mesi al West Ham. Nel mezzo, Zaza ha realizzato il gol scudetto in Juventus-Napoli 1-0 ed è diventato un vero e proprio antieroe di internet, calciando malissimo un rigore abbastanza importante durante la sfida tra Germania e Italia a Euro 2016. I meme che si ispirano alla sua particolare rincorsa sono stati un cult della crudeltà dei social network applicata al racconto calcistico.

Sembra che Zaza faccia davvero fatica a costruire o anche solo a individuare una sua normalità. È una condizione narrativa, non solo tecnica, e pare quasi inevitabile: c’è l’esempio recente della prima tripletta in carriera – realizzata al Mestalla contro il Málaga, martedì scorso – arrivata in soli otto minuti di gioco, ma anche tre giorni dopo una piccola crisi nel rapporto con Marcelino. In occasione del derby valenciano contro il Levante, il tecnico l’ha richiamato pubblicamente per la prestazione negativa e per l’insofferenza all’iniziale panchina. Nell’intervista presa sul campo dopo l’hat-trick contro gli andalusi, Zaza dà l’impressione di aver superato il brutto momento, di essere rilassato e soddisfatto, chiarisce che non ha nulla contro i compagni, l’allenatore, i tifosi. Sembra realmente sincero quando spiega che il suo desiderio è rimanere a Valencia, e quando dice «io voglio solo stare tranquillo». Effettivamente, nei suoi periodi felici o quantomeno sereni – ad esempio alcuni tratti della sua esperienza con il Sassuolo – Simone Zaza ha mostrato doti decisamente sopra la media come cacciatore di gol. Le pressioni e l’importanza del contesto, però, servono a comprendere e quantificare le differenze, costruiscono perché definiscono la dimensione di un calciatore. Il punto è proprio questo: Zaza è un rebus, siamo ancora tutti indecisi sulla sua categorizzazione, sulla sua licenza di grande giocatore, sul suo percorso di maturazione. Nonostante i 26 anni compiuti da tre mesi, che invitano a dare una risposta definitiva.

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Perché Zaza è un grande giocatore

In linea teorica, la somma delle qualità tecniche e fisiche di Simone Zaza sarebbe interessante per tutti gli allenatori del mondo. La sua struttura (186 cm per 83 kg) gli permette di giocare come punta unica e di riferimento, tuttavia non pregiudica la capacità di corsa, sul lungo come sul breve. Inoltre è un calciatore generoso, nel senso della partecipazione alla fase difensiva: le sue rincorse per aiutare i compagni nel recupero palla o per guidare il pressing alto sono proverbiali, sono una sorta di biglietto da visita personalizzato, e lo rendono potenzialmente perfetto anche in un reparto a due punte – non è un caso che, durante la prima parte della sua avventura in Nazionale, Antonio Conte abbia puntato sulla coppia dinamica Zaza-Immobile. In questo contesto di completezza concettuale, la dote migliore di Zaza resta la velocità di pensiero e coordinazione nel momento della conclusione verso la porta.

Il gol contro il Real Madrid del febbraio 2017 è un’illustrazione delle possibilità di Zaza, dentro c’è tutto quello che un centravanti puro deve essere e saper fare: l’attacco dello spazio per intercettare e giocare il passaggio laterale, lo stop orientato, la difesa della palla, la costruzione mentale e poi fisica di un tiro difficile, in equilibrio precario. L’azione, poi, è concentrata in un tempo ridotto, talmente breve che Varane – un centrale decisamente più rapido rispetto alla media – non ha neanche il tempo di abbozzare la chiusura.

22/2/2017:, il secondo gol dell’esperienza di Zaza al Valencia, contro un avversario discretamente forte

Questo tipo di reti, conclusioni di grande qualità e impatto estetico in situazioni di gioco dinamiche, scomode, multiformi, sono frequenti nella carriera di Zaza: il suo secondo gol in Serie A, realizzato a Napoli, nasce da un inserimento nella parte sinistra dell’area di rigore, e si concretizza in un tiro mancino scoccato con un’angolazione quasi innaturale. La traiettoria diagonale che viene fuori è fortissima, difficile anche solo da immaginare, si insacca sotto la traversa, e anche in quel caso Paolo Cannavaro non ha la possibilità temporale di intervenire per bloccare la giocata di Zaza. È una questione di velocità di esecuzione, capacità coordinativa, qualità del tiro, e lo vedi nelle reti realizzate al volo, sempre di sinistro, contro CagliariMilan – stagione 2014/15. Anche le statistiche confermano la sensazione secondo cui Zaza, nella sua versione migliore, possiede una predisposizione naturale a inquadrare la porta: la percentuale di precisione al tiro in questo inizio di stagione tocca il 60%, una quota simile a quelle raggiunte nell’ultima annata a Sassuolo (58%) e nella sua esperienza a Torino (57%).

Quel gol contro il Napoli

Il gioco di Zaza in fase di possesso palla è immediato, impulsivo, è costruito su pochi palloni giocati (media di 22 per match nel campionato in corso) e sull’obiettivo primario di finalizzare l’azione al più presto. Un profilo che si adatta perfettamente a una squadra verticale, rapida, concepita per colpire attraverso le transizioni. Come il Valencia di Marcelino, 14esimo per possesso palla medio nella Liga eppure quarto per numero di conclusioni a partita; come la Nazionale di Ventura, che pratica un calcio di ribaltamento, fondato su immediati capovolgimenti del fronte offensivo (anche se Zaza è fuori dalle convocazioni da novembre 2016). Questa aderenza a un certo set di principi tattici, però, può rappresentare anche un limite, soprattutto in un momento in cui l’evoluzione del gioco sembra voler riscrivere la figura del centravanti, trasformandolo in un calciatore associativo, protagonista anche nella fase di costruzione della manovra.

Perché Zaza non è un grande giocatore

Per riassumere concetti e significati del calcio di Zaza in un solo termine, istintivo risulterebbe probabilmente come quello più appropriato. In una squadra dominante e dall’impostazione tattica fondata sul gioco di possesso e di posizione, Zaza risulterebbe una specie di organismo esterno, di cellula anarchica: il suo impulso naturale  per l’attacco verticale dello spazio e per la ricerca della conclusione limita al minimo la sua presenza nella manovra. Anche in un sistema corale e organico come quello che Di Francesco ha implementato al Sassuolo, il contributo dell’attaccante lucano alla fase di costruzione dell’azione era davvero ridotto: in 31 apparizioni della stagione 2014/15 (2.588 minuti giocati), appena 14 occasioni create – 2 assist vincenti e 12 passaggi chiave.

Zaza non è un attaccante modernamente associativo, e questa è una condizione difficile da modificare perché discende direttamente dalle sue caratteristiche. È un discorso di difficile adattabilità a contesti diversi, magari regolati da principi di gioco non propriamente adatti alle sue caratteristiche. In pratica, quello che è successo alla Juventus: Allegri gli ha sempre preferito uomini offensivi più partecipativi, dal profilo più moderno (Dybala, Mandzukic, Morata). Parliamo inoltre di calciatori con un valore assoluto superiore. Proprio da qui nasce l’altro dibattito in merito alla figura e alla consistenza di Zaza, quello dell’adattabilità mentale a un contesto di altissimo livello. Al termine della sua stagione in bianconero, il tecnico livornese spiega che Zaza «ha dovuto far fronte a una grande lotta interna con altre grandi attaccanti, per stare in club così importanti bisogna essere competitivi». Una stoccata al suo atteggiamento in relazione alla concorrenza, alla sua risposta emotiva rispetto a un ruolo laterale, ma anche a precise responsabilità. È lo stesso Simone, parlando dell’esperienza al West Ham, a confermare questa sua fragilità nei momenti di grande pressione: «Non sono stato in grado di abituarmi al nuovo calcio, alla nuova alimentazione, alla nuova cultura. Al 99% è stata colpa mia, a Londra ho pensato troppo. E questo atteggiamento personale ha finito per essere controproducente».

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La heatmap della partita di Zaza contro il Málaga: 35 palloni giocati (quota più bassa tra gli undici titolari del Valencia), di cui 6 conclusioni verso la porta

La narrativa di Zaza, quella del campo e quella psicologica, finisce per chiudersi in un percorso circolare, fondato sulla ricerca della normalità. Per rendere al meglio, il centravanti lucano sembra aver bisogno di un vero e proprio tetris di situazioni favorevoli: una squadra che mastichi il suo calcio o comunque ne assecondi le peculiarità; la fiducia del tecnico e dell’ambiente; un periodo di istintività positiva, di buona condizione fisica e mentale. Un ordine delle cose difficile da costruire, soprattutto ad altissima quota.

In realtà Zaza sembra rincorrere questo orizzonte da sempre. In un’intervista alla Rai a marzo 2015, spiega: «Voglio arrivare in una grande squadra, ma prima devo solo rilassarmi e stare tranquillo, per capire che giocatore sono e in cosa posso ancora migliorare». Evidentemente, Simone ha bisogno di questo, proprio e ancora di questo, per esprimersi in maniera compiuta, definitiva. Valencia è una potenziale tappa intermedia per una nuova rincorsa verso l’alto – gli 11 gol segnati in 26 partite, 4 nelle ultime uscite contro Málaga e Real Sociedad, sono una buona premessa –, ma l’avventura potrebbe anche finire male. A quel punto, la certificazione di una qualità complessiva limitata, che non può andare oltre certi palcoscenici, sarebbe automatica, e inevitabile. A 26 anni, e con un Mondiale alle porte, Zaza ha un’occasione importante, forse decisiva, per determinare finalmente la sua stabilità, per scoprire finalmente qual è la sua reale dimensione.

 

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