I rischi della rivoluzione di Sampaoli

L'Albiceleste sta cambiando con l'ex Siviglia e Cile in uno dei momenti più delicati della sua storia.

Si fa un po’ fatica a credere che Jorge Luis Sampaoli Moya, 57enne santafesino, ex calciatore, giocatore di tennis e giudice di pace, sia il Commissario Tecnico dell’Agentina da soli 125 giorni. La quantità di informazioni e narrazioni sulla sua avventura come allenatore della Selección è vastissima, tanto che sono bastate le prime due partite di giugno, amichevoli contro Singapore e Brasile, per parlare già di rivoluzione, oppure per individuare le sei chiavi concettuali del suo calcio, dell’Argentina che sarà. Questo tipo di clamore è una conseguenza inevitabile quando i riferimenti e i racconti e le esperienze di una carriera, neanche troppo longeva ad altissimi livelli, trasformano un tecnico dalle idee affascinanti in una specie di sciamano del gioco. Allo stesso modo, diventa una condizione quasi necessaria se la conferenza stampa di presentazione si fonda su espressioni e concetti forti, di appartenenza e cambiamento – come: «Il mio progetto riguarda 40 milioni di argentini», oppure: «Sono qui perché le critiche diventino complimenti, questa squadra avrà un’anima e un Messi felice».

Questa notte l’Argentina sfida il Perù in un vero e proprio spareggio che vale il pass per il Mondiale del 2018. A fare da teatro alla partita, il profilo architettonico spezzato e l’atmosfera catatonica della Bombonera, lo stadio del Boca e della Boca. È stata una scelta ponderata, solitamente la Selección gioca le partite più importanti al Monumental, la casa del River, ma per questa occasione particolare la preferenza è ricaduta su un impianto più caldo, con il pubblico a un passo dal campo. Probabilmente non potrebbe esserci momento migliore, perché più suggestivo, ricco di attese e significati, per capire come e dove sta andando davvero l’Argentina di Sampaoli. Per capire se possa essere davvero arrivato il momento di una revolución totale, reale, non solo potenziale.

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Gli uomini

La cronologia di tutti gli articoli de El Gráfico con tag Jorge Sampaoli – dopo la nomina come commissario tecnico – disegna un vero e proprio tour mondiale della riunione tecnica. Tra giugno e settembre, il nuovo selezionatore della Selección ha incontrato moltissimi calciatori argentini per mettere a punto il suo progetto, attraverso la didattica video e l’interazione con il suo assistente Sebastián Beccacece – 37enne che lo segue fin dal 2002, ai tempi dell’esperienza allo Sport Boys di Callao, Perù. Il risultato di questi casting è una lista rivoluzionata rispetto all’ultima convocadoria di Bauza: dei 26 calciatori selezionati dall’ex ct per le partite di fine marzo contro Cile e Bolivia, solo la metà è stata confermata da Sampaoli.

Le modifiche partono dalla difesa: Mascherano, Mercado e Otamendi sono gli unici superstiti, a loro si sono aggiunti Fazio, Mammana e Pezzella. L’orientamento di Sampaoli per il reparto arretrato è abbastanza chiaro: si parte da Mascherano e Fazio, difensori di concetto in grado di comandare il reparto a tre ma anche di coesistere (contro l’Uruguay, a settembre, El Jefecito ha giocato a destra con il romanista perno centrale); accanto a loro, una batteria di marcatori agili e rapidi nelle chiusure, dotati anche della resistenza necessaria per sostenere i ritmi altissimi del pressing sampaolista. La scelta è ricaduta su Mercado, Otamendi, Mammana e Pezzella, giocatori che offrono buone garanzie anche per la costruzione bassa, un altro concetto chiave nel calcio di Sampaoli (nell’ultima stagione, tutti sono andati oltre il 75% di precisione nei passaggi).

Grandi cambiamenti anche nel reparto centrocampisti ed esterni: rispetto all’ultima lista di Bauza, Sampaoli ha inserito Leandro Paredes, Fernando Gago, Papu Gómez, Toto Salvio, Rigoni, Pablo Pérez e Milton Casco. Si tratta di giocatori aderenti al calcio del nuovo ct, che predilige un centrocampo composito, di filtro ragionato al centro e di fantasia e dinamismo illuminato sulle fasce. Vanno lette in questo senso le convocazioni di Paredes, Gago e Pablo Pérez, che si giocheranno con tre dei sopravvissuti di Bauza (Biglia, Banega ed Enzo Pérez) le due caselle di interni del probabile doble pivote. Importante sottolineare l’assenza, nella convocadoria per Perù ed Ecuador, di Guido Pizarro, titolare contro Uruguay e Venezuela e indisponibile per affaticamento muscolare.

Argentina-Venezuela, Ángel Di María in versione esterno completo

Una parte suggestiva della rivoluzione di Sampaoli si sta realizzando sulle fasce: contro Venezuela e Uruguay, il ct ha allestito il primo tentativo di conversione di Ángel Di María in esterno di centrocampo puro, con compiti misti lungo tutta la corsia mancina. Si tratta di una dinamica ricorrente nella carriera dell’ex ct del Cile: i suoi adattamenti dei calciatori alle esigenze del sistema sono proverbiali, fanno parte del suo bagaglio di esperimenti tattici ma anche di quella retorica mitopoietica del sacrificio che avvolge da lo accompagna. Non a caso, sull’out destro, Sampaoli ha utilizzato finora Papu Gómez, Marcos Acuña dello Sporting Lisbona e Lautaro Acosta del Lanús. Ovvero uomini offensivi adattati, fantasisti per vocazione, laterali moderni di mestiere ed esterni a tutto campo per assecondare le richieste del ct.

Dal punto di vista dell’impatto mediatico, il reparto d’attacco è il quartier generale ideale da cui Sampaoli ha deciso di far partire la sua rivoluzione. I nomi del grande cambiamento sono tre: Dybala, Icardi e Higuaín. I primi due rappresentano il grande breaking point rispetto all’era Bauza, anche perché finora Sampaoli non si è limitato solo a convocarli, ma ha costruito su di loro e su Lionel Messi la prima linea della sua Argentina. Higuaín è invece il grande escluso, la scelta di rottura che però non scontenta il pubblico (il Pipita, in Argentina, non gode di una fama molto positiva).

I 21 gol di Dario Benedetto nell’ultima stagione al Boca

Il ct ha spiegato indirettamente questa sua decisione in occasione del match contro l’Uruguay, parlando della convocazione di Icardi e adducendo motivazioni tattiche, di sistema, di aderenza a un certo tipo di gioco: «Mauro è l’attaccante del quale abbiamo bisogno, oggi ci serve una punta che sappia giocare di sponda e attacchi la profondità, non solo un goleador». Accanto al capitano dell’Inter e alla Joya, Sampaoli ha convocato Agüero per le prime due partite; oggi il centravanti del City è indisponibile per infortunio, il suo slot è stato occupato da Darío Benedetto, delantero del Boca che ha un soprannome beffardo (El Pipa). Si tratta di un calciatore in piena fase ascendente, capocannoniere dell’ultimo torneo argentino – 21 gol in 24 partite – con un’ampia varietà di soluzioni sotto porta e un ottimo controllo di palla e dello spazio. Sampaoli aveva già chiamato Benedetto per i due impegni precedenti, l’ha fatto esordire contro il Venezuela (è entrato al posto di Dybala) e qualcuno pensa che questa sera possa essere proprio lui il nueve albiceleste. Anzi, un sondaggio popolare di Diario Olé lo elegge centravanti titolare senza discussioni, tre argentini su quattro vogliono lui in campo piuttosto che Icardi.

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La tattica

L’essenza della revolución sampaolista si legge nei significati delle scelte d’organico: l’Argentina che ha in mente l’ex tecnico del Siviglia è una squadra in senso assoluto, che possa superare il concetto di selezione e che giochi secondo principi fissi, riconoscibili. Una riedizione del Cile della Generación Dorada, ovvero un gruppo permanente, poco alterabile, che possa riprodurre sul campo le idee del tecnico, che lavori in funzione di schemi mentali, prima che tattici, pienamente metabolizzati.

Fin dalla prima amichevole contro Singapore, i giocatori della Selección hanno in qualche modo cercato di comprendere e mettere in pratica i concetti alla base del fútbol secondo Sampaoli: in fase di non possesso, le chiavi sono l’aggressività nel tentativo di recupero, la compattezza tra le linee e il posizionamento alto della linea difensiva; per quanto riguarda la manovra offensiva, la nozione di riferimento è la ricerca della superiorità posizionale in ogni momento del possesso palla, dalla costruzione bassa dei tre difensori fino alla fase creativa nella trequarti avversaria. La centralità di Lionel Messi nel sistema pensato da Sampaoli è assoluta: fin dai primi scambi tra i difensori, che permettono all’Argentina di risalire armonicamente il campo, il fuoriclasse del Barça si propone come prima fonte di gioco. Messi retrocede, si muove tra i reparti, offre un’alternativa al servizio sul doble pivote attirando su di sé il pressing avversario. In questo modo, si concretizza il concetto di superiorità posizionale: i tanti uomini che Sampaoli vuole oltre la linea della palla possono smarcarsi negli spazi di mezzo, oppure sul lato debole. Non è un problema, per Messi, trovare il corridoio di passaggio perfetto.

Messi è in posizione di terzino destro quando riceve palla da Mascherano; lo scambio ripetuto con Dybala attrae la densità del Venezuela, sulla sinistra Di María attacca lo spazio e viene servito in maniera magistrale dalla Pulga.

Ovviamente, questi meccanismi offensivi e altamente sincronizzati necessitano di un periodo di apprendimento che sbatte sul carattere episodico del lavoro da selezionatore. Uno dei problemi da risolvere riguarda la collocazione di Dybala. Il set di compiti e movimenti costruito da Allegri intorno alle caratteristiche di Paulo è simile a quello di Messi nella Selección. Dybala, con l’Argentina, cerca di diversificare il suo gioco ma finisce spesso per rimanere lontano dal vivo dell’azione, bloccato tra le linee avversarie senza avere la possibilità di muoversi negli spazi che preferisce – il rischio sarebbe quello di calpestare i piedi a Messi. Non è un caso che la splendida azione del video appena sopra nasca da una situazione in cui i due fantasisti riescono a muovere velocemente il pallone con uno scambio ripetuto.

L’altra grande incertezza riguarda la tenuta difensiva, o meglio il sostegno concettuale e fisico dei tre centrali alla fase di riconquista del pallone, che avviene sempre in zone avanzate di campo. L’idea sarebbe quella di tenere sempre corti i reparti per velocizzare il più possibile il recupero del possesso, ma per assecondare questo concetto è necessario avere difensori rapidi, in grado di attaccare subito la transizione oppure di scappare all’indietro in tempi brevissimi, in modo da non soffrire situazioni di inferiorità numerica quando gli avversari riescono a ripartire. Da uno scompenso di questo tipo nasce la rete del Venezuela, con Mascherano, Fazio e Otamendi che sono supportati dal solo Pizarro (gli altri sono tutti oltre la linea della palla) e non riescono a contenere un contropiede rapido della Vinotinto

Gli esterni sono altissimi, i tre centrali difensivi, sulla linea di centrocampo, non sono immediati nella prima chiusura e poi non riescono a scappare all’indietro. Il solo Guido Pizarro prova a supportare i compagni, ma la transizione del Venezuela è troppo rapida

Il sistema di Sampaoli è impegnativo, richiede un lavoro sul campo articolato e complesso. È potenzialmente perfetto per una squadra di club, che offre i margini temporali per lo studio, gli esperimenti, le eventuali correzioni. Certo, esistono dei casi in cui modelli tattici complessi portano una rappresentativa a grandi risultati – si pensi al piano pluriennale e in continuo rinnovamento di Joachim Löw o all’esperienza cilena dello stesso Sampaoli. Si tratta però di situazioni estreme o comunque particolari, caratterizzate da una didattica imposta e da una cultura comune del gioco (in Germania) o da un background similare, già assorbito da un’intera generazione di calciatori (in Cile, grazie al lavoro preparatorio di Bielsa).

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La percezione

L’Argentina è una rappresentativa che vive una profonda crisi dirigenziale, di identità calcistica, e che pure ha l’urgenza della necessità. A oggi non è qualificata al Mondiale di Russia, ma solo al playoff intercontinentale, e un progetto così particolareggiato come quello di Sampaoli potrebbe contribuire ad alimentare il caos. In questo senso, è interessante la lettura di Espnfc: «Lo stile ad alto rischio dell’ex tecnico del Siviglia si scontra con la natura stessa del lavoro di selezionatore, che non facilita cambiamenti radicali e deve far fronte all’ansia e all’obbligatorietà dei risultati. Inoltre, l’approccio iper-nervoso e il fortissimo temperamento di Sampaoli, in un momento come quello che sta vivendo la Selección, potrebbero anche essere controproducenti: quando le grandi squadre vanno in difficoltà, devono fare i conti con la paura di non essere all’altezza della propria storia. Qualsiasi pressione aggiuntiva può diventare un ulteriore deterrente alle prestazioni in campo».

La grande trasformazione pensata da Sampaoli e auspicata dai narratori del calcio argentino è ancora in bilico tra utopia e realtà, tra idealismo e concretezza. Questa notte ci sarà una verifica decisiva per la consistenza di un progetto ambizioso, temerario. Un progetto che, attraverso suggestioni tattiche e narrative, punta a costruire una dimensione vincente per una squadra e una generazione di talenti che hanno già sprecato troppo tempo, alla ricerca dell’uomo e del momento giusto per cancellare i propri fantasmi. Per dirla con un termine, all’Argentina occorre decisamente una revolución. In quest’ottica, è difficile trovare qualcosa di meglio del tentativo di Jorge Luis Sampaoli Moya.

 

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