Fermare Kane è impossibile

Un gol ogni 71 minuti in questo inizio di stagione, nessuno come lui: da dove arrivano le portentose abilità del centravanti inglese.

Nel novembre del 2014, commentando l’inserimento di Harry Kane al quarantaquattresimo posto della lista stilata da Don Balón sui giocatori più promettenti nati dopo il 1 gennaio 1993, il contributor di 101greatgoals.com James McGlade scrive: «Continua a crescere l’interesse per la convocazione di Harry Kane, visto che il suo grande inizio di stagione con gli Spurs non mostra segni di rallentamento. Kane ha segnato una rapida doppietta per l’Inghilterra Under 21 nell’amichevole contro la Francia. Anche se gli avversari hanno poi rimontato, Kane ha continuato a seminare il panico. Il primo gol, in particolare, è stato molto bello da vedere, per il modo con cui ha sfruttato l’assist e battuto il portiere francese Areola, prima di completare l’opera con un facile tap-in. Ad oggi ha già segnato 15 gol in 14 partite tra club e Nazionale». 

Due settimane prima, inoltre, in una partita contro l’Aston Villa che si era fatta improvvisamente complicata (e con il Tottenham impantanato nei bassifondi della classifica di Premier League), Kane aveva realizzato allo scadere quello che Mauricio Pochettino ha definito «il gol che ha salvato me dal licenziamento e che ha trasformato lui nel giocatore modello degli Spurs. Se volessi potrei trovarvi tante altre reti che hanno significato qualcosa in relazione ad un particolare periodo della mia carriera, ma quella per me è stata fantastica perché ha dato a tutti noi la possibilità di essere al punto in cui siamo oggi».

Più che un gol una sliding door

A tre anni di distanza e al termine di un mese di settembre da 13 reti in 8 partite (all’interno di un 2017 che racconta di 27 gol in campionato nell’anno solare: attentare al record di 36 di Alan Shearer non è un’utopia) che lo ha consacrato come miglior attaccante d’Europa per media gol/minuti (uno ogni 71’) davanti a Messi, Lewandowski e Cavani, sarebbe facile identificare in queste due istantanee i momenti chiave di un’ascesa folgorante che lo hanno portato, a 24 anni, ad avanzare una legittima candidatura per la leadership e la fascia di capitano dell’Inghilterra in vista dei prossimi Mondiali. Eppure i topoi della narrativa che circonda il nativo di Chingford non sono quelli classici del predestinato, risultando molto più simili alla natura da underdog di un Jamie Vardy (con cui ha condiviso una dimenticabilissima parentesi al Leicester da febbraio a giugno del 2013) e perfettamente aderenti alla natura di un ragazzo che aveva come idolo quel Teddy Sheringham cui è stato spesso paragonato e che oggi lo descrive come «il perfetto uomo squadra» e come un giocatore che tecnicamente «ha tutto quel che avevo io e anche di più».

Contro la Slovenia il gol che manda l’Inghilterra a Russia 2018. Con la fascia di capitano al braccio

Per quanto rapida, la scalata di Kane al vertice del calcio inglese non è stata priva di ostacoli. Stiamo parlando, del resto, di un calciatore che ha sempre dovuto lavorare duro sui suoi limiti per migliorarsi, superare i non pochi momenti di difficoltà e aggiungere ogni volta qualcosa di nuovo al suo gioco per competere al massimo livello possibile. Anche adesso, nel suo miglior momento di sempre, in cui c’è chi lo vede vicino a Messi e Cristiano Ronaldo per il tipo di impatto che le sue prestazioni hanno su quelle della squadra, l’etica del lavoro è la caratteristica che risalta di più: «Voglio essere uno dei migliori giocatori del mondo, così quando vedo che la gente mi dice di essere al livello di certi nomi, utilizzo tutto questo come motivazione per salire ancor di più di livello. Non ho particolari segreti: mi sento forte, forse come mai prima d’ora, mi alleno bene, mi nutro bene, recupero, bene: tutto qui».

Ciò che ha sempre contraddistinto Kane fin dagli esordi è stata la grande fiducia nei propri mezzi unita ad una grande consapevolezza nel voler raggiungere gli obiettivi prefissati. Tanto da sbagliare un rigore nella gara d’esordio con il Tottenham, segnare la prima rete in maglia Spurs poco prima di essere ceduto in prestito al Millwall ed evitare la retrocessione in League One ai Lions con 7 gol in 22 presenze. Il tutto nello spazio di pochi mesi, in un rollercoaster emozionale che avrebbe potuto condizionare negativamente qualsiasi diciottenne. Non lui che, in un’intervista di qualche tempo fa al Telegraph, ha invece rivelato come l’esperienza nel sud della Londra calcistica gli sia servita eccome: «È stata una parte importante della mia crescita professionale. Ho passato dei bei momenti lì, giocare in Championship lottando per non retrocedere mi ha migliorato come calciatore e trasformato come uomo. Giocavo in condizioni ambientali e di pressione mentale molto difficili, imparando ad affrontarle e a superarle in maniera positiva».

Leicester City v Tottenham Hotspur - Premier League

In effetti Kane aveva già cominciato a farsi notare per il suo saper coniugare la generosità in fase di non possesso tipica di ogni buon centravanti inglese ad una notevole velocità d’esecuzione nello stretto, resa possibile dalla facilità di calcio con entrambi i piedi e da un’abilità nel dribbling inusitata per un giocatore di quelle dimensioni (quasi 90 chili ben distribuiti su 188 centimetri), soprattutto quando la fetta di campo da attaccare alle spalle del diretto marcatore è sufficientemente ampia. La naturale versatilità e una più che discreta capacità nella progressione palla al piede, inoltre, lo rendono utilizzabile tanto da prima quanto da seconda punta, fino a poter azzardare di poter sfruttare la grande fisicità nel ruolo di esterno atipico in un tridente d’attacco. Comunque non abbastanza per André Villas-Boas che, alla vigilia della stagione 2012/13, lo sacrifica senza troppi complimenti sull’altare della strana coppia Defoe-Soldado e con Adebayor prima ed ingombrante riserva: «Kane è un giocatore giovane sul quale puntiamo molto per il futuro, ma al momento stiamo cercando qualcosa di diverso. Normalmente nelle mie squadre mi piace dare fiducia anche alle cosiddette terze scelte ma, per come gioca il Tottenham, devo fare i conti con una situazione simile a quella della scorsa stagione, in cui anche uno come Pavlyuchenko è dovuto andare via a gennaio».

Nel successivo peregrinare tra Norwich e Leicester (20 presenze e la miseria di due reti), Kane affina l’arte della resilienza, del lavoro sulla propria durezza mentale, dell’attendere il momento giusto. Che arriva nell’aprile del 2014: le astruse alchimie di Villas-Boas hanno lasciato il posto alla pragmaticità del traghettatore Tim Sherwood (che si è preso il merito di aver stoppato la cessione di Kane già programmata dall’allora direttore tecnico Franco Baldini) in un White Hart Lane che, nel momento in cui Soldado entra in quella fase involutiva dalla quale non uscirà sostanzialmente più, comincia a conoscere il suo centravanti del futuro, autore di tre reti decisive contro Sunderland, West Bromwich e Fulham.

Il primo gol di Harry Kane in Premier League: inserimento dal lato debole e zampata vincente contro la distratta difesa del Sunderland

Da quel momento ci sono volute appena tre stagioni e un quarto per raggiungere quota 100 reti con gli Spurs: si tratta della miglior spiegazione possibile di quanto Pochettino abbia influito positivamente nella trasformazione di Kane nel centravanti perfetto. In un sistema impostato sul gioco posizionale e proiettato al mantenimento di un certo livello di intensità fisica e tecnica che favorisca un recupero alto del pallone forzando l’abbassamento della linea difensiva avversaria, il giovane inglese ci mette poco ad emarginare definitivamente Adebayor e Soldado e a prendersi il ruolo di primo riferimento offensivo tanto nel 4-2-3-1 che nel 4-4-2, moduli di riferimento del Tottenham 1.0 dell’allenatore argentino. E se, almeno inizialmente, i 31 gol in 51 partite vengono interpretati come un overperforming reso possibile dal fatto che gli Spurs siano la squadra che tiri in porta più di tutti (nelle ultime tre stagioni Kane non è mai sceso al di sotto del 53% di shot accuracy, con picchi tra il 60 e 70% nel 2016/17), il fatto che Pochettino successivamente decida di estremizzare la verticalità del suo gioco per esaltarne ancor di più le caratteristiche di base è il segno di quanto Kane accresca la sua centralità all’interno del sistema partita dopo partita: «È un grande attaccante, ha una mentalità fantastica ed è molto umile. Sono innamorato di lui», dirà in seguito il tecnico.

La crescita, personale e di squadra, è impressionante. A migliorare costantemente non è solo il numero di gol complessivi, ma l’intero bagaglio tecnico e la capacità di giocare in un contesto associativo e moderno come pochi: il campionario di movimenti, con e senza palla, che è riuscito a implementare nel corso del tempo, la varietà di soluzioni in fase conclusiva, il suo sapersi sacrificare tanto in fase di non possesso quanto in quella di risalita del campo, fanno di Kane il terminale offensivo ideale di una delle squadre più innovative ed interessanti dell’intero panorama europeo. Da seconda punta sui generis chiamata a dividersi lo spazio con un riferimento molto più statico, a centravanti moderno e completo che quello spazio, tanto in larghezza quanto in profondità, se lo prende tutto da solo (favorendo anche gli inserimenti senza palla delle mezze punte che agiscono alle sue spalle), il passo è stato breve e, per certi versi, inevitabile. Segnare così tanto è stata solo una naturale conseguenza.

Il 2016/17 è stata la migliore stagione di Harry Kane dal punto di vista realizzativo: 35 gol, di cui 29 in Premier League, in 38 presenze complessive

A 24 anni Harry Kane è già uno dei migliori attaccanti d’Europa. Non ha ancora intenzione di tentare l’avventura all’estero e Pep Guardiola ne ha ribadito la sostanziale incapacità di fermarlo descrivendo il Tottenham come «la squadra di Harry Kane, uno in grado di realizzare dai due ai tre gol ogni partita». E potrebbe non essere finita qui. I margini di miglioramento risultano ancora indefiniti e la crescita non sembra essersi ancora arrestata, come constatato dal giornalista radiofonico Jake Entwistle: «Probabilmente è il calciatore più forte e completo del campionato. Questo perché ogni stagione ha aggiunto qualcosa di diverso al suo gioco. Una delle criticità che gli rimproveravo l’anno scorso era quella di non tentare abbastanza il tiro da fuori: bene, da allora ha segnato ben sette gol dalla distanza, risultando secondo solo a Coutinho in questa speciale classifica. Ora può segnare praticamente da qualsiasi posizione e con qualunque parte del corpo».