L’occasione di João Mario

Dalle sue fortune potrebbero passare anche quelle dell'Inter: perché è così importante per Spalletti valorizzare il portoghese.

Accenna un sorriso, João Mario, come se la trattativa non fosse stata logorante e lo sbarco all’Inter fosse da sempre scontato. È il 26 agosto 2016, è appena atterrato a Linate, l’Inter ha sborsato allo Sporting Club 40 milioni più 5 di bonus per acquistarne il cartellino. Mentre Gabigol, nello stesso giorno, viene accolto da una folla in festa a Malpensa, nell’aeroporto meno famoso di Milano ad attendere João Mario ci sono sì e no una decina di tifosi e giornalisti, oltre ad alcuni fotografi e cameraman. Non fosse appena diventato campione d’Europa con il Portogallo, nemmeno si noterebbe: indossa un’anonima polo bianca, porta uno zaino in spalla, mostra un sorriso affabile, lontano dal prototipo di mimica dei calciatori, e si muove all’interno di una gestualità pacata e timida, tipica di chi non ama i riflettori. Dopo essere sbarcato, passeggia pochi metri, fino all’automobile della società che lo porterà in città: quei pochi passi che rimangono ancora oggi il ritratto più realistico di João Mario. Uguale, nella vita così come in campo. Calmo e silenzioso. Fin troppo?

Probabilmente è proprio questa sua natura eterea a renderlo incompiuto – e incompreso – come calciatore. João Mario a Milano è stato accolto con l’idea che fosse un giocatore più che “normale”. Uno speciale, la “next big thing” dell’Inter. Un campionato dopo, però, questa aspettativa non è stata soddisfatta, soprattutto perché Mario ha sempre alternato una giocata sopra la media ad un errore grossolano. Ha passato un anno tra la luce e l’ombra, un anno in cui, però, non era ancora entrato in gioco l’uomo in grado di tendergli una mano e issarlo sul palcoscenico, là dove si pensava potesse recitare una parte da protagonista. Nella storia di João Mario, ora, è subentrato Luciano Spalletti.

Luci e ombre nella stessa azione

Il grande equivoco che João Mario si è trascinato all’Inter è di natura tattica. Qual è il suo ruolo, o meglio, in che posizione rende al massimo? È questa la domanda che attende una risposta definitiva, e il fatto che non esista ancora dimostra come Mario stia facendo i conti con il lato oscuro della sua migliore qualità, ovvero la duttilità: il rischio è quello di saper interpretare bene tutti i ruoli, ma nessuno al meglio. A 24 anni, João Mario non è in ritardo per risolvere l’equivoco, ma allo stesso tempo non ha più margini d’errore. Ha di fronte a sé le stagioni decisive per definirsi in un ruolo. Il problema è che la prima stagione in nerazzurro anziché fornire risposte ha aumentato le domande. Con la Nazionale all’Europeo così come nello Sporting, Mario giocava soprattutto come “mezzo-esterno” (in portoghese “medioala”) nel rombo lusitano, il 4-1-3-2: esterno in fase offensiva, interno in quella difensiva. Un ruolo ibrido impresso nel suo codice genetico, ma non previsto oltre i confini del Portogallo.

All’Inter, un tecnico “scientifico” come De Boer avrebbe potuto sistemarlo in una posizione in tempi brevi, non fosse che nel momento dell’arrivo di Joao Mario il tecnico olandese ha già in parte compromesso la sua panchina (un punto nelle prime due giornate con Chievo e Palermo). Nella terza partita contro il Pescara, De Boer lo lancia titolare in mediana al fianco di Medel nel 4-2-3-1: il portoghese brilla, domina nel palleggio, alternando il gioco lungo verticale a quello corto orizzontale, e recupera palloni. In sostanza sembra poter trovare in quel ruolo una dimensione da centrocampista totale, il cosiddetto “box to box”.

La heatmap e i passaggi di Joao Mario nel brillante match d’esordio con il Pescara: da mediano, gioca una partita “totale”, letteralmente

 

I mediocri risultati della squadra però spingono De Boer al passaggio al 4-3-3, ma l’abbinamento di João Mario e Banega come mezzali genera un cortocircuito che immobilizza l’Inter – due giocatori troppo associativi per giocare paralleli – e lo stesso Joao Mario. Pioli lo dirotterà per la prima volta nel ruolo di trequartista nel 4-2-3-1, in dualismo diretto con Banega, ma il gioco ossessivamente verticale e diretto del tecnico priva entrambi della possibilità di costruirsi quella fitta trama di passaggi che costituisce il pass d’accesso alla partita.

Con il Sassuolo, João Mario disputa la prima partita da trequartista. Garantisce equilibrio alla squadra ma paga dazio personalmente: è meno coinvolto e non riesce a trovare il ritmo necessario per entrare in partita

Dribbla, resiste all’aggressione, si proietta in verticale in velocità e mantiene la lucidità per rifinire l’azione. Non è facile stabilire la posizione in cui queste qualità sono più utili ed efficaci

Nella stagione in corso, la sua posizione è rimasta la stessa soprattutto per le scelte di mercato, obbligate e non, operate dalla dirigenza nerazzurra: Spalletti, una volta sistemata la mediana con Vecino e Borja Valero, blindato Perisic e preso atto dell’impossibilità di arrivare a Nainggolan o Vidal, due obiettivi dichiarati del club, si è trovato a dover riconsiderare João Mario come trequartista. Una soluzione interna, quasi obbligata, ma pur sempre una soluzione.

La partenza è stata ottima. Contro la Fiorentina detta la profondità, cosa che dovrebbe fare più spesso, garantisce subito un’alternativa per consolidare il possesso e infine regala un cioccolatino a Perisic

Un mese e mezzo dopo l’inizio del campionato, complici le naturali difficoltà dell’Inter nel produrre una manovra fluida, la considerazione di João Mario sembra essersi ribaltata: nonostante i quattro assist forniti in sette giornate, da “soluzione” il portoghese sembra essere diventato un piccolo “problema”, una delle cause per cui l’Inter non riesce ad esprimersi in una fase offensiva godibile. Fosse vero, allora sarebbe vero anche il contrario, ovvero che quando il portoghese gira a vuoto, la squadra fatica, e quindi da lui – e dal suo competitor nel ruolo Brozovic, che con la doppietta segnata domenica al Benevento è balzato in avanti nella gerarchia – dipende un’ampia porzione di futuro dell’Inter. I nerazzurri in sostanza hanno bisogno che Joao sia e si senta determinante nella squadra, che elevi il suo carisma silenzioso in campo: la scelta del numero 10, in luogo del 6 che indossava la scorsa stagione, è forse stato un buon, primo segnale in questo senso.

Considerando i chiaroscuri nell’arco di una partita dei giocatori ai suoi lati, gli esterni Perisic e Candreva, João Mario come vertice alto nel triangolo di centrocampo di Spalletti ha il compito di rendere continua la presenza sulla trequarti, associandosi con Borja e Vecino (o Gagliardini), moltiplicando le linee di passaggio e ricevendo dietro la linea dei centrocampisti avversari. Dovrebbe in sostanza diventare il collante della manovra nerazzurra – ha la qualità per farlo: l’88,3% di passaggi completati è una media più che discreta – ma anche colui che ne impenna la velocità, soprattutto grazie alla rapidità di pensiero nel prendere le decisioni. Un particolare in cui eccelleva e che ora sembra aver in qualche modo smarrito.

L’ultima azione con il Bologna, dopo la quale verrà sostituito: è il vero João Mario per tre quarti, poi sembra aver smarrito la brillantezza necessaria per decidere cosa fare del pallone. Pensa, pensa, e alla fine mette in difficoltà D’Ambrosio con un pessimo passaggio

Gli errori individuali che macchiano le sue partite sono per lo più dovuti a una mancanza di intensità mentale. È come se Mario fosse alla ricerca di un equilibrio di prestazione, un compromesso tra la fatica spesa per rincorrere gli avversari e alzare il pressing e l’energia da conservare per essere lucido sulla trequarti e sotto porta. Già, perché per completarsi Mario dovrà trovare anche i gol (solo 3 in 39 partite con la maglia nerazzurra), spesso soltanto sfiorati a causa del difetto di determinazione agonistica.

L’equazione João Mario potrebbe quindi essere risolta grazie all’aiuto di Luciano Spalletti. Il motivo è che, nel ruolo di trequartista, il tecnico di Certaldo non cerca giocatori con caratteristiche tecnico-tattiche prefissate, ma qualcuno ancora “in costruzione”, una sorta di prodotto non “finito”. Spalletti solitamente individua questo tipo di calciatore nella rosa e gli propone un percorso in fondo al quale è promessa la compiutezza. È accaduto con Perrotta nella sua prima Roma e con Nainggolan nella seconda: giocatori diversi tra loro, ma che dopo essere stati posizionati sulla trequarti sono via via migliorati fino a toccare l’apice di rendimento delle loro carriere. E allora nell’Inter, João Mario l’indefinito sembra proprio l’argilla perfetta per lo scultore Spalletti, così come Spalletti pare l’allenatore ideale per indirizzare la carriera di João Mario.