Da dove provengono gli atleti delle maggiori leghe sportive

Uno studio del New York Times analizza la sempre crescente internazionalizzazione dei maggiori campionati sportivi del pianeta.

Nel 2018, la maggior parte dei campionati sportivi professionistici del Nord America e dell’Europa condivideranno un tratto importante: avranno una composizione di atleti più internazionale che mai. La tendenza è stata analizzata dal New York Times in uno studio che prende in analisi le più rilevanti leghe sportive europee e non solo. Non è una cosa nuova, per decenni i migliori atleti sono stati attirati dai campionati di maggiore impatto, nonostante le regole create per rendere più complessi questi spostamenti. Le varie leghe, una volta basate principalmente sul talento domestico, ora guardano altrove per la composizione delle rose. L’obiettivo è quello di trovare nuovi campioni e stelle che possano cambiare i rispettivi tornei, come è stato per Lionel Messi nella Liga.

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La Premier League è, tra tutte le leghe sportive professionistiche, quella che meglio esemplifica il concetto di globalizzazione legato allo sport. Dalla fondazione nel 1992, progressivamente si è trasformata da un affare quasi tutto britannico a un esempio lampante di calcio globale. Di tutti i campionati presi in considerazione, nessuno ha un profilo più internazionale, con circa il 60% dei giocatori della stagione 2017/18 proveniente da paesi che sono fuori dall’Inghilterra o dal Galles; una tendenza che cresce tra le squadre migliori. Il Manchester City primo in classifica, infatti, presenta giocatori provenienti da 11 paesi diversi nella propria rosa. Solo il 34% dei calciatori è di nazionalità inglese, mentre la Spagna, con il suo 6%, è seconda per contributo di atleti al campionato inglese.

Alcuni in Gran Bretagna non sono contenti del trend, in particolare sulla scia delle scarse prestazioni della Nazionale alla Coppa del Mondo. «Semplicemente non stiamo offrendo ai giovani talenti inglesi sufficienti opportunità di esprimersi ad alti livelli», ha scritto Greg Dyke, ex presidente della Football Association, in un articolo di opinione pubblicato dal Guardian nel 2015. Il voto della Gran Bretagna nel 2016 per lasciare l’Unione Europea ha complicato il futuro degli atleti internazionali in Premier. Di tutti i campionati analizzati, la tendenza comune relativa alla crescita degli stranieri nei campionati risale alla metà degli anni ’90, quando la sentenza della corte europea legata al caso Bosman rese più semplice l’approdo di calciatori europei al di fuori del proprio paese d’origine.

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Se in Bundesliga, dalla fine degli anni ’90 all’inizio degli anni 2000, gli organi di governo hanno avviato riforme radicali per lo sviluppo del talento locale, l’appeal nei confronti del talento straniero non è diminuito, trovando in Germania uno dei mix meglio riusciti. È interessante, invece, come la Liga abbia una percentuale inferiore di giocatori importati rispetto a molti dei suoi pari tra i migliori campionati europei.  In particolare se si pensa all’attrazione che per questo campionato possono provare giocatori provenienti dal Sud America. Il 59% degli atleti è spagnolo, al secondo posto l’Argentina con il 7 e al terzo la Francia con il 4. Anche per quanto riguarda la Serie A i dati raccolti non sono molto dissimili da quelli delle altre principali leghe.

Uno dei campionati europei capace di gestire la maggior percentuale di talento interno è l’Eredivisie, con circa il 62% dei protagonisti del torneo provenienti dall’Olanda. Il dato però non porta con sé dei cambiamenti importanti per gli Oranje a livello di Nazionali. Mentre negli anni ’90 il numero di stranieri in campo era più che triplicato, oggi la competizione presenta uno dei tassi più bassi di calciatori provenienti da realtà non locali.
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Per quel che riguarda la Nba, invece, il dominio locale dei giocatori Usa è fuori discussione, ma si innesta all’interno di uno sport mai così globale e di interesse internazionale. La stagione attuale presenta la percentuale più bassa (ma comunque significativa) di atleti provenienti dagli Stati Uniti. Tra tutte le franchigie, sono stati probabilmente i San Antonio Spurs ad aver avuto più degli altri la capacità di inserire con successo il talento internazionale all’interno del proprio roster. La Nba presenta il 76% di atleti provenienti dal Paese di casa, mentre gli europei si assestano intorno al 12%, e il Sud America al 3%, così come i Paesi dell’Africa.