Cosa succede a Bonucci

Non è cambiato il suo modo di difendere, ma è il contesto di squadra che lo sta penalizzando più del previsto.

Sono bastati un paio di mesi per raccogliere materiale sufficiente a descrivere l’impatto di Leonardo Bonucci nel Milan: è facile rendersi conto che il capitano stia rendendo ampiamente al di sotto delle aspettative. Inevitabile, oggi, è chiedersi perché. Per valutare il rendimento di un giocatore non si può prescindere dall’osservazione del contesto che lo circonda, specialmente se i due elementi sono a contatto da un tempo relativamente breve: basti pensare che la squadra con cui Montella esordì a Crotone era formata per 8/11 da giocatori che si conoscevano da non più di due mesi. Il gioco di Bonucci non è mutato tra Torino e Milano: le sue caratteristiche sono le stesse di dodici mesi fa, le sue prerogative sul campo pure. Il fatto è che oggi, in questo Milan, Bonucci è immerso in un contesto di squadra che non si avvicina neppure lontanamente a quello della Juventus. Ne parlò Caressa a Sky circa due mesi fa, dopo la sconfitta del Milan sul campo della Sampdoria: «Una cosa è fare il Bonucci con Buffon dietro e Barzagli e Chiellini ai lati. Un’altra è fare il Bonucci quando sei tu a dover far crescere quelli accanto».

Ciò che ha trasformato Bonucci da valore aggiunto auspicato a difensore ordinario è un duplice effetto del contesto sulle sue caratteristiche tecniche. Un primo effetto lo esercita la presenza di un regista catalizzatore come Biglia nel suo raggio d’azione, che ne limita la disponibilità di palloni da giocare. Negli ultimi due anni alla Juventus Bonucci ha sempre chiuso la stagione con il maggior numero di passaggi effettuati mediamente nei 90′ tra i compagni, a prescindere dal fatto che il sistema di gioco prevedesse una linea difensiva a tre o a quattro interpreti. Anche Pjanic, che quando arrivò dalla Roma vantava questo stesso record, si è adattato alla sua imponenza in fase di costruzione. Oggi Bonucci gioca 52 palloni a partita, cifra nettamente inferiore ai 65 di media su cui si era assestato a Torino; ma a colpire è soprattutto il fatto che il vero regista della squadra, Biglia, ne gioca più di lui (anche se di poco: sono 57 ogni 90′). Il dato relativo ai palloni lunghi è invece rimasto invariato – e altissimo: segno che il capitano del Milan continua a fidarsi del suo piede. Il Milan di queste prime venti giornate, una strana miscela di due concezioni tattiche poco affini, ha registrato una media di possesso palla del 57%, in linea con quella delle big. Si tratta di un dato che il gioco di Bonucci ha sicuramente condizionato, soprattutto se si considera che mai come quest’anno la sua gestione della palla tende ad assumere tratti di arroganza tecnica decisamente superflua, quando non dannosa: gli piace tenerla tra i piedi, e in ogni caso bisogna ammettere che spesso i suoi tentennamenti dipendono dai movimenti non sono ottimali dei compagni. Anche perché tra il Bonucci di oggi e quello di un anno e mezzo fa concettualmente non è cambiato nulla.

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Archiviato il primo effetto, relativo quindi alla fase di possesso, serve entrare in un discorso un po’ più delicato. Quello che tra i due è sicuramente il centrale, il primario, ossia il modo in cui Bonucci ha difeso in questi primi cinque mesi di Milan. Innanzitutto è utile precisare che i salti di modulo tra difesa a quattro e difesa a tre, tra Montella e Montella e tra Montella e Gattuso, non hanno inciso più di tanto: recuperando tutte le reti subite dal Milan in stagione è evidente come le responsabilità di Bonucci si dispongano su una linea retta continua. Molto semplicemente sta conducendo una stagione difensivamente negativa, a partire dalla trasferta dell’Olimpico contro la Lazio fino ad arrivare a quella di Firenze. Passività, ritardo, pigrizia, cattivo posizionamento: viene da chiedersi se Bonucci non abbia effettivamente cambiato il suo modo di difendere, se abbia scelto un approccio meno imponente, più silenzioso, e lo abbia fatto volontariamente. Poi però consideriamo tutto ciò che gli ruota attorno: difensori inesperti, un centrocampo poco organizzato, esterni passivi o semplicemente in difficoltà nell’uno contro uno. Più che aver cambiato il proprio stile, sembra che Bonucci abbia assorbito ed interiorizzato le difficoltà della sua squadra.

Nel secondo gol subìto dal Milan in occasione del tracollo della terza giornata (Lazio-Milan 4-1) Bonucci mostra le prime avvisaglie di quella che, oggi, potremmo azzardarci ad etichettare come una crisi d’identità. Ripercorriamo l’azione. Lulic si allarga sulla destra e riceve un pallone molto semplice da Parolo, ma Rodríguez è distante dal serbo e mentre recupera gli consente di prendere la mira. Il traversone di Lulic passa sopra cinque teste rossonere e raggiunge sul lato opposto Immobile, che fredda Donnarumma con una girata da grande attaccante. In tutto questo la disposizione difensiva del Milan è corretta, ma solo a metà. Perché se i giocatori della Lazio inclinati verso il primo palo sono tutti controllati a dovere, sul secondo c’è il solo Bonucci che deve preoccuparsi sia di Immobile che di Luis Alberto – sfilato davanti a Kessié, pigro nel ripiegare. Da qui la sua indecisione: dalla posizione corretta per intercettare un eventuale cross all’indirizzo di Immobile si accentra per tentare di coprire anche l’inserimento di Alberto, finendo in una inutile terra di mezzo. In sintesi: Bonucci ha la sua parte di responsabilità, ma nel caso specifico l’organizzazione difensiva della squadra non lo ha certo aiutato.

L’indecisione di Bonucci su Immobile

Dopo aver messo insieme quattro vittorie nelle prime cinque partite di campionato il Milan ha fatto visita alla Samp. Nel gol del raddoppio dei blucerchiati, a firma di Álvarez, il capitano rossonero non compie un errore evidente e, anzi, in un certo è anche esagerato considerarlo come tale. Però ci dice molto, anche più di quanto fanno errori più gravi, dell’appiattimento difensivo che lo ha contraddistinto sin qui. Quando Álvarez fugge in profondità, Bonucci mette giù la testa e accenna una rincorsa che ha nelle corde, lasciando pensare ad un’intervento in scivolata per deviare il tiro dell’argentino. Invece Bonucci rallenta, accetta di subìre quel tiro senza intervenire. Non solo non azzarda la scivolata: si limita a seguire Álvarez in corsa, e ad osservare il suo mancino che si infila all’angolo alla sinistra di Donnarumma. Una scelta dettata da un atteggiamento che ai tempi della Juventus raramente capitava di notare nella sua partita (qui, ad esempio, è evidente il contrasto tra presente e passato).

La passività sul gol di Álvarez

Una categoria più definita degli errori difensivi registrati da Bonucci sin qui è rappresentata dai duelli con due attaccanti d’area come Icardi e Simeone. In fin dei conti è risaputo che tra le sue caratteristiche non sia mai spiccata l’abilità in marcatura, e non è un caso che sia prima cresciuto e abbia poi raggiunto il massimale di rendimento con a fianco due marcatori del calibro di Barzagli e Chiellini. Quest’anno, per così dire, ha più lavoro sporco da prendersi sulle spalle; un genere di lavoro cui non è abituato. Contro l’Inter le sue responsabilità sono state enormi in occasione di entrambi i gol su azione di Icardi, e per la prima volta dall’inizio della stagione ha dato prova delle enormi mancanze che lo contraddistinguono nella fase difensiva pura. In occasione del primo perde del tutto il contatto visivo con Icardi, che gli sfila alle spalle e batte a rete dopo che lui stesso non era riuscito a deviare in anticipo il cross di Candreva dalla destra. Ma la noncuranza con cui in collaborazione con Romagnoli lascia l’argentino libero di colpire indisturbato per il secondo gol dell’Inter è sconcertante. Dà quasi l’impressione di starne volontariamente lontano, visto che c’è un frangente in cui si volta verso l’esterno dell’area e lo vede con la coda dell’occhio. Come se in qualche modo ne avesse paura, come se si sentisse più a suo agio nel controllare la palla piuttosto che l’uomo.

Cattivo posizionamento e gol di Icardi

Il gol dell’1-0 segnato da Simeone due settimane fa in Fiorentina-Milan è un altro esempio lampante del difetto di Bonucci nel mantenere il contatto – visivo e fisico – con l’attaccante avversario. Un difetto che oggi non può sotterrare per via delle circostanze: i suoi compagni di reparto non spiccano a loro volta per qualità di marcatura, nessuno può coprirlo come ai tempi della Juventus. È quasi imbarazzante la facilità con cui Simeone si libera ed esce dal suo campo visivo, e se l’argentino è rapido e ha tempismo nell’esecuzione del movimento Bonucci glielo facilita enormemente, visto che di fatto non guarda mai Simeone e, anzi, è lui stesso a muoversi per primo per andare incontro al pallone. Errori come questo, grossolani e pertanto non giustificabili, sono le ragioni per cui le pagelle a fine partita continuano a penalizzarlo. Le stesse ragioni che nascondono i suoi progressi da settembre ad oggi, che ci sono ma che al contempo non potranno assolutamente prescindere da una soluzione in questo senso.

Il movimento sbagliato nell’azione che porta alla rete di Simeone

La categoria di errori che forse più di tutte le altre dipende dal Milan più che da Bonucci stesso è quella legata ai contropiedi subiti, o comunque alle azioni in cui l’ex bianconero si è trovato a dover difendere alle spalle svariati metri di campo sia in larghezza che in lunghezza. Un caso emblematico a questo proposito è rappresentato dal gol di Bessa in Verona-Milan. I padroni di casa attaccano in contropiede contando su un accenno di superiorità numerica; a guidare l’azione è Romulo, che da destra guadagna circa trenta metri per poi appoggiare all’autore del gol. In questa situazione Bonucci commette un errore che è un mix tra quello della gara contro la Lazio e quello della partita di Genova: prima perde un tempo di gioco voltandosi alle sue spalle nonostante davanti abbia Bessa già in fase di inserimento, poi è lento nel recuperare lo svantaggio e non riesce ad arrivare a contrasto con l’avversario. Bessa è senz’altro bravo ad anticiparlo, ma la storia di Bonucci ci insegna che in condizioni migliori il duello di anticipi lo vince lui: un piccolo esempio tratto dal recente passato è questo. Tra gli interventi in ritardo può essere senz’altro annoverato quello sul gol di Ilicic in Milan-Atalanta: anche in questo caso la squadra viene attaccata a campo scoperto, e proprio quando sembra posizionato nel migliore dei modi per intercettare il traversone dalla sinistra di Spinazzola, Bonucci rallenta e finisce per perdere il tempo d’intervento. Si tratta di un’imprecisione sottile, è giusto sottolinearlo: difendere in corsa non è facile in generale e non può esserlo per uno come lui, che sicuramente non spicca in quanto a velocità. Anche se parliamo di un giocatore che di interventi decisivi, anche in situazioni estreme come quella appena citata, in passato ne ha sfoderati: questo, in uno Juventus-Napoli di un paio d’anni fa, o questo, nella finale di Champions dello scorso giugno, sono emblematici.