Cavani e Neymar non si guardano

Contro il Real Madrid il gelo tra i due in campo era al massimo. Ma se il Psg vuole vincere, la questione va risolta.

L’arrivo in pompa magna di Neymar a Parigi è stato oggetto di analisi di vario genere. Qui provavamo a chiarirne alcuni aspetti nei giorni immediatamente precedenti, ma è con questo pezzo che avevamo introdotto con completezza uno dei punti interrogativi più insidiosi. Ovvero: Emery ha capacità gestionali sufficienti per dare equilibrio a una squadra stracolma di catalizzatori, in particolar modo nel reparto offensivo? Fino a due giorni fa la risposta pendeva verso un netto sì: il Psg era (ed è) leader indiscusso della Ligue 1, aveva stravinto il girone di Champions con il maggior bottino di reti e più in generale dava un senso di onnipotenza tangibile. A metterne in luce le crepe è arrivata poi la gara del Bernabeu, il più tipico dei momenti clou: in quel contesto, dove compattarsi e agire da squadra era imprescindibile, i parigini hanno fallito.

La sconfitta contro il Real ha orientato i riflettori verso la pessima lettura della gara di Emery in fatto di sostituzioni, oscurando quasi del tutto un fattore più ampio e potenzialmente decisivo in chiave stagionale: il rapporto turbolento che si è ormai radicato tra Neymar e Cavani. Le origini della controversia sono con tutta probabilità da ricercarsi nel passato remoto, mentre il primo episodio parigino è ben scolpito nella memoria collettiva: lo scorso settembre i due si sono contesi platealmente un calcio di punizione prima e un rigore poi nella gara contro il Lione, aprendo nel feeling la prima crepa dopo che le prime giornate avevano fatto ben sperare. La seconda turbolenza risale invece allo scorso gennaio, è più fresca e forse addirittura più eloquente. La partita in questione è quella dell’imbarazzante 8-0 rifilato al Digione: nell’occasione Cavani va a segno una volta, come Mbappé; poi la doppietta di Di Maria e nel mezzo il poker di Neymar. Tutto positivo, se non fosse che tra i quattro gol a referto di O’Ney ce n’è uno di troppo: quello realizzato grazie al penalty sottratto proprio a Cavani, e calciato sotto i fischi di un Parco dei Principi infuriato per l’abuso di autorità del brasiliano. Non era un rigore banale, oltretutto: segnandolo infatti il Matador avrebbe surclassato Ibrahimovic nella classifica dei migliori cannonieri di tutti i tempi del club. Un traguardo storico che è stato comunque raggiunto due giornate dopo, ma il gesto di Neymar permane, indelebile. Così come difficilmente potranno essere archiviate le pratiche interne al gruppo, che nelle serate di di fuoco hanno visto protagonisti anche Thiago Silva e Dani Alves. Il giorno dopo l’8-0 al Digione il Guardian ha titolato così: «Neymar magnifico, ma la vittoria del Psg solleva ancora la questione unità». A testimonianza di come – per portare un esempio – la rivalità sia percepita anche Oltremanica in maniera significativa.

Le immagini del primo litigio tra Neymar e Cavani. Chiediamoci: ha senso tentare di capire chi dei due abbia ragione?

Per comprendere come contrasti di questo genere possano riversarsi sul campo e tradursi in punti di debolezza (intuibili e manipolabili dagli avversari) è sufficiente rifarsi alla gara di Madrid. Un giornalista spagnolo ha twittato così durante la partita: «Il Psg dovrebbe giocare con due palloni, uno per Neymar e uno per il resto della squadra. Neanche un passaggio a Mbappé o a Cavani». Una sentenza netta ma che si fonda su un presupposto concreto: Neymar non guardava mai Cavani, non seguiva i suoi tagli, talvolta sembrava proprio non aver idea di dove fosse. Certamente la location piccante può averlo condizionato, può aver acceso in lui la fiammella di solismo che in un dna calcistico brasiliano non si assopisce mai del tutto. Però Cavani ha corso a vuoto per oltre un’ora, prima di essere sostituito. Ha giocato appena 6 palloni tentando appena 2 uno-contro-uno, mentre il tabellino di O’Ney alle stesse voci recitava 41 e 29. Osservare i dati della gara di Mbappé (17 palloni giocati e 11 uno-contro-uno) è utile per fare dell’ex Monaco l’ago della bilancia. È difficile stabilire a cosa sia dovuta l’insofferenza di Neymar nei confronti del compagno, soprattutto se si pensa che Cavani propende al sacrificio e a modo suo è un calciatore generoso. Se si tratti di questioni caratteriale o di incompatibilità tecnica non è dato saperlo, ma quel che è certo è che il brasiliano non sembra rispettarlo sul piano tecnico; dà l’impressione di ritenersi superiore in senso assoluto, e non solo limitatamente ai fondamentali nell’ambito dei quali potrebbe permetterselo.

In senso più ampio, nell’arco di novanta minuti – probabilmente i più importanti della stagione fino a qui – sono venuti a galla tutti i sospetti che sin dalle prime gare di Ligue 1 aleggiavano sulla squadra. Una scarso culto della vittoria sofferta, concetto legato a doppio filo alle caratteristiche del campionato francese, la difficoltà di Emery nel gestire i momenti più ostici e una squadra un po’ troppo sfilacciata. Ed è evidente che Neymar e Cavani in stato di guerra fredda non possano che incupire l’atmosfera.

Comprendere la portata della sconfitta del Bernabeu, correlatamente al rapporto tra i leader tecnici della squadra, è importante per definire la dimensione di questo Psg. E non è affatto banale, perché quella di Emery resta pur sempre una squadra da 127 reti in stagione sin qui, e al contempo la capolista indiscussa del campionato ancora in corsa in entrambe le Coppe nazionali. Però prendere Mbappé e Neymar e metterli al fianco di Cavani significa dichiarare un’ambizione precisa ancor più a gran voce di quanto fatto sino ad un anno fa, e vedere il secondo e il terzo incapaci di stabilire fino in fondo un regime di vera collaborazione è una sconfitta senza riserva. Almeno per chi ci ha investito, e che ci investe ogni giorno.

Una lettura possibile della situazione è che Neymar stia in qualche modo tentando di spodestare indirettamente Cavani. In fin dei conti il Matador è a Parigi da cinque anni, e vista la piega presa dal mercato di questi tempi non è impensabile che a breve possa cambiare aria; il brasiliano in estate potrebbe aver previsto uno sgombero più rapido, e di conseguenza un suo accentramento, salvo poi rendersi conto che a Cavani i parigini vogliono bene e che una sua cessione non sarebbe ben accolta. Come aveva spiegato Francesco Paolo Giordano ad agosto, infatti, una delle ragioni plausibili per spiegare la volontà di Neymar di lasciare Barcellona era proprio l’ambizione di ritagliarsi uno spazio da protagonista suo, definito. Curioso, a questo proposito, ricordare che lo stesso Cavani abbia dovuto attendere qualche anno (in pratica: l’addio di Ibra) prima di assumere il ruolo di leader a tutti gli effetti nel Paris.

L’ultimo assist di Neymar a Cavani risale allo scorso dicembre. Potremmo vedere cose come questa più spesso, e non sarebbe male

I numeri del caso sono particolarmente freddi. Sì, Cavani ha segnato 28 reti ed è capocannoniere in  Ligue 1 e in Champions, e sì, Neymar è a quota 45 tra gol e assist, ma al momento di tirare le somme il risultato è un Psg già in allarme rosso. Rabiot, ad esempio, nel postpartita ha detto che «sì, va bene segnare otto reti al Digione, ma poi è in partite come questa che devi alzarti e farti riconoscere». Un fallimento al Parco dei Principi a marzo nella gara di ritorno sancirebbe la sconfitta (forse definitiva?) di un progetto colossale, ma anche quella di due singoli apparsi non in grado di mettere da parte il proprio ego nel momento clou. È vero, Neymar è l’ultimo arrivato e da lui sarebbe stato lecito aspettarsi un atteggiamento meno dispotico, ma un giocatore dell’esperienza di Cavani avrebbe potuto reagire diversamente. Mantenendo l’interesse comune come prerogativa assoluta, questo il succo. La sensazione è che oggi le loro difficoltà siano lo specchio di quelle del Psg: il valore delle individualità è enorme, ma il sistema nel suo complesso presenta una pericolosa tendenza all’autodistruzione. È su questo fronte parallelo che Emery dovrà inevitabilmente lavorare per trovare il salto di qualità definitivo. Ammesso che i diretti interessati, e uno in particolare, prendano realmente in considerazione questa prospettiva.