Le tappe di João Cancelo

Dalle incomprensioni iniziali alle ultime esaltanti prove: la maturazione del portoghese, forgiata da Spalletti.

I diciotto mesi a Roma dello Spalletti-bis hanno fruttato moltissimo: le valorizzazioni di Salah, Rudiger, Paredes, la maturazione di Perotti e in parte quella di Fazio, sono avvenute in un contesto in cui la mano esperta del tecnico ha rappresentato il più classico dei quid in più. Tra i tanti elementi della rosa che Spalletti è riuscito ad influenzare, una menzione a parte la merita Emerson Palmieri: il suo è stato il percorso di crescita più verticale, e quello che ha dato i risultati più evidenti. Non è un caso che la prima Inter di Spalletti abbia scelto di investire oltre la metà del proprio budget per il mercato su due giocatori di fascia. Il primo, Dalbert, è stato sin qui protagonista di un percorso lineare, con pochi alti e qualche basso di troppo; per il secondo, João Cancelo, è valso l’esatto opposto. Arrivato da Valencia a dieci giorni dalla chiusura del mercato – e a stagione iniziata – il portoghese sta vivendo su un ottovolante la prima stagione in Serie A. Inizialmente ha faticato ad ambientarsi, ed è stato penalizzato dall’infortunio al collaterale che lo ha tenuto fuori per oltre un mese tra settembre e ottobre. Una volta rientrato ha dovuto fare i conti con la scia positiva dei risultati della squadra, e il suo score di fine anno era pari ad appena quarantasei minuti. Insomma, a metà dicembre l’Italia non conosceva Cancelo, e Cancelo non era ancora riuscito a conoscere l’Italia.

Ripercorrere gli eventi che ne hanno rallentato l’inserimento nell’undici titolare è utile per comprendere quella che oggi è la sua reale dimensione. Anzitutto serve tenere conto della modalità del trasferimento di Cancelo, che lui stesso ha sofferto particolarmente sul piano emotivo. Al termine della prima partita di Liga, giocata interamente contro il Las Palmas ad agosto, è scoppiato a piangere: era l’addio a Valencia, al Valencia, al club che gli aveva aperto le porte al grande calcio. «La verità è che Valencia è sempre stata casa mia, e io adesso me ne sto andando per sempre», disse tra le lacrime nel post-partita. Ed è probabile che proprio la sua forte sensibilità gli abbia messo i bastoni tra le ruote nelle prime settimane di lavoro. Per quanto il concetto sia per certi versi ridondante, inoltre, va detto che il passaggio da un calcio fondato primariamente sulla tecnica e sul palleggio a quello italiano non ha gli stessi tempi per tutti. A tutto ciò è da aggiungersi l’infortunio, precisamente nel momento in cui, con cinque terzini a disposizione (oltre a lui D’Ambrosio, Santon, Nagatomo e Dalbert), Spalletti andava definendo le gerarchie.

La prima gara da titolare di Cancelo risale a quattro mesi dopo il suo arrivo. Non un gran biglietto da visita, se decidessimo di ignorare il contesto. L’Inter era ospite del Sassuolo in un momento delicato (era appena arrivata la prima sconfitta stagionale, in casa contro l’Udinese) e il primo tempo del portoghese fu il riflesso della sua personalità introversa. Proposizioni passive, coperture ritardate quando non assenti, difficoltà nel dialogo con i compagni. E il gol di Falcinelli, a posteriori decisivo per l’esito della gara, lo ha sulla coscienza.

Le intenzioni di Politano sono chiare, la difesa dell’Inter dovrebbe aspettarsi un cross dalla fascia. Invece Skriniar si disinteressa dell’avversario, e Cancelo – aggravante: lo ha nel campo visivo dall’inizio alla fine dell’azione – fa lo stesso. Ed ecco il risultato

Nel post-partita, per non abbatterlo, Spalletti gli dedica comunque parole al miele: «La spinta con Cancelo è stata continua e di assoluta qualità. Di lui si dice che ha portato squilibrio: io credo che lo abbia portato soprattutto agli avversari». Tra i due si respira aria di sintonia, almeno sul piano tecnico. Passa una settimana ed arriva la gara successiva, quella contro la Lazio, la prima del ciclo della pareggite. Un periodo non semplice a livello di gestione per Spalletti, sotto la luce dei riflettori per ragioni di vario genere. E a proposito di situazioni, il pessimo stato di forma dell’Inter in quel periodo, tra la fine di dicembre e l’inizio di febbraio, è paradossalmente d’aiuto a Cancelo. Le sole quattro reti segnate nell’arco di cinque partite costringono pubblico, addetti ai lavori e staff a concentrarsi meno sul reparto avanzato e più su quello arretrato per trovare note liete. E il portoghese diventa con continuità una di queste. Contro la squadra di Inzaghi l’Inter soffre e per la prima volta Cancelo è costretto a rimboccarsi le maniche: ne esce una gara complicata da decifrare, in cui mostra ancora qualche difficoltà concettuale nella marcatura, ma in cui non si risparmia. Un tipo di prestazione che nel suo caso risulta particolarmente utile in ottica maturazione. La settimana successiva vede l’Inter impegnata a Firenze, e Cancelo viene riproposto dal primo minuto ancora una volta come terzino destro. In generale mostra ulteriori passi avanti sul piano della propositività, ma soprattutto in avvio sulle fasce la Fiorentina trova spazio troppo spesso e lui fatica ad ingranare. Cresce con il passare dei minuti, fino a quando nel finale Spalletti lo sostituisce proprio come avvenuto sette giorni prima: segno che la condizione fisica non è ancora la migliore, e che le consegne non sono ancora state comprese del tutto.

Sebbene il percorso di crescita fosse (e sia) ancora nel pieno del suo svolgimento già ad inizio gennaio le voci che volevano Cancelo in veste di cavallo di ritorno verso Valencia avevano perso di intensità. Voci che in realtà erano tutt’altro che infondate, almeno inizialmente: il portoghese non aveva ancora tagliato il cordone ombelicale che lo legava alla sua ex squadra, e una nostalgia mai sopita lo avrebbe realmente spinto ad accettare il fallimento in Italia. Il caso (?) ha voluto che proprio in quel momento Spalletti abbia deciso con fermezza di puntare su di lui, e che le sue risposte siano state positive e giunte con tempistiche accettabili. Le costanti nei giudizi alle sue prestazioni, da gennaio in avanti, sono la crescita, la corsa e i cross: contro la Roma ne mette a referto ben 13, dopo i 7 contro la Lazio e i 6 in Coppa contro il Milan.

Una cosa semplice, fatta bene (e contro l’avversario giusto)

Quella contro i giallorossi è la prima di sette partite (con un intervallo: Inter-Crotone) in cui Cancelo gioca tutti e novanta i minuti disponibili. Un altro passo in avanti e un altro segnale di fiducia da parte di Spalletti, nonostante alcune crepe. La conflittualità emersa progressivamente tra Spalletti e Cancelo si è mostrata costruttiva, almeno sin qui; non è tuttavia escluso che un carattere particolare come quello del portoghese possa andare a scontrarsi in modo diverso con quello del suo allenatore, anch’esso particolare, ma in tutt’altra direzione. Sarà proprio quella legata all’aspetto relazionale, con tutta probabilità, la prossima tappa da percorrere.

Effettivamente, se c’è un limite su tutti con cui etichettare Cancelo, questo è proprio una indole eccessivamente ermetica. Un atteggiamento che fra teste basse e sguardi persi nel vuoto può erroneamente essere interpretato come indolenza: motivo in più per riconoscere l’influenza della comunicatività nelle dinamiche di campo. Tutto ciò, per restare nel pratico, si traduce in una certa tendenza alla discontinuità nell’arco dei novanta minuti e alla pigrizia nel correre all’indietro (ad esempio qui). Poi ci sono casi come questo dribbling, che sceglie come soluzione senza esserne convinto, e altri come questo, altamente evitabile ma riuscito, a dimostrazione di come i suoi risultati siano pesantemente influenzati dall’umore. È per questa categoria di motivi che oggi non possiamo inserire Cancelo nella stessa categoria (oggetto del paragone è il ruolo, non il valore assoluto) degli Alex Sandro, degli Alaba, dei Jordi Alba e così via. Il portoghese ha una indole più offensiva della media ma è al contempo costretto a coltivare anche i fondamenti della fase di non possesso. La qualità c’è, nel dribbling, nel cross, nel dai-e-vai, ma non a sufficienza per garantirgli la casella di un tridente. In ogni caso, entrando nello specifico, se rapportato a quello dello scorso anno il rendimento offensivo di questo Cancelo è migliorato sotto molti punti di vista: è più preciso nei passaggi, completa più take-ons, serve oltre un passaggio chiave a partita.

Il miglioramento di Cancelo: nella prima riga la percentuale di passaggi riusciti; nella seconda i dribbling riusciti; nella terza i passaggi chiave (fonte Squawka)

Tra i margini di miglioramento poi figura senza dubbio la versatilità, perché Cancelo ha le qualità per giocare a sinistra con lo stesso profitto con cui lo fa a destra. Spalletti lo sa e lì lo ha provato (contro la Spal a Ferrara, dove peraltro – in una partita complessivamente negativa – ha propiziato l’autogol di Vicari proprio con un cross dalla sinistra), senza tuttavia riscontrato il gradimento del giocatore. Le ultime quattro gare hanno fatto registrare in lui una maggiore sicurezza, in particolar modo nei passaggi. Incremento che si aggiunge a quello di cui sopra: per una media stagionale pari all’81% (fonte: Wyscout), contro Bologna, Genoa e Benevento è sempre andato oltre l’84%. Se si tiene conto del fatto che il suo è un gioco molto dispendioso e tende ad attuarsi su distanze medio-lunghe, è difficile che su questo piano possa registrare una crescita molto elevata. Dove può crescere è senz’altro nell’efficacia della corsa, che oggi appare un po’ troppo delicata. Una volta che avrà preso coscienza del tutto delle sue potenzialità (e a 23 anni è ancora in tempo) Cancelo potrà raggiungere un valore assoluto ben maggiore.

Nel frattempo Spalletti ha iniziato a sfruttare le doti del suo destro per i calci piazzati. Contro la Sampdoria, prima di servire a Perisic l’assist per il vantaggio, due suoi traversoni dalla bandierina si erano trasformati in altrettante occasioni da rete. O ancora: a Firenze fu suo l’assist a Icardi, e anche con il Benevento Skriniar ha segnato il gol del vantaggio cogliendo un suo suggerimento su corner. In entrambi questi ultimi due casi il calcio di Cancelo non è pulito, eppure risulta efficace: è successo in altre occasioni, come in quella qui sotto.

Il portoghese dà alla palla un colpo d’interno che la fa alzare ed abbassare al momento giusto. Ma è la postura – impostata, quasi timida – il tratto più originale del suo modo di calciare

Più in generale è il modo di stare in campo di Cancelo che lo rende unico; una unicità forse più negativa che positiva, almeno allo stato attuale. Resta il fatto che da quando Spalletti lo ha buttato nella mischia il portoghese non ne è più uscito, e questo vale più di mille parole. Il percorso degli ultimi sette mesi è stato tortuoso, costellato di tappe faticose da arginare, ma oggi l’impressione è che Cancelo si sia messo alle spalle la parte più massiccia del lavoro di scrematura. Andando al suo passo, ma cercando di calibrarlo su quello del contesto, i margini di miglioramento verranno raggiunti e superati uno dopo l’altro.