Tre cose dopo Real Madrid-Juventus

La vittoria tattica di Allegri nonostante il risultato, cosa sarebbe cambiato se in Europa ci fosse stato il Var e l'addio amaro di un grande capitano.

L’orgoglio di Allegri

Il senso della storia è contenuto nei risultati o negli eventi? Se la realtà fosse la seconda, la Juventus sarebbe certamente arrivata a un passo dallo scriverla. Ma la verità è che sono poi i risultati a farla, e così si rischia di dimenticare la gara quasi perfetta dei ragazzi di Allegri. A differenza della partita d’andata, dove il Real oltre ai tre gol aveva colpito due traverse e sprecato alcune altre occasioni importanti, la Juventus di ieri ha dominato la partita e il merito è anche di un allenatore che forse non sarà geniale o spettacolare ma che sa leggere spesso le partite nel modo giusto. Abiurando il 4-3-3 spurio dell’andata (formalmente un 4-4-2 atipico), per uno più definito in cui finalmente Douglas Costa poteva facilmente dare sfogo alla propria rapidità, ha tenuto il Real confinato a un livello di pericolosità assolutamente gestibile.

La Juve è stata cinica come cinico è il suo tecnico, ha approfittato dell’ Avenida Marcelo caricando la fascia destra di responsabilità e non è un caso se le prime due reti dei bianconeri siano arrivate proprio con palloni che provenivano da quel lato. Trovando una torre come Mandzukic sulla sponda opposta. Costa ha letteralmente pattinato sulla fascia, Lichtsteiner subentrato a un rammaricato De Sciglio ha mostrato come pur apparendo sempre sull’inadatto andante in gare del genere, riesca poi a trovare lo spunto che ti fa dimenticare dei limiti evidenti.

Allegri ha battuto Zidane, che dal canto suo e pur con le assenze del caso, ha regalato agli avversari un Benzema che è magia silenziosa. Il franco algerino è fondamentale per dare un pizzico di profondità e per la capacità che ha di partire palla al piede nascondendo letteralmente il pallone agli avversari. La Juve è stata compatta pur in una sfida strana, non bellissima, con molti errori ma in cui Allegri ha capito che congestionando le vie centrali avrebbe impedito a gente come Modric e Kroos di incidere sul match. Purtroppo, però, la storia la scrivono ancora i risultati.

Partendo da destra, subito 1 a 0

Cosa sarebbe cambiato con il Var?

Dopo la partita, il primo a parlare per la Juventus è stato il presidente Andrea Agnelli: «Bisogna rimanere tranquilli e analizzare la situazione. Ci sono alcuni Paesi che hanno implementato il Var, il processo di accelerazione va portato avanti in Europa, perché qui si decide chi va avanti e chi no, noi avremmo meritato almeno i supplementari». E ancora: «Gli arbitri di porta non servono, vanno eliminati e portati dietro al Var, facciamo un corso veloce per rendere i fischietti in grado di usare gli strumenti che abbiamo. L’arbitro non ha saputo gestire la situazione, sul rigore ha preso una decisione sbagliata e sull’espulsione di Buffon è stato eccessivo, anche in considerazione di cosa è successo all’andata». Agnelli pro Var, insomma, un po’ come il centrocampista del Manchester City Bernardo Silva dopo il gol annullato per fuorigioco martedì contro il Liverpool. La Fifa ha deciso di introdurre il Var al Mondiale di Russia, ma la Uefa continuerà a non usarlo neanche nella prossima edizione di Champions ed Europa League. Cosa sarebbe cambiato, però, se ieri sera al Santiago Bernabeu ci fosse stato il Var?

Innanzitutto, ecco cosa prevedono le norme di utilizzo del Var. L’Ansa a gennaio ha pubblicato i documenti ufficiali firmati Serie A e Figc. La slide chiave è la numero due, “Principi fondamentali”:
– Sarà sempre l’arbitro a prendere la decisione finale;
– La decisione arbitrale sarà cambiata solo se il video dimostrerà che si tratta di un chiaro errore;
– La domanda cruciale che si deve porre il Var non è “È stata presa la decisione migliore?” ma “È stata presa una decisione chiaramente sbagliata?”.

Ecco: «chiaro errore», «decisione chiaramente sbagliata». Sono i concetti decisivi. Una volta che l’arbitro fischia il calcio di rigore – e lo fischia perché lo giudica tale, perché è vicino all’azione come Michael Oliver al Bernabeu – il Var può certamente intervenire per invertire la scelta. Dev’essere però un «chiaro errore». Come in Inter-Lazio dello scorso 30 dicembre: l’arbitro Gianluca Rocchi è lontano dall’azione (non si vede nell’inquadratura televisiva) ma fischia comunque un rigore per un tocco di mano di Milan Skriniar su cross di Ciro Immobile. Il Var dimostra però che il pallone, prima di finire sul braccio del difensore, sbatte sul suo piede sinistro, e quindi giustamente non è penalty. Un «chiaro errore» di Rocchi corretto dal Video assistant referee e “accettato” dall’arbitro italiano. E il contatto tra Medhi Benatia e Lucas Vazquez? Difficile parlare di «chiaro errore» o «decisione chiaramente sbagliata»: il difensore ex Roma interviene da dietro, in ritardo, in maniera scomposta e appoggiando le mani sul corpo dell’avversario. Insomma: nonostante la proteste di tutta la Juventus, probabilmente neanche il Var avrebbe potuto cambiare una decisione, quella finale, che spetta sempre e comunque all’arbitro.

L’episodio del rigore di Benatia su Lucas Vázquez

Un addio amaro

Nel trambusto che solo un rigore accordato al 93’ di un quarto di finale di Champions League può scatenare, nessuno – forse nemmeno il diretto interessato – si è accorto della standing ovation che il Bernabéu ha riservato a Gigi Buffon al momento della sua uscita dal campo. Magra consolazione, si potrebbe dire. Ma che il pubblico del Real Madrid, trepidante per un tiro dal dischetto che avrebbe deciso o meno la qualificazione a favore della propria squadra, corresse con il pensiero al numero uno avversario, che fin lì con un paio di interventi aveva impedito un risultato favorevole, sottolinea il rispetto che Buffon si è guadagnato dentro e fuori dal campo, come professionista esemplare, prima ancora che campione.

Buffon che abbandona la Champions, la “maledetta” che non è mai riuscito a vincere nonostante tre finali disputate, va ricordato in questo modo, e non con lo sfogo davanti ai microfoni a fine partita. È uno sfogo, anche piuttosto sbilenco in alcuni passaggi, non un ragionamento lucido, a cui Buffon, negli anni, ci ha abituato – tutti abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie le nobili parole pronunciate a caldo dopo la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali. Buffon ha, in qualche modo, dimostrato di essere umano anche lui, di lasciarsi andare alla rabbia, al risentimento. Ma gli va concesso: è il momento in cui, dopo 23 stagioni di carriera professionistica, sta svuotando il sacco di tutto quello che negli anni ha represso. L’unica occasione di libertà.

La sua uscita di scena ricorda terribilmente quella di Zidane nella finale dei Mondiali del 2006: l’abbandono del giocatore più rappresentativo è, in qualche modo, il segnale della resa. Nelle parole che anticipano l’addio al calcio, Buffon trova la forza di parlare da capitano: «Dispiace lasciare questi ragazzi straordinari, ma spero di avergli trasmesso qualcosa». Andarsene così, è andarsene da vincitori. E non c’è eliminazione che tenga.