Cosa vuole fare Griezmann?

Andare via dall'Atlético, per sedersi al tavolo di Messi e Ronaldo, oppure rimanere la star di squadre non vincenti.

Nel film L’avvocato del diavolo c’è una scena in cui Kevin Lomax/Keanu Reeves e John Milton/Al Pacino discutono sul tetto di un grattacielo, a Manhattan. Il primo è un brillante penalista della Florida, ed è in procinto di entrare nella squadra del secondo, padrone di uno studio legale di enorme prestigio. Solo che Milton sembra nutrire un dubbio sul suo prossimo acquisto: «La pressione. Cambia tutto quando vivi sotto pressione. Certe persone le spremi, e si svegliano. Altre, invece, crollano».

La carriera di Antoine Griezmann ha avuto uno sviluppo coerente eppure singolare, fin dal percorso di formazione: viene scartato da numerosi vivai francesi per la sua scarsa fisicità, a tredici anni si aggrega alla cantera della Real Sociedad, completa la sua maturazione a San Sebastián fino all’approdo in prima squadra. Nell’estate del 2014, dopo 202 partite e 56 reti con i baschi, passa all’Atlético Madrid e cambia la sua dimensione tattica: da esterno offensivo si trasforma in attaccante puro, indifferentemente prima o seconda punta. L’impatto sul grande calcio europeo è fortissimo, Griezmann unisce cifre realizzative in costante progresso (22 gol nella prima stagione a Madrid, 32 nella seconda) a una qualità assoluta nel gioco e nell’interpretazione del modello di Simeone. Per il tecnico argentino, Antoine è semplicemente «il miglior calciatore del mondo nella ricerca degli spazi». La supernova-Griezmann resta però parziale, è una sensazione descritta innanzitutto dai risultati: i Colchoneros perdono contro il Real Madrid, ai rigori, la finale della Champions League 2015/16, proprio Griezmann sbaglia un tiro dagli undici metri nei tempi regolamentari; poche settimane dopo, la Francia viene sconfitta dal Portogallo a Saint-Denis, nell’ultimo atto dell’Europeo. Oltre ai successi solo accarezzati, l’incompiutezza di Griezmann è anche ambientale: l’Atlético è un club condannato ad una condizione perenne di underdog, descritta perfettamente da Rory Smith sul New York Times: «La seconda squadra di Madrid soffre per la supremazia storica del Real, non è un juggernaut commerciale come il Bayern, o un marchio di lusso come il Manchester United. La sua identità è quella dell’eterna perdente, che cerca sempre di andare oltre i suoi limiti. Che sono chiari, definiti».

Il secondo trionfo mancato in poche settimane: la finale di Euro 2016, in cui Griezmann ha sfiorato due volte il gol di testa

Nel corso della sua carriera, Antoine Griezmann pare essere stato a suo agio in contesti tecnici e umani che alleggeriscono, rifiutano o subiscono le grandi responsabilità. In un pezzo di Bleacher Report, viene raccontato il suo mancato passaggio al Barcellona, ai tempi di Guardiola: «Pep e Txiki Begiristain hanno provato ad acquistarlo dalla Real Sociedad, ma Griezmann ha scelto di rimanere alla Real Sociedad pur di non sottoporsi all’apprendistato nel Barça B, necessario per arrivare a imporsi in prima squadra». Le esperienze di Griezmann non l’hanno costretto a fare i conti con lo stress emotivo di chi è obbligato alla vittoria, quando è entrato a contatto con questo tipo di pressione ha finito per bruciarsi, o quantomeno per ridimensionarsi. Possiamo riciclare le parole di John Milton: finora Griezmann è sembrato uno di quelli che crollano, quando li spremi. 

La situazione, però, potrebbe cambiare in tempi relativamente brevi. Se nell’estate 2016, pochi giorni dopo la finale dell’Europeo, Griezmann diceva di voler legare la propria ascesa personale ai successi dell’Atlético Madrid («Il mio obiettivo è sedermi allo stesso tavolo di Messi e Cristiano Ronaldo, e voglio riuscirci vincendo dei trofei con questa squadra»), le ultime dichiarazioni descrivono una situazione decisamente più incerta. Qualche settimana fa, in un’intervista a L’Équipe, Antoine ha utilizzato queste parole: «Ho intenzione di prendere una decisione sul mio futuro prima della Coppa del mondo, così da poter andare in Russia con la mente sgombra, e la giusta tranquillità». A 27 anni da compiere, Griezmann è di fronte a un bivio fondamentale per la sua carriera. Ed è evidentemente consapevole che i prossimi mesi saranno determinanti per approvare in maniera definitiva la sua iscrizione nell’elenco dei migliori calciatori al mondo.

In relazione a questa incertezza sul suo status, è probabile che Griezmann viva le stesse inquietudini di chi è chiamato a parlare di lui, ad esprimersi sulla sua condizione di fuoriclasse in fase di completamento. Al suo puzzle sembra mancare ancora qualche pezzo, dal punto di vista del palmarès – come detto sopra –, ma anche tecnico e psicologico. Il lavoro con Simeone ha permesso a Griezmann di diventare «il prototipo dell’attaccante moderno, in grado di finalizzare come di costruire l’azione, di occupare tante posizioni diverse, anche durante una sola partita» (Rory Smith su Espn); non a caso, il francese è il miglior realizzatore  (18 gol in Liga, 25 totali in stagione) ma anche il secondo calciatore dell’Atlético per occasioni create (54 in tutte le competizioni, con 11 assist decisivi). Allo stesso tempo, però, la natura del modello cholista potrebbe aver limitato la sua capacità di comprendere e interpretare e variare il gioco: il sistema di Simeone è «un’anomalia per i grandi club, che difficilmente scelgono moduli con due punte di ruolo e uno stile così legato alle transizioni» (These Football Times); inoltre, «tutti i giocatori che hanno lasciato l’Atlético hanno fallito le esperienze successive, oppure hanno deciso di tornare proprio all’Atlético» (parole della giornalista spagnola Patricia Cazon, riportate da Bleacher Report). Se parliamo di Griezmann, non è eccessivo inquadrare il club colchonero come una sorta di incubatrice, un ambiente protetto in cui è riuscito ad esprimersi al meglio. Al tempo stesso, però, le condizioni di un contesto unico potrebbero aver compromesso il percorso di definizione del suo valore.

L’ambiente particolare dell’Atlético può aver influenzato anche il profilo emotivo di Griezmann, che nel corso del tempo si è costruito un’immagine pubblica di grande impatto, spesso anche controversa. Per Inako Diaz-Guerra, giornalista di El Mundo, «gli errori comportamentali commessi da Antoine – per esempio quello di aver alimentato le voci su un suo possibile trasferimento al Manchester United, nell’estate del 2017 – nascono da una gestione non troppo professionale della sua comunicazione. Dietro di lui non ci sono un grande agente o un grande club, delle persone che sappiano come guidarlo, e questo fa in modo che venga considerato ancora come una sorta di calciatore-adolescente». È una definizione forse eccessiva ma non troppo distante dalla realtà, anche perché Griezmann ha una grande attenzione al contesto extracampo, ha costruito un’autonarrazione che qualcuno può percepire come un freno rispetto alla sua affermazione – ovviamente in senso distrattivo. Durante la prima parte di questa stagione, un periodo decisamente negativo per Antoine (appena tre gol in tutte le competizioni fino alla seconda metà di novembre, più una contestata espulsione contro il Girona), So Foot ha pubblicato un pezzo in cui venivano sottolineate e stigmatizzate le sue numerose iniziative: «Griezmann fa molta pubblicità, è l’editore di un fumetto, fa il doppiatore per lungometraggi animati. Non è un po’ troppo, forse? È ancora, principalmente, un calciatore?».

Probabilmente, il problema sta proprio in questo rapporto non ancora bilanciato tra i risultati del campo e la dimensione composita del personaggio Griezmann – intesa come sintesi di qualità del gioco e hype mediatico. Il percorso condiviso con l’Atlético non è riuscito a compiersi in maniera assoluta, e ora Antoine ha fretta di definirsi, anche perché c’è un’enorme differenza tra il tempo a disposizione di un aspirante fuoriclasse e quello su cui una società di calcio può fondare il suo progetto. Per comprendere qual è il reale valore di Griezmann, è necessario alzare l’asticella dell’ambizione: la fase finale dell’Europa League e il Mondiale con l’Atlético e con la Francia – squadre candidate alla vittoria nelle due competizioni – sono la prima parte di un percorso ideale che dovrebbe concludersi con il passaggio a un club ancora più importante, con l’accesso al livello superiore. Quello in cui si interagisce e ci si confronta quotidianamente con i migliori del mondo, con se stessi, con l’obbligo della vittoria.

 

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