Roberta Vinci e una carriera in una partita

Si è ritirata una delle migliori tenniste italiane, che resterà nella storia per la vittoria contro Serena Williams agli Us Open del 2015.

A volte non è necessario trionfare per rimanere nel mito o nell’immaginario dello sport. Una lezione che nel corso dei decenni ci è stata insegnata da molti. Da Gilles Villeneuve, che quando trovò la morte in quella sessione di prove a Zolder nel 1982 aveva lasciato nel cuore degli appassionati molto di più di quanto messo personalmente in bacheca (sei vittorie totali in Formula Uno e nessun titolo iridato). Una lezione che ci ha insegnato anche il meraviglioso Henri Leconte (“solo” una finale Slam al Roland Garros come miglior risultato in carriera), per citare un collega di Roberta Vinci che, dopo 19 anni di professionismo, ha deciso di dire addio al tennis interrompendo una carriera iniziata a Taranto – dove è nata il 18 febbraio 1983 – e arrivata al suo climax massimo in un pomeriggio a New York nel settembre del 2015, quando si mise in mezzo tra Serena Williams e la storia. Forse in maniera differente Roberta Vinci, come i due nomi citati sopra, è destinata a iscriversi nel club di coloro capaci di entrare nella memoria senza far valere come motivazione un trionfo importante.

Roberta Vinci ha vinto tanto in carriera. Dieci titoli Wta (unica tennista italiana a vincere su tutte le superfici), quattro Fed Cup – insieme a Francesca Schiavone, Flavia Pennetta e Sara Errani – cinque titoli Slam in doppio (tutti in coppia con Sara Errani) con tanto di Career Grand Slam completato e numero uno mondiale. In singolare Vinci si è spinta fino al numero 7 in classifica nel maggio 2016. Eppure sarà proprio quella storica semifinale agli Us Open che rimarrà, più di qualsiasi titolo raggiunto. La finale tricolore che ne scaturì, crudele quanto memorabile, vinta da Flavia Pennetta per 7-6 6-2, fu la sublimazione di un’epoca forse irripetibile per il movimento tennistico femminile, iniziata nove anni prima a Charleroi in Fed Cup nel 2006 contro il Belgio di Justine Henin e terminata proprio con quell’ultimo atto tutto italiano. In mezzo – oltre alle 4 Fed Cup e al Career Grand Slam in doppio targato Errani-Vinci – anche tre finali al Roland Garros consecutive (trionfo e sconfitta di Francesca Schiavone rispettivamente nel 2010 e 2011 e sconfitta di Sara Errani nel 2012) e tre partecipazioni alle Wta Finals (Schiavone 2010, Errani 2012 e 2013).

Agli Us Open 2015 andò in scena l’upset più incredibile pronosticabile – terminato col punteggio di 2-6 6-4 6-4 – che unì un Paese, sportivamente coeso solo con il calcio, interrompendo il sogno di un altro Paese, quello americano, desideroso di festeggiare Serena Williams e quel Grande Slam che manca nel tennis dal 1988, quando a completarlo fu Steffi Graf. Una vittoria ottenuta grazie a giocate geniali e a una varietà assoluta nei colpi, figlie di un tennis antico d’altri tempi, tanto diverso da quello fisico e potente che trova nella Williams la sua migliore interpretazione. Una semifinale in cui Roberta Vinci ha saputo conquistare anche lo stesso pubblico statunitense, attraverso una sana e genuina simpatia italiana, che ha trovato in un «anche a me, cazzo!» di ribellione sportiva – al termine di un punto tanto bello quanto decisivo conquistato dalla Vinci sul 3-3 del terzo set – la sua massima rappresentazione. E anche se sappiamo quale sarà poi l’epilogo della finale, forse il ricordo più bello rimarrà quella seconda semifinale, conclusa con l’ennesima magia in demi-volèe, e talmente grande e imprevedibile da oscurare qualsiasi altra cosa. L’attesa per le semifinali imminenti di Roger Federer e Novak Djokovic, così come l’altra impresa di giornata a tinte tricolori. Quella di Flavia Pennetta, che distrusse Simona Halep per 6-1 6-3 nell’altra semifinale regalando ai colori italiani la prima rappresentante in assoluto – tra maschile e femminile – in finale a Flushing Meadows.

«Sono stanca ma sono felice». Ha voluto congedarsi così Roberta Vinci dopo la sconfitta nel primo turno degli Internazionali d’Italia contro Aleksandra Krunic per 2-6 6-3 6-0. Un ritiro romantico arrivato a 35 anni che Roberta Vinci ha voluto si realizzasse davanti a quel pubblico che tanto l’ha amata e ammirata, e che ora si chiede se sarà mai più in grande di meravigliarsi e di sentirsi unito sotto una stessa racchetta come è avvenuto in quel pomeriggio di tre anni fa, quando tra slice di rovescio e gioco al volto anche la più grande giocatrice della storia del tennis femminile si sentì inerte e senza soluzioni.