Cosa non va nel calcio di Candreva

L'Inter è migliorata nel gioco, ma l'esterno italiano è peggiorato: non ha ancora segnato e l'ultimo assist risale allo scorso dicembre.

Candreva è discusso, criticato e mal sopportato come giocatore. Pesa quello zero alla voce gol segnati in stagione, nonostante le 35 presenze e i 2500 minuti in campo, che aumenta la percezione di un titolare che, forse, sarebbe stato messo in discussione se l’unica alternativa in rosa non fosse stata il novellino, e discontinuo, Karamoh. La voce di fianco, quella degli assist, presenta un “otto” che posiziona l’esterno azzurro all’undicesimo posto della classifica degli specialisti del campionato. Ma siccome il problema dell’Inter in questa stagione è stata la mancanza di una fonte di gol alternativa a Perisic e Icardi (in due, 39 sui 63 totali della squadra), ed essendo Candreva il terzo elemento offensivo del pacchetto, i suoi assist sono oscurati dall’assenza di reti.

Il paradosso è che le qualità tecniche e tattiche di Candreva sono coerenti con il ruolo di esterno offensivo classico – corsa, resistenza, postura, coordinazione nei gesti tecnici – ma non con il ruolo di esterno offensivo oggi, nel calcio contemporaneo. Candreva è un prototipo fuori dal tempo, antistorico: sarebbe stato perfetto, ad esempio, largo nei 4-4-2 (non sacchiani) degli anni ‘90 che difendevano in blocco basso e risalivano il campo sfruttando le capacità aerobiche e atletiche degli uomini in fascia, con i due attaccanti che aspettavano il pallone cercando di preservarsi per poi costruire l’occasione da gol combinando tra di loro o trasformando i cross. Quell’idea di gioco è però (quasi) scomparsa e di certo non è quella a cui mira Spalletti, che negli ultimi mesi sta spingendo l’Inter verso un calcio associativo, con il baricentro da mantenere più alto possibile e la moltiplicazione dei fraseggi tra i giocatori. In questo contesto, Candreva è penalizzato in quanto calciatore ultra-specializzato in ciò che non serve più. In quanto interprete monodimensionale in un calcio a più dimensioni, che ha sempre meno bisogno di specialisti in favore di calciatori universali.

Voce del verbo: risalire il campo. È ciò che sa fare meglio, ma che diventa inutile giocando esterno offensivo. E allora, come terzino non potrebbe dare nuova linfa alla sua carriera?

Nell’Inter, poi, la monotonia di Candreva è sproporzionata rispetto alle responsabilità nella costruzione offensiva della squadra. Che sono e rimangono molte, perché è lo stesso Candreva a prendersele, ma avendo bisogno di sentirsi coinvolto nella partita, di toccare molti palloni, di moltiplicare le giocate, finisce per anteporre la quantità alla qualità. Il manifesto di questa criticità sono i cross. Secondo i dati WhoScored, Candreva è il secondo crossatore del campionato con 284 esecuzioni in 35 partite, una in meno di Kolarov, ma è primo nella lista nera degli imprecisi: i suoi traversoni inaccurati sono stati finora 223, il 79% del totale. In media, ogni partita Candreva confeziona 1,7 cross corretti e ne sbaglia 6,4, e ad ognuno di questi ultimi corrisponde un potenziale possesso perso, un’azione faticosamente costruita e gettata al vento, un movimento del compagno non premiato. E la prima vittima è Icardi, colui che non dovrebbe esserlo.

La miglior partita stagionale di Candreva è stata Inter-Chievo 5-0, all’andata: secondo Whoscored il rating fu pari a 9, eppure su 18 cross, 13 (in rosso) erano fallimentari. Un dazio troppo alto per averne 5 corretti, di cui un assist (in blu) e un key pass (in giallo)

In teoria, infatti, sono i cross di Candreva a doversi adattare ai movimenti del centravanti, non viceversa. Soprattutto quando il centravanti è Icardi, che basa il suo gioco sul tempismo, che si muove in area cercando di scomparire dai radar dei difensori per riapparire all’improvviso, quando il pallone deve essere puntualmente in arrivo e la difesa non avrà tempo per rimediare. Si può dire che quella di Icardi sia una danza in levare eseguita mentre la difesa si muove in battere che genera un varco temporale minuscolo da sfruttare, per cui c’è bisogno di una perfetta sincronizzazione con chi esegue l’assist. È quindi fondamentale il tempismo con cui vengono pensati ed eseguiti, i cross, prima che la loro qualità.

Come nel derby d’andata: Icardi ruba il tempo alla difesa e il cross di Candreva arriva puntuale

Molte assistenze di Candreva, pur tecnicamente perfette, finiscono nel vuoto diventando esecuzioni inutili perché eseguite fuori tempo, a prescindere dal contesto e dai movimenti di Icardi. È un rapporto di amore e odio perché i difetti di Candreva, quando emergono, fanno a pugni con i pregi dell’attaccante argentino. Quando l’esterno italiano dribbla, sterza, si ferma, e torna al punto di partenza, evidenzia la sua difficoltà nell’ideare una giocata per terzi prima che per sé, e in questi casi, perdendo uno, due, tre tempi di gioco, non solo permette alla difesa di posizionarsi, ma vanifica il lavoro di Icardi in area.

Il movimento di Icardi sul primo palo è perfetto, ma il pallone non arriverà mai

Nella prima metà di stagione, Candreva ha firmato 8 assist, di cui la metà ad Icardi, perché l’Inter tendeva a giocare in transizione. Arrivando in corsa sulla trequarti anziché ricevendovi da fermo (come invece è successo nella seconda parte di stagione), impediva a se stesso di pensare, limitando il difetto di scelta della giocata. Perché Candreva funziona così: meno tempo ha a disposizione, meno errori commette. Viceversa, quando può (o deve) ragionare, aumenta le imprecisioni. E più sbaglia, più si ostina nelle stesse giocate fallimentari, scivolando in un imbuto sia psicologico che geografico, perché essendo Candreva un destro che gioca a destra, fatica ad abbandonare la fascia e a convergere verso il centro del campo, sul suo piede debole, e così rimane sulla fascia e limita il catalogo già ristretto delle sue giocate.

Ad inizio anno Spalletti era riuscito a spingerlo verso il centro, dove in transizione diventava utile: questo il suo assist ad Icardi in Roma-Inter, alla seconda giornata. Un’eccezione

Non è un caso che l’ultimo assist risalga allo scorso 16 dicembre, in Inter-Udinese 1-3: da quel momento Candreva è scivolato nell’involuzione di gioco dell’Inter (che aveva smarrito la forza difensiva, e nel frattempo non aveva ancora trovato la qualità offensiva) e poi è stato penalizzato dall’evoluzione (una fase offensiva più corale e ragionata, grazie all’inserimento di Rafinha, Brozovic e Cancelo), che lo ha trasformato nel bug del sistema. L’ultima versione dell’Inter non prevede rapide pennellate verticali ma un contesto dove sono in primo piano il ragionamento e la precisione delle giocate e in cui Candreva è un prigioniero, perché è costretto a fare ciò che non vorrebbe fare: rallentare. Così genera un effetto distorsivo: se la squadra nerazzurra ora alterna varie andature, Candreva non ha altre ritmo se non quello più alto.

Avrebbe tempo e spazio per pensare, magari puntare l’uomo o premiare l’accenno di sovrapposizione interna di D’Ambrosio, e invece il cross è la prima idea, ed è irreversibile