Tre cose sulla trentottesima giornata di Serie A

L'epilogo incredibile di Lazio-Inter, la stagione in doppia cifra di Patrick Cutrone, la salvezza della Spal raggiunta grazie alle reti di Antenucci

Chiusura col botto

Le premesse per una partita memorabile c’erano tutte: il calendario aveva escogitato, involontariamente, la disputa di uno spareggio per decidere a chi spettasse l’ultima posizione utile per la qualificazione in Champions League. L’Inter ha vinto al termine di una partita che, a buon diritto, può essere considerata tra le più belle del campionato: merito di stravolgimenti continui, ritmi altissimi, giocate sopraffine e colpi di scena. Quello decisivo, e anche inaspettato, è stato il crollo mentale della Lazio che, dopo aver controllato la partita per un’ora abbondante, si è lasciata sfuggire in una manciata di minuti un obiettivo che pareva vicinissimo – tra pareggio di Icardi, espulsione di Lulic e 3-2 di Vecino sono trascorsi circa 200 secondi. Al di là di sanguinose defezioni – Luis Alberto, Parolo, più la condizione non ottimale di Immobile, uscito poco prima del patatrac biancoceleste – la Lazio ha mandato all’aria la qualificazione in Champions esattamente come aveva sperperato il pass per le semifinali di Europa League. Allora, la squadra di Inzaghi aveva incassato tre gol in quattro minuti dal Salisburgo, salutando così la competizione: l’analogia con la serataccia dell’Olimpico – un crollo verticale, fragoroso – è evidente.
Dall’altra parte, l’Inter centra un traguardo che appena pochi giorni fa, dopo la sconfitta interna contro il Sassuolo, sembrava compromesso. La pericolosità della Lazio, continua, di alto livello, faceva apparire la manovra dei nerazzurri ingolfata e stantia: solo qualche accelerazione e cross di Cancelo metteva in subbuglio la difesa avversaria, per il resto Perisic si accendeva a sprazzi, Candreva non trovava mai il tempo della giocata, Rafinha e Icardi erano inghiottiti nel mare magnum della partita. Ma la squadra di Spalletti si è dimostrata più forte mentalmente, replicando, per ironia della sorte, quello che aveva patito qualche settimana fa nella partita contro la Juventus: un uno-due micidiale, dove la consapevolezza, più che il gioco o la qualità, ha avuto la meglio. Regalando un finale di campionato pazzo come pochi, e soprattutto ai nerazzurri una Champions che mancava da sei anni.

Il colpo di testa di Vecino che ha consegnato all’Inter il quarto posto

Patrick Cutrone, un anno dopo

Il Milan 2016/17 ha iniziato la stagione con tre prime punte e poi si è ritrovato con due, dopo la partenza di Luiz Adriano a gennaio. Poco male: nel 4-3-3 di Vincenzo Montella, con Suso a destra e Niang prima e Deulofeu poi a sinistra, c’era spazio per un solo attaccante centrale, uno tra il fischiato Bacca e il generoso, ma poco efficace, Lapadula. Patrick Cutrone, stella della Primavera, ha esordito in Serie A al 40′ del secondo tempo della penultima giornata di campionato, vinta 3-0 contro il Bologna. Era il 21 maggio 2017, esattamente un anno fa, e Montella veniva lanciato in aria per aver raggiunto il traguardo stagionale, il sesto posto. In un anno, sesto posto a parte, è cambiato tutto. È cambiato l’allenatore, sono cambiate le ambizioni del Milan, è cambiata soprattutto la carriera di Cutrone. A 20 anni ha segnato 18 gol in stagione, raggiungendo la doppia cifra in campionato con la doppietta alla Fiorentina (un bel tuffo di testa sul primo palo in anticipo sul difensore, un po’ come l’incornata nella prima giornata a Crotone, e un tiro che ha sorpreso Dragowski), e ha giocato 300 minuti in meno di Kalinic, risultando molto più decisivo dell’ex viola. Cutrone si è guadagnato la permanenza in prima squadra dimostrando che la doppietta di luglio al Bayern Monaco non era solo calcio estivo e ha messo la firma sulle due migliori partite dell’altalenante stagione del Milan: una emotiva, il derby di Coppa Italia con il gol ai supplementari, e una tecnica, il 2-1 sulla Lazio di fine gennaio. Patrick Cutrone ha ancora parecchi limiti – la difesa del pallone, l’approccio ai match da titolare (rivedersi il tiro, centrale, nel primo tempo della finale di Coppa Italia) – ma basta il dato dei gol segnati (due in più di quelli di Kalinic e André Silva sommati) per capire che, senza di lui, la stagione del Milan avrebbe potuto prendere una piega decisamente peggiore. E questo basta, almeno, per confermargli la fiducia l’anno prossimo.

La primavera di Antenucci

Mirco Antenucci ha 33 anni e la barba folta, un passato in Inghilterra che lo fa sembrare uno di quei marinai d’altri tempi. Per la salvezza della Spal servivano bucanieri navigati e lui tra tutti lo era sicuramente. A inizio anno nessuno avrebbe scommesso su di lui: troppo importanti i nomi di Floccari, Paloschi, Borriello su tutti, per trovare posto. Invece Antenucci ha spalmato con parsimonia i gol lungo tutta la stagione, 11 reti che sono servite e molto alla squadra di Semplici. Nell’ultima di stagione contro la Samp l’attaccante ha estratto dal proprio personale bagaglio la performance da giocatore offensivo che vorresti sempre avere in squadra: due gol, un quasi assist, corsa continua e la sicurezza regalata ai propri compagni di avere al proprio fianco un talismano infallibile. Comincia dopo 4 minuti calciando con precisione e freddezza un calcio di rigore con il pallone che in certi casi pesa come un masso, replica al 52’ quando Viviani gli offre un assist largo sull’esterno che lui controlla e calcia accentrandosi e battendo di destro sul secondo palo di Belec. Antenucci incide per circa il 30% dei gol della sua squadra mentre la Spal fa 3 vittorie nelle ultime 4, lui arriva in doppia cifra mettendo insieme 11 realizzazioni e tornano in mente le parole sulla sua formazione calcistica: «Ho cominciato sull’asfalto del paese. E sono convinto che ai bambini di oggi servirebbe la strada: lì si impara più in fretta, crescono le doti tecniche ma anche quelle caratteriali, ci sono confronti, il più timoroso deve rapportarsi con quello più aggressivo. Ti arrangi e questo ti aiuta». Se lo dice lui, dopo una stagione di alti e pochissimi bassi, viene quasi da credergli nonostante suoni un po’ retorico.

Praticamente onnipresente