Emery, Tuchel e il fascino degli emergenti

Lo spagnolo è il nuovo allenatore dell'Arsenal, il tedesco è andato al Psg e Kovac al Bayern: perché alcune big europee preferiscono nomi poco altisonanti.

«Puoi avere una macchina potente ma, se non hai un grande pilota, non vincerai corse prestigiose. Vale lo stesso per il Psg. È una delle ragioni principali – se non la principale – del fatto che, nonostante un corposo investimento, la squadra non è riuscita ad andare oltre gli ottavi di finale di Champions League. Non hanno mai avuto l’uomo giusto al timone». Scrivendo di Unai Emery lo scorso marzo, Julien Laurens su Espn bocciava senza mezze misure non tanto l’operato in Francia del tecnico spagnolo, ma la scelta stessa della dirigenza del Psg, ormai due anni fa. Nella critica, dura e impietosa, Laurens precisava che né Emery né il suo predecessore, Blanc, fossero i profili ideali per una squadra così ambiziosa come il Psg: «Non sono andati nemmeno vicino a competere con gli allenatori di prima fascia, semplicemente perché non fanno parte di quella categoria». Un giudizio che non lascia possibilità di appello.

Unai Emery è da poco diventato il nuovo tecnico dell’Arsenal. L’addio dell’ex Siviglia al Psg era risaputo da mesi, da quando, come ricordava Laurens, il Psg era uscito agli ottavi di Champions contro il Real Madrid – e non è che un anno prima fosse andata meglio, anzi, quella era stata l’annata dell’umiliante 1-6 a Barcellona. Potrebbe sembrare avventato o, peggio, sbagliato affidare una panchina come quella dell’Arsenal – orfano di Wenger dopo 22 anni di onorato servizio, ma soprattutto orfano di vittorie in Premier da quasi 15 anni – a un allenatore reduce da un’esperienza, quella parigina, tutt’altro che entusiasmante. L’Arsenal avrebbe potuto scegliere un tecnico di prima fascia, ma non l’ha fatto, anzi, non voleva: il principale concorrente di Emery nella corsa al post Wenger era Mikel Arteta, ex giocatore dei Gunners e assistente di Guardiola al City. Con una controindicazione: a digiuno totale di esperienza in panchina.

È fin troppo chiaro che l’Arsenal volesse ingaggiare un allenatore emergente, o quantomeno non di grido. Non certo per bissare l’operazione Wenger, che nel 1996 era un semisconosciuto 47enne francese con in più un insolito trascorso in Giappone – i tempi, e soprattutto il management dei Gunners, sono cambiati fin troppo. Piuttosto, è una strada che molti club di prestigio stanno intraprendendo: lo confermano il Psg, che ha scelto Tuchel, e il Bayern, che ha affidato la propria panchina a Kovac. Rientrerebbero nella categoria anche Zidane e Valverde, anche se nel primo caso si è trattato di cambio in corsa diventato definitivo – e di successo – da sperimentale, nel secondo si parla di un club – il Barcellona – orientato a richiamare profili che abbiano assorbito i germi della filosofia Cruijff. Ma è una strategia che potrebbe fare adepti anche a Stamford Bridge, dove tra i nomi più gettonati per prendere il posto di Antonio Conte ci sono Maurizio Sarri e Slavisa Jokanovic, tecnico del Fulham.

Che non sia un rigurgito di “guardiolismo” – definizione fin troppo abusata, in quanto la si associa all’età dell’allenatore piuttosto che alla sua formazione – lo spiega il fatto che, per prendere in considerazione i casi recenti, né Emery né Tuchel hanno mai avuto legami con i loro futuri club; anzi, ancor più drasticamente, nemmeno con i loro background calcistici nazionali di riferimento. È una scelta di campo, consapevole e guidata. Pur avendo a che fare con situazioni profondamente diverse, si possono ravvisare motivazioni comuni.

Innanzitutto, di allenatori di questo tipo è apprezzato il loro approccio al lavoro – meno dogmatico, aperto a una costante ridiscussione di sé e del materiale a disposizione. Di Emery si esalta la sua maniacalità: descritto come ossessivo, fanatico del lavoro, “workaholic”, per utilizzare un termine inglese. Trascorre infinite ore davanti ai video per spulciare ogni singolo particolare che gli può tornare utile, tanto che Joaquín una volta disse scherzosamente – ma forse no – che i video che sottoponeva alla squadra erano fin troppi da fargli esaurire rapidamente i pop corn. Pare che, nei colloqui con Emery, i dirigenti dell’Arsenal siano rimasti particolarmente impressionati dalla conoscenza approfondita di ogni singolo giocatore, e del modo in cui può migliorarli. Questo incessante lavoro presuppone perciò numerosi e continui aggiustamenti, in un’ottica di perfezionamento. Il modulo preferito di Emery è il 4-2-3-1, ma al Psg è stato prontamente accantonato quando si è scontrato con esigenze – e umori – dei calciatori.

E qui si arriva al secondo aspetto determinante. Sono i calciatori al centro del progetto, non l’allenatore: i Mourinho e i Guardiola sono nomi fin troppo ingombranti, e accentratori dell’attenzione mediatica, per un progetto come quello del Psg, per esempio. Ancor prima della firma, Thomas Tuchel ha incontrato Neymar: avere il benestare del brasiliano, per nulla catturato da Emery e oltretutto con “pericolose” idee di lasciare la Francia, era fin troppo importante per la dirigenza parigina. Coinvolgere il calciatore più rappresentativo, sviluppare un’ottima relazione con l’allenatore, farlo sentire al centro del progetto: Tuchel, in questo senso, svolge il delicato ruolo di estintore dell’incendiaria situazione. Lo stesso tecnico tedesco ha parlato del suo incontro con Neymar: «L’ho incontrato, è andata molto bene. È un artista, è eccezionale. Ho trovato il nostro incontro molto gradevole, e lui era molto ben disposto. Abbiamo parlato di calcio, di tattica. L’ho visto sorridere ed è questo che voglio da lui».

Difficile pretendere una simile apertura da parte di José Mourinho, che non si sta facendo nessun problema a mettere a rischio l’investimento da oltre 100 milioni di euro del Manchester United per Pogba. E nel rapporto tra giocatori e allenatori alcuni club preferiscono che siano questi ultimi a fare un passo indietro: persino un tecnico navigato e abile gestore come Carlo Ancelotti si è trovato alle prese con incomprensioni e discussioni con i senatori del Bayern Monaco, qualche mese fa. «Si è messo contro cinque giocatori importanti della rosa, e non avrebbe più potuto farcela: non puoi avere i giocatori più importanti tutti contro di te», disse il presidente dei bavaresi Hoeness motivando l’esonero del tecnico italiano. Cos’è successo dopo? Il Bayern ha scelto Heynckes fino a fine stagione, e a seguire Niko Kovac, allenatore di quell’Eintracht che proprio contro i bavaresi ha vinto la Coppa di Germania. Entrambi con un passato nel Bayern – Kovac è stato giocatore dal 2001 al 2003 – e perciò a conoscenza delle dinamiche, e degli equilibri, del microcosmo del club.

Terzo aspetto, il vantaggio di un allenatore con pochissime – o nulle – interferenze sul mercato. Che sia un club con mire fantascientifiche – come il Psg – o che necessiti di una figura di questo tipo – il ruolo di Wenger era fin troppo ingombrante nell’Arsenal, a maggior ragione ora che il budget per il prossimo mercato (come riporta Espn, intorno ai 50 milioni di sterline) sarà tutt’altro che strabiliante. Pare che Arteta abbia espresso qualche dubbio sulle restrizioni decisionali che avrebbe avuto sul mercato, e questo è stato un altro punto determinante a favore di Emery, tutt’altro che interessato ad avere voce in capitolo in quest’ambito – chiedere a Monchi, che ha costruito il Siviglia libero da pressioni dei tecnici. Né dev’essere sfuggito a Ivan Gazidis quanto succedeva a pochi chilometri, dalle parti del Chelsea, dove Antonio Conte a più riprese ha apertamente criticato il mercato condotto dal club.

Ci sono, come ovvio, motivazioni più personali. Da Emery ci si aspetta un lavoro sui giovani che dia risultati importanti, con alcuni giocatori dell’Academy dell’Arsenal attesi al salto di qualità – come Nelson, Willock, Nketiah e Maitland-Niles. Il Psg ha scelto Tuchel perché determinato a proporre un calcio offensivo, che esalti le qualità dei giocatori ma che serva anche da richiamo per i tifosi: «Il suo spirito competitivo e la sua preferenza per un calcio d’attacco sono in linea con quello che abbiamo sempre voluto per il Psg», ha detto il presidente del club Al-Khelaïfi, a cui hanno fatto seguito le parole di Thiago Silva: «Pur essendo tedesco, ha un approccio brasiliano al gioco».