Le differenze del calcio arabo

Fin dalla nascita, Arabia Saudita ed Egitto hanno sempre vissuto lo sport in modi diversi.

Guardando al di là del Mediterraneo, spingendosi fino al Mar Rosso, al canale di Suez e alla penisola del Sinai, non si possono fare a meno di notare le differenze fra due Paesi dall’identità solida come Egitto e Arabia Saudita. Caratteristiche istituzionalizzate, tratti distintivi radicati nei secoli, costumi e atteggiamenti inscritti nella società, nella politica e, di conseguenza, anche nel modo di concepire lo sport. I Faraoni e i Falchi Verdi di Riyadh sono la cartina tornasole di due concezioni arabe distinte e antitetiche – due modelli destinati a dialogare e confrontarsi sui campi da calcio come nella loro regione.

1961 – Il primo incontro ai giochi Panarabi

I Giochi Panarabi rimangono l’emblema dell’appartenenza transcontinentale a un’identità che supera le separazioni politiche dei confini. La cultura araba celebra le sue radici con un appuntamento olimpico esclusivo. Succede dal 1953, a intervalli variabili scanditi da scontri, tensioni e guerre più o meno cruente. È durante l’edizione del 1961 che Egitto e Arabia Saudita si affrontano per la prima volta in una competizione ufficiale su un campo da calcio. I Giochi sono quelli di Casablanca: la distanza d’esperienza fra le formazioni è ancora incolmabile, i toni fra i paesi sono irrigiditi dalla questione yemenita.

È il 3 settembre 1961, si gioca allo stadio Mohamed V. La squadra egiziana compete sotto il nome di Repubblica Araba Unita: ha conoscenze tecniche perfezionate in quattro decenni di storia e gioca un buon calcio – qualità che le varranno il secondo posto in classifica. Dall’atro lato del campo, la formazione di Riyadh, ancora acerba, si affaccia solo per la seconda volta alla competizione internazionale. Le distanze si vedono nei 90 minuti e si leggono nel punteggio. Termina 13-0 per i Faraoni: Badawi Abdel Fattah segna quattro delle cinque reti che gli varranno il titolo di capocannoniere; tre marcature a testa sono firmate da Hassan El-Shazly e Ismail. L’Arabia Saudita inghiotte la sconfitta senza modificare il percorso che segnerà la sua struttura calcistica: un percorso conforme alla resistenza del Paese nei confronti delle logiche e delle norme occidentali.

 

Le due federazioni – Tra Mediterraneo e identità araba

Il calcio egiziano ha radici che affondano negli anni venti del Novecento. La Federazione del Cairo anticipa la sua fondazione di decenni rispetto al resto del mondo arabo e il 3 dicembre 1921 deposita l’atto costitutivo. In quell’organizzazione che prende forma poco dopo il termine della Prima Guerra Mondiale stanno l’ambizione e l’orgoglio di un popolo che, da sempre, interagisce e influenza la regione araba tanto quanto l’Europa. Il Paese è impegnato in una rivoluzione indipendentista per liberarsi del protettorato britannico: tutte le classi sociali e i maggiori gruppi religiosi sostengono gli sforzi della rivolta fino al 22 febbraio 1922, data della dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Malgrado il dominio britannico, gli egiziani non maturano un sentimento di avversione nei confronti dei costumi europei. Anzi, nel calcio trovano un’occasione per competere a livello internazionale con le maggiori potenze di quel momento storico. Il movimento cresce negli anni: dai primi incontri fra studenti prende forma un torneo nazionale strutturato e la Federazione viene riconosciuta dalla Fifa nel 1923. L’Egitto sarà la prima Nazionale africana e araba a qualificarsi per un Campionato del mondo nel 1934.

Sull’altra sponda del Mar Rosso si dovranno attendere parecchi decenni prima di veder nascere una vera e propria istituzione calcistica. È il 1956 quando Riyadh decide di dare un organo istituzionale a tornei interni e club. La costituzione della Federazione calcistica dell’Arabia Saudita è significativa di una vera e propria ondata araba nel mondo del pallone. Nel corso degli anni Cinquanta si regalano, infatti, un organigramma calcistico anche Tunisia, Marocco, Kuwait, Bahrein e Qatar; imitate, poco più tardi, da Algeria ed Emirati Arabi Uniti. La Nazionale saudita è esclusa (o auto-esclusa) dalle più importanti competizioni internazionali fino al 1984, anno in cui si qualifica e trionfa in Coppa d’Asia. I Falchi Verdi si fanno notare sul palcoscenico più prestigioso un decennio più tardi. Durante i mondiali di Usa ’94, sorprendono il mondo superando Belgio e Marocco e qualificandosi ai sedicesimi di finale come secondi nel girone. Malgrado i successi internazionali, le regole imposte dalla Federazione tanto quanto le prassi adottate da club e organi dirigenti rimangono tese a “preservare” il movimento all’interno dei confini permeati di rigore islamico e regole conservative. L’attitudine protettiva della cultura autoctona si allarga al calcio come a qualsiasi altro costume sociale. La chiusura verso il resto del mondo è palesata dai pochissimi giocatori a cui viene concesso il diritto di emigrare verso il vecchio continente.

Lo storico – Dal dominio egiziano alla Confederations Cup del 1999

Se i Faraoni che hanno marcato presenza e si sono distinti nei maggiori campionati sono centinaia, lo stesso non si può dire dei calciatori sauditi. Bisogna, infatti, attendere fino al 1999 per vedere il primo giocatore con la maglia di una società europea: si tratta di Fahad Saleh Al-Ghesheyan – centrocampista che vestirà la maglia dell’AZ Alkmaar per pochi mesi e con scarsi risultati. Il precedente storico è, tuttavia, lontano dal dare il la a un atteggiamento di apertura. Fino a oggi, rimangono, infatti, nell’ordine delle decine i sauditi che giocano o hanno giocato per club stranieri. La chiusura delle istituzioni e le clausole proibitive dei ricchi club del Paese rimangono barriere solide che proteggono il movimento calcistico dai contatti con l’esterno.

La contaminazione con altre culture e la competizione con realtà tecnicamente più avanzate portano vantaggi importanti sul piano dei risultati, almeno fino a un certo punto della storia. Lo si legge con chiarezza scorrendo i risultati degli incontri fra Egitto e Arabia Saudita. L’esperienza internazionale dei Faraoni e le radici ben più solide del movimento sembrano spiegare il dominio egiziano nello storico dei confronti. Si dovrà, infatti, aspettare fino alle porte del nuovo millennio per vedere la prima vittoria della squadra saudita. Durante la Confederations Cup del 1999, sotto il sole soffocante di Città del Messico, Marzouk Al Otaib condanna con quattro reti gli uomini di Mahmoud El Gohary. L’incontro finirà 5-1 e resterà l’unica sconfitta dell’Egitto contro l’Arabia Saudita. Una sconfitta che sembra segnare definitivamente la parità tecnica delle forze in campo e l’equilibrio organizzativo dei due movimenti.

 

La partita del 2018 – Modelli contrapposti e calcio contemporaneo

Egitto e Arabia Saudita sono politicamente più vicini oggi che in altre occasioni (i due Paesi hanno trovato un punto di convergenza nella lotta contro i ribelli sciiti nello Yemen). I modelli calcistici rimangono, invece, ancora agli antipodi. Il calcio è stato veicolo della protesta durante i giorni della primavera araba egiziana. Subito dopo, l’Egyptian Premier League è stata sospesa per due anni anni consecutivi: prima per via delle tensioni politiche sfociate negli scontri fra ultras di Port Said Stadium (2011/12); poi, per il colpo di Stato di al-Sisi (2012/13). Poco male per la Nazionale, che continua a esportare calciatori in tutt’Europa allineandosi alla natura globalizzata del calcio contemporaneo. A Riyadh, le fascinazioni di calciomercato e la retorica occidentale della Fifa hanno avuto solo microscopiche conseguenze sul movimento. Tuttavia, la spinta innovatrice del principe ereditario Mohammed Bin Salman ha portato delle novità anche nel mondo del pallone. Il cambiamento più radicale è il permesso accordato alle donne di accedere agli stadi (anche se rimangono bandite le squadre femminili), mentre la tendenza protezionista a mantenere i talenti della Nazionale all’interno del Paese ha visto rarissime deroghe. Sono ancora pochissimi i calciatori che espatriano per giocare nei principali campionati esteri, come pochi rimangono gli stranieri che approdano nei club sauditi. Egitto e Arabia Saudita si affronteranno, ancora una volta, il 29 giugno a Volgograd. L’incontro è l’occasione per apprezzare due modelli sociali, istituzionali, culturali e, quindi, calcistici: due modelli contrapposti all’interno della stessa cultura araba; due modelli che si sfidano ora che lo scarto di maturità è livellato.