Le contraddizioni della Francia

La Nazionale di Deschamps non ha mai convinto, eppure sembra disporre di un potenziale superiore rispetto a qualsiasi altro competitor.

La serie dei knock-out games del Mondiale si apriva con quello più scoppiettante, l’ottavo che metteva di fronte Francia e Argentina. Ad avere la meglio, in uno scontro dove nessuno è parso realmente convinto della propria superiorità, è stata la squadra più in salute e – sempre che abbia senso parlarne in un Mondiale – meno carica di pressioni. La Francia di Deschamps ha trovato un contesto favorevole ad amplificare i propri punti di forza e l’efficacia della propria strategia, finendo per offrire segnali interessanti in una duplice prospettiva: da un lato confermando di appoggiarsi ad una ideologia tattica essenziale, e quindi, dall’altro, alimentando i dubbi che vi gravitano attorno.

Riguardo il primo punto, trattiamo di un tema noto già da ben prima dell’inizio della competizione. Ne ha scritto Giorgio Coluccia, mettendo in luce lo scarso apprezzamento dell’opinione pubblica francese nei confronti di Deschamps, cui viene da tempo imputata una scarsa valorizzazione dell’eccellente capitale umano a sua disposizione. In sintesi: Deschamps può lavorare con una straordinaria generazione di talenti, eppure la sua Francia non brilla, nel senso che non dà sfogo fino in fondo – come altri fanno, o hanno fatto – alle proprie qualità. Una argomentazione che è stata valida durante le qualificazioni degli ultimi due anni ed è valida in qualche modo anche oggi, a due giorni dalla vittoria contro l’Argentina.

La Francia nel girone

Prima di disputare gli ottavi, però, i francesi avevano già lasciato al campo i primi verdetti. Campo che non si è rivelato così eloquente come nel caso di altre Nazionali (Belgio e Inghilterra, Argentina e Germania), ma che comunque ha dato alcune indicazioni su ciò che la Francia sa fare e ciò che sa fare meno. Su tutti, un elemento è fondamentale per comprenderne lo stile di gioco. Ovvero: i Bleus faticano a rendersi pericolosi quando si trovano a dover gestire il pallone. Preferiscono non farlo. Nelle tre partite del girone, contro Australia, Perù e Danimarca, il dato riferito al possesso palla si è mostrato in evidente relazione con la pericolosità offensiva. Nell’unico contesto – l’ultima gara, quella contro i danesi – in cui la Francia ha mantenuto un controllo netto del gioco, le occasioni create nei dintorni dell’area avversaria sono state poche in quantità e scarse in qualità. Confrontando questo dato con le partite precedenti si ha la riprova: oltre ad aver vinto sia contro l’Australia che contro il Perù, in entrambi i casi la Francia ha creato nettamente più occasioni rispetto a quanto accaduto con la Danimarca. Insomma, quando la partita è stata equilibrata sul piano del gioco (Australia) o persino quando hanno teso a farla gli altri (Perù), la Francia ha totalizzato circa 1.6 xG in media; viceversa, quando è stata costretta dagli avversari a gestire il possesso (Danimarca) ha tirato in porta tre volte con appena 0.4 xG.

Ora, è evidente che tre partite siano un campione troppo ristretto per una statistica che, se interpretata alla lettera, lascia comunque il tempo che trova. Però ci dà un’informazione preziosa sul principio che per primo identifica la Francia di Deschamps, e la mette in contrasto con altre Nazionali magari meno talentuose, ma organizzate in modo tale da poter creare, e segnare, senza la necessità di farlo a campo aperto. Campo aperto, una situazione molto ricorrente e spesso decisiva per i Bleus: il primo calcio di rigore del torneo, assegnato a Griezmann a seguito del fallo commesso da Risdon, ha origine proprio da una profonda imbucata verticale di Pogba all’indirizzo del compagno.

Contro l’Australia, la Francia l’ha sbloccata così

Ma i dubbi più consistenti, in particolare dopo la gara d’esordio, hanno riguardato un reparto offensivo troppo sconnesso dal resto della squadra, condizione che spesso ha costretto Griezmann, Dembélé e Mbappé ad optare per soluzioni individuali. Contro l’Australia tutti e tre hanno mantenuto valori sotto gli standard in precisione dei passaggi, successi negli uno-contro-uno e occasioni create, convincendo Deschamps a puntare su Giroud (e Matuidi) a partire dal secondo turno. Non è un caso che le prestazioni di Mbappé (soprattutto) e Griezmann siano progressivamente cresciute. Un altro punto critico emerso dalla partita contro l’Australia è stato l’apporto insufficiente da parte di laterali e centrocampisti. Pavard e Lucas Hernandez sono due giocatori fisici e dalle spiccate qualità difensive, a cui Deschamps non può né vuole chiedere sforzi prolungati nella metà campo avversaria. Se il loro baricentro tende ad essere piuttosto alto è perché la Francia costruisce spesso abbassando Kanté tra i centrali; modalità che influenza la posizione media dei laterali, ma che riguarda solo marginalmente la loro partecipazione offensiva. A testimonianza di ciò, prima degli ottavi totalizzavano zero cross riusciti ed un passaggio chiave a testa. Per avere un metro di paragone, l’anonimo Tagliafico era a quota quattro.

La Francia contro l’Argentina

Con queste premesse, è chiaro che il boccone più prelibato da servire in pasto alla Francia non poteva che essere una squadra poco fluida, ma nonostante questo non rinunciataria, e con in più una linea difensiva molto lenta nei singoli. In una parola: l’Argentina di Sampaoli. Proprio il ct dell’Albiceleste nel postpartita dirà: «Abbiamo giocato contro una squadra davvero molto, molto forte nelle transizioni». La velocità nelle transizioni, spesso e volentieri veri e propri contropiedi, è stata l’arma con cui la Francia ha strappato la qualificazione ai quarti di finale in una partita che fin dall’inizio lasciava intuire quale sarebbe stato il copione. Palla agli argentini, che in tutte le tre partite del girone avevano mantenuto un netto – e sterile – possesso (media del 67%), e spazi ai francesi, meglio disposti tatticamente nonostante una falla enorme a sinistra, causata dalle non-salite di Matuidi e dall’accentramento di Griezmann.

Dando continuità agli indizi raccolti durante il girone, la Francia ha scelto la via attendista giocando sulle debolezze degli avversari. Si è chiusa bene per tutto il primo tempo, tenendo linee strette e applicando una prima pressione molto aggressiva sui giocatori più creativi. Sul fronte offensivo i Bleus si sono appoggiati soprattutto alle accelerazioni di Mbappé, una delle quali ha portato al rigore dell’1-0. All’intervallo le percentuali di possesso palla erano così distribuite: 33 Francia, 67 Argentina. Peccato che a giocarla, come ha giustamente fatto notare Deschamps nel postpartita, fossero perlopiù Otamendi, Banega e Mascherano in zone fredde. Il ribaltamento del secondo tempo ha complicato le cose per i francesi, costretti a scoprirsi, ma il 2-2 è arrivato presto consentendo di affrontare la mezz’ora finale con la stessa prudenza dei primi sessanta minuti. Una Argentina pericolante in ogni momento della gara è stata d’aiuto, e le reti numero tre e quattro sono arrivate nel giro di poco entrambe con un significato differente: la prima costringe ad una nota di merito nei confronti di Lucas Hernandez, visto che nel momento più importante è emerso concretamente il suo apporto alla fase offensiva (due passaggi chiave per altrettante reti dei suoi); la seconda invita ancora una volta alla riflessione sull’essenzialità del gioco della Francia, che in una decina di secondi, approfittando della passività degli avversari, riesce a passare da Lloris a Mbappé chiudendo così i giochi. Una manovra che evidenzia come i francesi siano a loro agio quando possono attaccare rapidamente in verticale.

La rete del 4-2, a gran velocità

Chi è meglio di questa Francia?

Su Squawka Muhammad Butt ha commentato così il successo dei Bleus: «Alla fine la Francia ha avuto la meglio, ma è dipeso ben più dal genio individuale di Pavard e Mbappé che da qualsiasi cosa Deschamps abbia fatto». O ancora, Jonathan Wilson sul Guardian: «Forse la Francia di Deschamps è diventata una fluent attacking unit; o forse l’Argentina l’ha semplicemente fatta apparire tale». Sono due riflessioni sovrapponibili, vogliono dirci che in fondo non è sempre tutto oro quel che luccica. La Francia ha sì passato il turno, ma lo ha fatto rischiando fino all’ultimo secondo contro un’Argentina che a stento è riuscita a qualificarsi per gli ottavi. E ha sì segnato quattro reti, ma con un valore in conversione che non si registra certo tutti i giorni (quattro tiri in porta), e oltretutto ne ha anche subite tre.

Considerando le quattro gare disputate in Russia sin qui, non ce n’è stata una in cui la Francia abbia convinto del tutto. Non una, inoltre, in cui la vittoria sia arrivata con più del minimo sindacale di una rete di scarto, in continuità con quanto accaduto spesso nei due anni delle gare di qualificazione. Fattore che può essere indice di mentalità vincente, ma alla lunga insinua anche qualche dubbio sulla difficoltà nel chiudere le partite. La tendenza generale, per quanto riguarda le Nazionali che stanno ottenendo ottime prestazioni oltre ai risultati, ha premiato le squadre verticali più di quelle riflessive: Croazia e Uruguay lo dimostrano in un senso, Germania e Spagna nell’altro. Concentrandoci sulla Francia, è fondamentale porsi una domanda: è Deschamps che con le sue idee propaga un calcio diretto e simil-conservativo, oppure sono le caratteristiche dei suoi giocatori migliori a suggerirglielo? A pensarci bene, i tre centrocampisti che ha prediletto sin qui (Kanté, Pogba e Matuidi) sono tutti reduci da stagioni in club di un certo tipo, dove si incoraggia un gioco più vicino a quello di questa Francia piuttosto che – esempio – a quello dell’Inghilterra di Southgate. Per Griezmann e Giroud vale un discorso simile, così come per i terzini. Comprensibile, anche se resta un fatto: vedere giocatori di quella caratura difendersi, pur con lodevole ordine, in undici dietro la linea della palla, non è un inno alla qualità.

Ma andando oltre alla forma, perché in una competizione corta come il Mondiale così la si può chiamare, la sensazione è che le squadre in grado di abbinare il talento della Francia ad un’organizzazione offensiva più fluida siano poche. L’Inghilterra è una candidata, il Brasile lo è in potenza, Belgio e Croazia sono qualche passo indietro per il valore dei singoli. E oltretutto già tre favorite – Germania, Argentina e Spagna – sono fuori dai giochi. Insomma, al netto dei difetti la Francia continua a non essere inferiore agli altri competitors, anzi. Sempre Wilson ha sottolineato, parlando dei Bleus, che una pianificazione (tattica) adeguata sarebbe più apprezzabile rispetto alla «difesa lenta e caotica» e alla «nostalgica fede in uno spirito bastardo» che contraddistinguono – estremizzando – la squadra di Deschamps. Verissimo, un solo appunto: oggi è tardi per pensarci. Quella che abbiamo visto fino ad ora è la Francia che continueremo a vedere fino a dove continuerà a spingersi, perché è con questi meccanismi che ha trovato le proprie certezze. Non è una gioia per gli occhi né una formazione così solida ed efficiente, ma ha fisicità, colpi e un ottimo umore. Tre fattori che per un Mondiale potrebbero anche bastare.