Fine

Quando un tifoso perde la sua squadra di calcio.

Fine. Ho aspettato qualche ora prima di scrivere queste righe. Il senso di impotenza, la difficoltà nel mettere a fuoco le traumatiche ore che hanno sancito la scomparsa del Bari calcio, hanno avuto a lungo il sopravvento. La rabbia, la sensazione di essere stati pugnalati. Una corsa contro il tempo conclusasi con un triste epilogo. L’incredulità. Il dispiacere e il dolore. L’orrore. L’indescrivibile straniamento nell’aver perso tutto.

Durante le ore in cui si consumava il fallimento della società, in una delle tante trasmissioni locali, è arrivata una telefonata. «Sono Vito». Un signore anziano. Era furibondo: inveiva, dava le colpe a tutti, non aveva che parole di accusa. Poi, le urla si sono trasformate in lacrime. Piangeva, e piangeva disperato. Probabilmente il Bari, per lui, è qualcosa dal significato estremo, tutto, o quasi, quanto gli restava. La disperazione più cupa, come se fosse stato privato di un figlio, propagata attraverso una trasmissione di calcio. È stato tremendo.

I tifosi del Bari oggi si agitano e si incazzano, si fanno forza a vicenda e di nuovo si lasciano cadere nello sconforto. Ma, in realtà, c’è silenzio. Un silenzio cupo e tossico. Per nessuno di noi sono giorni normali. Sarebbero i giorni del mercato, chi prendiamo e chi vorremmo; dell’abbonamento allo stadio, delle foto dei tifosi in fila sotto il sole; dell’attesa, del conto alla rovescia all’inizio del campionato, anzi ancora prima, della prima partita di Coppa Italia, contro il Savona o il Cosenza di turno. Ecco, il fatto che non ci sia nulla di tutto ciò, è questo il silenzio. E immagino il silenzio in Trentino, dove i giocatori erano arrivati da qualche giorno in ritiro. Lo staff tecnico che, dopo l’allenamento, si avvicina al gruppo: «È finita, ragazzi». Li sento amici miei, quei calciatori. Con i loro messaggi ci hanno fatto capire quanto tutto questo sia stato sconvolgente anche per loro.

È la seconda volta che il Bari fallisce in quattro anni. Stavolta è diverso. Non solo perché si ripartirà dalle serie inferiori. Quella è la cosa meno importante. Quattro anni fa c’era una città in festa. Senza una proprietà, ma con il cuore in gola. Grazie a una squadra che sfiorò incredibilmente la Serie A con tre mesi di calcio fuori dall’ordinario – vedere per credere il bellissimo film Una meravigliosa stagione fallimentare – e grazie alla speranza. C’era una grande speranza di rinascita. Oggi sembra che non ci sia rimasta nemmeno quella. Non dopo il modo in cui siamo stati illusi, e ci siamo illusi, non dopo il modo in cui è finita.

Ripenso alle stagioni passate. Perché quando sei tifoso, ragioni per stagioni, e non per anni. Alle facce. Alle persone. Gente che diventa improvvisamente di famiglia solo perché hai condiviso con lui una trasferta, o un tavolo al bar. Noi tifosi del Bari a Milano siamo diventati esattamente una famiglia. Ripenso alla folla fuori dal bar, il Roca’s in piazzale Baiamonti, oggi chiuso, quattro anni fa. I cori per strada, e le sciarpe che ondeggiavano al vento. Ripenso alle infinite trasferte. Quanti chilometri abbiamo fatto? Troppi. Novara, Chiavari, Cittadella, Vicenza, Brescia, Modena… Non saranno state partite al Bernabéu, ma per noi volevano dire tanto. Volevano dire tutto. E quando la Bari perdeva 3-0 a Vercelli, che succedeva? Il sabato dopo, ancora a soffrire per lei!

Ed è come se mi fossi svegliato da un sogno. Riapro gli occhi e mi pare che tutto questo non sia mai esistito. Non ci saranno più trasferte da preparare e non più pomeriggi passati in un bar. Non ci sarà più nulla da raccontare. Quella volta a Vicenza che facemmo finta di essere veneti. O quella volta a Cittadella, un freddo, il Bari che segna all’ultimo minuto, io che salto in avanti e gli occhiali che volano via – li ho ritrovati, pazzesco. La gente che balla sul pullman a Brescia. E sempre con il pensiero fisso: da qualche parte, il Bari giocava. È stato abbastanza grottesco ascoltare la radiocronaca di Cremonese-Bari su una spiaggia di Lanzarote.

Forse ripartiremo, ma non so come, da dove, per dove. Se ne sta già discutendo, ma ora è presto. Ora è il momento delle lacrime. E del silenzio, ancora. Tra tifosi ci siamo scambiati messaggi, pochi, sommessi. Ci bastava sapere che potevamo contare ancora l’uno sull’altro. Che quello che era successo non cancellava nulla. Che la ricchezza del Bari, di Bari, è lì, sotto gli occhi di tutti. Noi tifosi, sciocchi innamorati, noi favoleggiatori pazzi incalliti, senza ragione, solo con il cuore, il nostro cuore biancorosso. Sì, ripartiremo. Ripartiremo e ci saremo. Come sempre.