Plasmare il calciatore del futuro

Allenamenti, metodi, nuove frontiere: abbiamo parlato con i preparatori dei maggiori club d’Europa, ognuno con una propria strada, ognuno con una propria soluzione.

Neuroscienze, big data, biomeccanica, realtà virtuale, scansioni 3D, le frontiere della preparazione degli atleti nel mondo del calcio sono tracciate. Campi da esplorare su cui risiedono ampie aspettative per migliorare le prestazioni dei calciatori e su cui si stanno concentrando ingenti investimenti delle società di calcio e degli istituti di ricerca.

In principio fu Arcelli

Ma come iniziò tutto? L’arrivo della figura del preparatore atletico la si deve a Enrico Arcelli all’inizio degli anni Settanta. Medico dello sport, dell’alimentazione, fisiologo, autore di saggi e articoli, Arcelli fu il primo a introdurre questo nuovo ruolo con il Varese di Eugenio Fascetti, in Serie B (quello del “casino organizzato”). Lavorò poi con Juventus, Milan, Chelsea, Inter, ma Enrico Arcelli era un guru dello sport e il suo contributo si estese anche ad altre discipline come il basket, il tennis, lo sci e il ciclismo dove collaborò al “record dell’ora” di Francesco Moser del 1984.

Inizialmente l’arrivo del preparatore atletico fu accolto, però, con un certo scetticismo. Ricorda Fausto Rossi, 67 anni, ex saltatore in alto e portiere di serie C2, una vita professionale a curare i muscoli dei ragazzi di Giovanni Trapattoni (Fiorentina, Italia, Benfica, Stoccarda, Salisburgo e Irlanda): «Inizialmente non eri parte di uno staff tecnico. Il medico lo vedevi una volta al mese e per l’allenatore eri poco più di un estraneo. Più di una volta mi sentii dire “io inizio alle 17 con le lezioni di tattica, tu vieni pure alle 18 per gli esercizi fisici”. Come se la parte precedente non mi servisse per gli aspetti metabolici».

«È quasi un altro sport se ripenso a fine anni Ottanta al Parco della Cittadella di Parma»

Gli ottanta e i ginnasiarchi

«È quasi un altro sport se ripenso a fine anni Ottanta al Parco della Cittadella di Parma», aggiunge Ivan Carminati, 63 anni, con un’ampia esperienza anche all’estero (Borussia Dortmund, Inghilterra, Costa d’Avorio, Manchester City, Galatasaray e Zenit) al fianco di tecnici come Nevio Scala, Sven Goran Eriksson e Roberto Mancini. «All’epoca curavo rose di diciotto giocatori, oggi ne seguo oltre trenta coordinando uno staff di quattro persone. Se prima vendevamo vestiti al mercato ora confezioniamo abiti su misura».

Con l’affermarsi del Milan di Arrigo Sacchi, Gianni Brera attaccò la tendenza atletica del nuovo calcio, rinominando i preparatori come “ginnasiarchi” poiché introducevano aspetti da maratoneti in uno sport che doveva vivere di finezza stilistica. «Sosteneva che non avremmo retto quei ritmi per un intero campionato», rievoca Vincenzo Pincolini, un passato nell’atletica e storico collaboratore dell’allenatore di Fusignano, ora nello staff della Nazionale. «Dopo la vittoria decisiva a Napoli ammise di essersi sbagliato, invitandoci a cena», chiosa “Pinco”.

Seminario sulla gioventù

Molto critico sulla formazione degli atleti nell’età dell’adolescenza è Giorgio D’Urbano, preparatore atletico nello Spartak Mosca di Massimo Carrera, con esperienze nello sci, accanto a Alberto Tomba, e nell’Italvolley. «A livello giovanile si ricerca solo il risultato e non il formare l’atleta e la persona con un approccio ludico e multidisciplinare. Al comparire dei primi muri davanti, verso i 14 e 15 anni, registriamo abbandoni dell’attività agonistica. Ma un campione il muro non lo supera, lo attraversa, ci passa in mezzo. Prendete Tomba, avrebbe potuto sfondare nel basket o nel golf o in qualsiasi altro sport grazie alla forza di volontà di cui disponeva».

Per “Pinco” c’è stato un decadimento sulla multidisciplinarietà: «Nel Milan di Sacchi tutti giocavano a buon livello a basket, volley o tennis. Oggi invece i ragazzi li specializziamo solo sul calcio». Il gap di preparazione non è a livello di prima squadra: «Sarebbe impossibile farli allenare di più, mentre un under 15 italiano sta sul campo 20 ore settimanali in meno di un coetaneo belga, grazie alle accademie, dove uniscono lo sport e la scuola».

Palestra o non palestra

Come svolgere l’allenamento è un antico tema di dibattito. Negli anni Novanta si puntava sulla palestra, per sviluppare forza e massa muscolare. Un aspetto oggi messo in discussione. D’Urbano si schiera, però, con la scuola tradizionale: «È un’assurdità sostenere che il lavoro di forza va fatto con la palla o che troppa forza va a discapito dell’agilità. Non è più il calcio anni Settanta dei fisici gracilini. In tutti gli sport le strutture fisiche si sono evolute».

Di diverso avviso Francesco Mauri, uomo di fiducia di Carlo Ancelotti al cui fianco è stato al Paris Saint-Germain, al Real Madrid e al Bayern Monaco. «Modelli di atleti con fisici esili ma prestanti, come il Barcellona o la Nazionale spagnola, hanno sconfessato il dogma della palestra». Per Mauri è un supporto da svolgere volontariamente, dove prestare attenzione alla flessibilità. «Occorre educare il giocatore alla conoscenza di se stesso. Cristiano Ronaldo, ad esempio, non è, come molti credono, il calciatore che si allena di più, ma quello che lo fa meglio, perché consapevole delle proprie potenzialità». Il tema della palestra è particolarmente sensibile poiché è stato uno dei capi d’accusa mossi ad Ancelotti nel momento dell’esonero. «In Germania sono abituati ad allenamenti duraturi, con lunghe corse e grande lavoro in palestra. La scelta di puntare sull’intensità non è stata compresa».

La scuola portoghese

Gian Piero Ventrone, 57 anni, già collaboratore di Marcello Lippi alla Juventus e di Fabio Capello allo Jiangsu Suning, individua un punto di svolta nell’affermazione di una metodologia lusitana: «Il modello imperante oggi è figlio della rivoluzione portoghese di Vitor Frade, Carlos Queiroz e José Mourinho, nota come “periodizzazione tattica”, con cui si è sostituito l’allenamento frazionato tra fisico, tattico, tecnico, con un lavoro integrato con la palla sempre tra i piedi».

Roberto Sassi, responsabile della Juventus, ma con esperienze anche all’estero, non è persuaso sull’imperativo di fare tutto con il pallone. «Non sono convinto.  Sì, probabilmente nel passato si è esagerato con le corse lente, ma ora non buttiamo via tutto. Altrimenti vorrei che mi si spiegasse perché Federica Pellegrini integra la piscina con i pesi in palestra o Sebastian Vettel si prepara alle gare di Formula 1 correndo. Non esiste uno sport al mondo dove l’allenamento è solo specialistico».

«L’allenamento integrato», riprende Mauri , «va proposto in maniera fluida, senza interruzioni per correggere un dettaglio, altrimenti si perde la validità del test fisico. I portoghesi hanno portato un po’ all’estremo il concetto dell’allenamento con il pallone, attribuendo una valenza tattica a ogni singolo esercizio, anche uno puramente tecnico».

Tailor made

Come si giudicano le prestazioni di un calciatore in allenamento? Per Ventrone «ogni giocatore va valutato e misurato a seconda delle caratteristiche e delle richieste dell’allenatore, che resta il comandante in capo. Ad esempio, se il tecnico da un esterno alto pretende un certo tipo di movimenti e strappi o, al contrario, richiede che porti densità in mezzo al campo, sviluppo programmi diversi».

Mauri invece risolve la personalizzazione con l’uso continuo del pallone: «Se separassi la parte fisica da quella tattica dovrei fare tutto ad hoc. Con il metodo integrato invece l’allenamento specifico avviene in modo naturale. In una partita anche a tema, il giocatore esplosivo tenderà a sviluppare la sua potenza nelle fasi vicino alla palla e a prendersi delle pause più lunghe di un giocatore più elastico. Spesso si dice, ad esempio, che Messi ha camminato per il 60 per cento del tempo. Ma questo è normale per un giocatore esplosivo come lui».

«Abbiamo a disposizione strumenti sempre più sofisticati e precisi, che ci consentono di fare delle valutazioni su tre piani diversi, l’analisi media della squadra, quella del reparto, e quella singola del giocatore»Rivoluzione Gps

Da oltre una decina d’anni la preparazione atletica è stata rivoluzionata dall’arrivo dei gps, sistemi di rilevazione capaci di restituire centinaia di dati in tempo reale sui movimenti dei giocatori. «Abbiamo a disposizione strumenti sempre più sofisticati e precisi, che ci consentono di fare delle valutazioni su tre piani diversi, l’analisi media della squadra, quella del reparto, e quella singola del giocatore», commenta Stefano Rapetti, 45 anni, curatore dei muscoli della Sampdoria, dopo aver lavorato nell’Inter con i vari Mourinho, Benítez, Leonardo, Gasperini e Ranieri.

«Calcolare lo sforzo di un atleta non può limitarsi alla distanza percorsa o alla velocità espressa, ma deve tenere conto delle accelerazioni, decelerazioni, cambi di direzione e vari indici. L’introduzione del gps ci ha permesso di disporre di molti dati: valori, numeri, andamenti matematico-statistici sulle prestazioni di ogni atleta. Certo poi occorre saperli leggere», aggiunge un po’ sardonico Ventrone.

Allenatori e sport scientist

Ma questo salto evolutivo, figlio della tecnologia, trova preparati gli allenatori? I tecnici riescono a comprendere la moltitudine di dati che ricevono dai loro collaboratori? «Sì, è un percorso che abbiamo fatto, e stiamo continuando a fare, insieme», afferma Rapetti che aggiunge come Giampaolo, ad esempio, sia un allenatore molto attento ai dati e ricorda l’esperienza con Mou nell’anno del Triplete nerazzurro. «Aveva un approccio olistico, basato su una relazione forte con i giocatori e con lo staff, responsabilizzando ognuno di noi».

«Sono del parere che sia preferibile concentrarsi su pochi ma importanti indicatori validati scientificamente, anziché riversare all’allenatore una quantità infinita di valori che confonde», è la considerazione di Maurizio Fanchini, 47 anni, preparatore atletico del Sassuolo, con esperienze anche nel basket, nella boxe e nell’arrampicata sportiva.

L’analisi dei dati è uno dei settori di maggiore sviluppo che ha portato alla nascita della figura dello sport scientist. «Una persona che può coincidere o meno con il preparatore», spiega Andrea Azzalin, che nonostante la giovane età, 32 anni, ha una vasta preparazione internazionale avendo fatto parte dello staff di Claudio Ranieri al Monaco, nella Nazionale greca, al Leicester e ora al Nantes. «È la figura professionale chiamata a raccogliere e interpretare questi big data, può essere un uomo da campo o meno. Qui al Nantes fa parte del nostro staff, mentre al Leicester questo ruolo lo svolgeva una persona in ufficio».

Fitness Network

«Nel nostro ambiente giungono spesso nuove proposte su metodologie e strumenti tecnologici. Prima però di introdurle andrebbe verificato se sono supportate da pubblicazioni scientifiche», ammonisce Fanchini che richiama l’importanza di una collaborazione tra colleghi. «Il network con preparatori e ricercatori, anche in altri sport, è determinante per scambiarsi informazioni e conoscenze. Come Sassuolo collaboriamo, oltre che con il centro di ricerca Mapei, con diverse università (Verona e tre atenei australiani: Sydney, Perth e Melbourne) e con dipartimenti di ricerca di altre squadre come l’Arsenal».

Sulla condivisione dei dati un importante progetto lo ha lanciato Valter Di Salvo, 55 anni, già preparatore atletico di Real Madrid e Manchester United, da otto anni cittadino di Doha dove è il responsabile della performance e della ricerca di tutte le nazionali e della Qatar Stars League. «Sfatiamo il mito dei segreti da custodire. Da qualche anno abbiamo lanciato “Aspire in the world fellows”, una piattaforma online che riunisce gli addetti ai lavori nella preparazione atletica dei migliori 50 club e nazionali. Attualmente online ci sono oltre duecento presentazioni da tutti e cinque i continenti. Ogni settimana pubblichiamo un nuovo lavoro. Una parte di questi sono disponibili per tutti, altre sono in un’area riservata con login».

Gli infortuni e la biomeccanica

Per la prevenzione e il recupero degli infortunati si lavora molto sulla biomeccanica. Il Real Madrid, ad esempio, ha attivato una collaborazione con Terry Nelson di Aqua Running, che prevede l’utilizzo di tute galleggianti in piscina (Mou la chiamava “l’arma segreta” dei blancos). «La biomeccanica può aiutare», commenta Mauri, «ma va ricordato che il calcio non cerca l’atleta perfetto per una prestazione record come l’atletica leggera. A Madrid avevamo Toni Kroos con un’andatura asimmetrica o Isco con varismo alle ginocchia, ma sarebbe stato sbagliato correggerli, avendo loro ormai assimilato quelle caratteristiche nel modo di giocare».

Al Nantes si punta sulle macchine isoinerziali come racconta Azzalin: «Macchine nate per allenare gli astronauti in assenza di gravità e aiutarli a non perdere massa muscolare, che ci permettono di porre l’enfasi sul sovraccarico eccentrico, la fase in cui il muscolo lavora in allungamento».

«Con Alessandro Del Piero abbiamo più volte discusso della preparazione dei Lakers e dei Clippers. La cosa che sorprende guardandoli è l’intensità, la concentrazione sempre al massimo».

Visual scan

Per Di Salvo serve un maggior coinvolgimento dell’atleta e per fare questo ha appena inaugurato a Doha il nuovissimo Football Performance Center dove lavorano oltre 300 persone. «Il futuro è questo. Oggi si comunica in maniera visuale, guardate le nuove generazioni come usano i social network e come comunicano i loro stati d’animo. Per questo abbiamo realizzato il più moderno centro di performance del calcio, 38mila metri quadri, con la più grande area tecnologica di biomeccanica applicata al calcio: 17 telecamere che riprendono il calciatore in 3D e analizzano il movimento senza dover indossare alcun marker. Le immagini sul maxischermo, che vengono analizzate e restituite in un solo minuto, forniscono indicazioni sulla corretta postura durante il gesto tecnico e sulla distribuzione del carico avendo posizionato delle pedane di forza sotto l’erba».

Per Di Salvo, responsabile della ricerca anche per la Nazionale italiana, la possibilità di rivedersi aiuta il calciatore ad autocorreggersi sentendosi più coinvolto. «Nelle settimane scorse sono venuti a trovarmi amici come Xavi, Cannavaro, Piqué, Abidal e tutti hanno espresso apprezzamento. Carlos Queiroz, con cui ho collaborato a Madrid e Manchester, mi ha commosso dicendomi: “Anche fra dieci anni non ci sarà nulla di simile”».

Football vs Sports

Ma a che punto è il calcio rispetto agli altri sport professionistici? «Verso il mondo Usa, penso al football americano o al basket, scontiamo un po’ di ritardo, ma il gap non è così ampio», sostiene Ventrone.

In California si reca spesso Fausto Rossi non disegnando i palazzetti Nba. «Con Alessandro Del Piero abbiamo più volte discusso della preparazione dei Lakers e dei Clippers. La cosa che sorprende guardandoli è l’intensità, la concentrazione sempre al massimo. È una caratteristica americana che ho riscontrato anche nei training dei Los Angeles Galaxy dove sono andato su invito di Robbie Keane, un mio ex giocatore».

Dagli americani dobbiamo apprendere anche nuove tecnologie. «Nel football americano, in allenamento, utilizzano elettroencefalografi in wireless, all’interno del casco, per misurare il grado di “engagement”, quanti neuroni e quali aree della corteccia motoria vengono attivati», afferma Rapetti.

Allenare la mente

Uno dei prossimi traguardi è proprio il lavoro sulla mente. «Occorre investire, in particolare nel recupero nervoso, la centralina di comando dell’atleta, la madre della qualità del gioco», afferma Ventrone. Il tedesco Per Mertesacker nell’annunciare il suo recente ritiro si è detto convinto che alcuni infortuni subiti fossero di origine nervosa. Opinione condivisa da Ventrone, che ricorda come Capello sia solito raccontare ai suoi giocatori l’uscita per crampi di Fabio Cudicini, lo storico “Ragno Nero” per logoramento nervoso.

«È presumibile che in futuro avremo strumenti di realtà virtuale per misurare l’aspetto psicobiologico e arrivare ad una diminuzione della percezione dello sforzo e, quindi, a delle performance migliori», aggiunge Azzalin.

La velocità di pensiero viene spesso sottovalutata per Rossi: «Ma quando si parla di Leo Messi, la sua straordinarietà è proprio nella rapidità con cui sceglie la giocata». «Vicino Modena», ricorda invece Carminati, «visitai un fornitore della Ferrari impegnato per accrescere la decision making dei piloti, la capacità di prendere decisioni in uno scenario complesso e con pochissimo tempo a disposizione».

Neuroscienze

«Il calcio è rimasto sordo alle scoperte di trent’anni fa sui neuroni a specchio». Riccardo Capanna, 71 anni, già collaboratore di Genoa, Juventus e Roma, è una delle massime autorità sulle neuroscienze. «A guidare i movimenti non sono le aree cognitive, dove hanno sede il ragionamento, la memoria, ma quelle premotorie. Ogni gesto nasce da un’intenzione (voglio tirare alla sinistra del portiere), a cui segue l’attività pratica che è inconsapevole, e, dopo mezzo secondo, l’analisi del risultato. L’atleta è quindi guidato dall’obiettivo».

Per questo è essenziale, per Capanna, attribuire obiettivi verosimili in allenamento e per spiegarlo ricorre ad una comparazione. «Al bimbo che impara ad andare in bicicletta non suggeriamo i movimenti: spingi sul pedale, controlla il manubrio, ora l’altro piede, ma uno scopo reale come “vai verso la mamma”. Lo stesso per gli atleti, se simulano situazioni con uno scopo verosimile aumentano le possibilità di ripeterlo in partita. Il muscolo, infatti, è composto da migliaia di fibre e ad attivarsi non sono le stesse, se due movimenti “esteticamente uguali” vengono compiuti con scopi diversi».

L’attivazione di fibre diverse in gesti uguali per Capanna lascia aperto un interrogativo non ancora chiarito dalla scienza. «Esiste una correlazione nell’incidenza degli infortuni muscolari in partita dovuta al fatto che in allenamento si utilizzano fibre neuro-muscolari diverse?».

 

Dal numero 21 di Undici. Foto di Mattia Balsamini