La nuova musica di Dortmund

Come cresce il Borussia Dortmund di Lucien Favre.

Tra i Neurosis e Michael Chapman esiste un abisso in termini musicali. Eppure a un ascolto attento, critico e mentalmente aperto, è difficile non cogliere l’eguale, elevata statura artistica dei musicisti in questione. Dal metal al folk-rock d’autore: questo il cambio di stile effettuato in estate dal Borussia Dortmund, e i generi musicali non sono citati a caso. Heavy metal football è una definizione coniato da Jurgen Klopp per definire i punti cardine della propria filosofia calcistica, sintetizzabili in rapidità, aggressività e ritmo sostenuto. Una delle sue frasi più note recita: «A Wenger piace controllare la palla, giocare con molti passaggi. Le sue squadre sono come un’orchestra. Ma è una canzone silenziosa. A me piace l’heavy metal».

Un imprinting che ha costruito la storia recente del Borussia Dormund, tanto che per sostituire Klopp si sono prima affidati al suo principale erede, Thomas Tuchel, che ha introdotto qualche variazione di stile e approccio, quindi al più radicale Peter Bosz, uno che all’Ajax giocava con tre numeri 10 in mediana, e nel suo caso dal metal si è passati all’estremismo del grindcore. Il risultato è stato un tourbillon schizoide che si è schiantato alla stessa velocità con la quale era partito, come un band indie che dopo un fulminante esordio viene scritturata da una major e finisce fagocitata da un mondo che non gli appartiene. Il Borussia dell’olandese ha iniziato con reti a raffica e primo posto in Bundesliga, prima di incappare in un digiuno di vittorie durato 73 giorni (comprendenti la mega rimonta nel derby con lo Schalke, da 4-0 a 4-4, e l’uscita dalla Champions) e, di conseguenza, cambiare la guida tecnica.

Il successo della squadra di Favre a Bruges, in Champions

Il traghettatore Peter Stöger ha permesso di raggiungere quantomeno l’obiettivo minimo Champions, senza però eliminare del tutto le scorie di una stagione dai saliscendi vertiginosi. Così in estate la dirigenza ha colto la palla al balzo per imprimere una decisa sterzata alla filosofia del club, chiamando lo svizzero Lucien Favre, personaggio dal profilo mediatico meno ingombrante, e meno studiato, di Klopp e adepti. Un allenatore per palati fini e osservatori attenti. Un tipo, appunto alla Michael Chapman, capace magari di piazzarti in età avanzata il capolavoro della vita (nel caso del cantautore, si intitola 50) dopo una lunga e onesta carriera, lontana dalle grandi luci della ribalta ma vicina ai cuori. Nel 1993, quando allenava le giovanili dell’Echallens, trascorse quindici giorni a Barcellona per uno stage con la squadra all’epoca allenata da Johan Cruijff. Un’esperienza che ha forgiato la sua visione di calcio, arricchitasi poi nel corso degli anni dai viaggi – sempre da osservatore privilegiato – in Inghilterra (l’Arsenal di Wenger), Spagna (il Valencia di Benitez), Belgio (l’Anderlecht di Goethals) e Germania (il Bayern Monaco di Hitzfeld).

Il Borussia Dortmund ha chiuso l’ultimo esercizio di bilancio facendo registrare un’entrata record di 536 milioni di euro, dei quali circa la metà (per la precisione 222,7) provenienti dal mercato, con cessioni significative quali quella di Aubameyang all’Arsenal, Dembélé al Barcellona, Ramos a CQ Dangdai e Mor al Celta Vigo. A un evidente indebolimento delle proprie potenzialità offensive si è risposto con l’acquisto di due centrocampisti quali Witsel e Delaney, con il belga che – come vedremo – simboleggia meglio di tutti il mutamento dei filosofia in casa giallonera. Ma per l’attacco, persi anche il flop Yarmolenko (finito al West Ham) e l’ottimo Bathsuayi (non riscattato dal Chelsea), ci si è limitati a prelevare l’esterno Wolf dall’Einracht Francoforte, 5 reti la scorsa stagione in Bundesliga. L’elemento cruciale diventa a questo punto Reus, già allenato da Favre al Borussia Monchengladbach con notevoli risultati. Pur in ambiti e con ambizioni diverse, lo svizzero è chiamato a ripetere il lavoro recentemente fatto a Nizza, ovvero costruire l’ambente tattico adatto per permettere, da un lato, alla nutrita linea verde della selezione (l’attenzione ai giovani talenti rappresenta la continuità con il passato in casa Dortmund) di crescere e imporsi come da previsione; dall’altro, di elevare il livello di rendimento di qualche giocatore un po’ stagnante – come Reus, Dahoud e Weigl.

Gli stili e le conoscenze assorbite in carriera sono ben visibili nella proposta tattica di Favre, caratterizzata da una singolare miscela che prevede sprazzi di possesso palla uniti a rapide fasi di transizioni e pressing intenso solo in determinate parti del campo. Osservando il Borussia Monchengladbach e il Nizza targati Favre, si nota la diversità di approccio nelle varie zone del campo, con una serie di fitti passaggi, perlopiù di corto raggio, nella fase di costruzione del gioco nella propria metà campo, e una maggiore propensione alla velocizzazione del gioco in quella avversaria, con lanci lunghi e rapide verticalizzazioni. Di fatto, sono squadre che sanno utilizzare molto bene l’arma del contropiede, senza però asfissiare l’avversario con un pressing alto in fase di non possesso, preferendo attenderlo fino alla propria trequarti, dove inizia a essere esercitata la vera pressione. Qualcuno ha scritto che le squadre di Favre sono un downgrade che mischia il tiki-taka del Barcellona, il cholismo dell’Atletico Madrid e le ripartenze veloci del Liverpool di Klopp. Una definizione semplicistica, forse anche non pienamente a fuoco, che però coglie lo spirito della proposta del tecnico elvetico, un vero maestro per quanto riguarda la fluidità tattica.

A tal proposito, va ricordata una sua intervista rilasciata nell’estate 2016 al Der Spiegel, nella quale raccontava un aneddoto relativo al suo passato di calciatore al Servette. «Circa 25 anni, durante il corso per il patentino da allenatore, incontrai questo collega dalle teorie all’epoca considerate bizzarre. Sosteneva in futuro nel calcio i moduli avrebbero avuto sempre meno senso, e che sarebbe rimasto un solo sistema: il 5-5-*, ovvero due dorsali – difensiva e offensiva – nelle quali i giocatori si sarebbero mossi in maniera dinamica, seguendo le situazioni di gioco che di volta in volta si sarebbero presentate nel corso della gara. Quell’uomo era un genio, perché il calcio si sta muovendo esattamente verso quella direzione». Da qui deriva uno dei concetti chiave della filosofia-Favre, ovvero il giocatore capace di interpretare il proprio ruolo in tutti i sistemi di gioco, piuttosto che il giocatore che sappia fare tutto.

La vittoria contro il Lipsia, con gran gol di Witsel

Tali premesse risultano fondamentali per chiarire l’investimento di 20 milioni di euro sul 29enne Witsel, strappato alla ruggine del campionato cinese. Il nazionale belga, nonostante fino al mese scorso non abbia mai giocato in un campionato europeo top, possiede un bagaglio di esperienza internazionale comparabile a quella di un veterano. Soprattutto, però, rappresenta il perno ideale attraverso il quale Favre può far ruotare moduli e uomini. Pur essendosi imposto come mediano davanti alla difesa, Witsel ha iniziato la carriera allo Standard Liegi da mezzala-trequartista (come testimoniato dai 45 gol in 194 partite con i Rouches), ed è pertanto un giocatore che ha nel proprio dna anche la fase offensiva. Tecnicamente brillante (vedasi il gol in rovesciata alla sua prima in Bundes contro il RB Lipsia), in possesso di un ottimo tiro, la sua evoluzione di carriera (Benfica, Zenit, nazionale belga) ha in parte nascosto le qualità da centrocampista totale. Il ventaglio di opzione per la mediana del Borussia offerto da Witsel è notevole: può formare una linea improntata alla difesa con Weigl e Dahoud, oppure una a trazione più anteriore con Gotze e Kagawa, oppure ancora una cerniera a due con l’altro nuovo arrivo Delaney nel caso Favre optasse per un 4-2-3-1. Il belga garantisce inoltre maggiore profondità in mezzo al campo rispetto al discontinuo Sahin o a un cliente abituale dell’infermeria come Rode. Si parlava di capacità di interpretazione del ruolo in ogni sistemi di gioco: sotto questo profilo, Witsel rappresenta una garanzia assoluta.

Sarà ovviamente una stagione da lavori in corso, visto il nutrito numero di giovani (su tutti Sancho e Pulisic, ma anche Zagadou, Diallo, Hakimi, Akanji, Isak). Le prime uscite hanno mostrato, come il passato di Favre insegna, una squadra più a suo agio quando deve agire di rimessa piuttosto che nel fare la partita. Si veda la vittoria in rimonta contro l’RB Lipsia, rispetto alla deludente eliminazione in coppa di Germania contro il Greuther Furth, maturata ai supplementari dopo che i gialloneri si erano incartati nella rete predisposta dal club di Zweite Bundesliga. Ma sulle capacità di lavoro mostrate da Favre con i giovani c’è davvero poco da dissentire: ai tempi dello Zurigo diede la fascia di capitano al 22enne Dzemaili, dopo averlo notato personalmente nel campionato Under 18 elvetico, e lanciò in prima squadra Inler, prelevato dall’Aarau dopo avergli fatto personalmente un provino; al Gladbach, insoddisfatto dei portieri, fece debuttare Ter Stegen, affiancandogli poi altri giovani quali Granit Xhaka, Kramer e il citato Reus. A colpire maggiormente, ripercorrendo la traiettoria professionale del tecnico di Saint-Barthelemy (Svizzera francese), è la capacità di ottenere risultati migliori di quelle previsti sulla carta.

Partendo dalla sua prima squadra, l’Echallens, piccolo club del Canton Vaud distante due chilometri dal suo paese di origine, portato per la prima volta nella sua storia nella seconda divisione elvetica, per proseguire con l’Yverdon (un incredibile 5° posto in campionato) fino ai successi con lo Zurigo, raccolto sul fondo della classifica e condotto a un titolo che in bacheca mancava da 25 anni. Quindi la Germania, prima alla guida dell’Hertha Berlino, poi del Borussia Monchengladbach: parabole simili, squadre raccolte in disarmo a un passo dal baratro e pazientemente ricostruite, fino a portarle nei piani alti del campionato tedesco (i Fohlen addirittura in Champions), per concludere con un brusco divorzio, perché il personaggio comunque ha il proprio bel caratterino. In Francia ha portato il Nizza portato sulla soglia della Champions (eliminato nel preliminare dal Napoli) dopo un grandissimo campionato. Il nuovo corso del Borussia non sembra in grado di poter essere fin da subito un serio rivale per il Bayern Monaco nella corsa allo Schale. «Non conosco allenatori che siano Harry Potter», ha dichiarato una volta Favre. Però lui un poco gli si avvicina.