A che punto è la Premier?

Analisi delle contendenti al titolo dopo le prime 6 giornate di campionato.

Interpretando nella giusta ottica di estemporaneità gli exploit di Watford e Bournemouth e tenendo conto delle inevitabili difficoltà di un Arsenal nell’ “anno uno dopo Wenger” e di uno United alle prese con il tipico rollercoaster emotivo da terza stagione di Mourinho, si può dire che la classifica delle prime cinque giornate di Premier League rispecchi abbastanza fedelmente quanto anticipato in questa preview di ESPN. Con i ruoli e i rapporti di forza che, per la prima volta da anni, risultano abbastanza cristallizzati e allineati sui valori emersi nella stagione precedente, è possibile individuare alcune macro-aree narrative i cui corollari possono dire molto di andamento, potenzialità e prospettive delle principali candidate alla vittoria finale.

Con la chiusura anticipata del mercato che ha parzialmente ridimensionato le possibilità di spesa anche a fronte del rischio di un progressivo sovraffollamento delle rose – «Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno sono state concluse meno trattative, con le società che quasi sembrano non aver compreso la nuova deadline e con la Coppa del Mondo che già li ha costretti a modificare i loro piani», scriveva in luglio Simon Burnton sul Guardian – in molti hanno privilegiato un approccio conservatore mirato al mantenimento dello status quo.

Caso limite è quello del Tottenham che per la quarta sessione consecutiva ha deciso di mantenere inalterato un core dagli ancora ampi margini di miglioramento e futuribilità (i vari Alli, Kane, Son, Eriksen, Dier non superano i 26 anni d’età) ma che sembra essere giunto a un punto di stallo di quel percorso che, già nella seconda parte di 2016, sembrava avviato alla conclusione. Le due sconfitte consecutive (tre contando la rimonta subita in Champions a San Siro) contro Watford e Liverpool dopo l’eccellente avvio, raccontano come quello di Pochettino sia un undici che non riesce a scendere a compromessi con la propria natura fortemente identitaria e che, di conseguenza, non riesce a dotarsi di quel senso di praticità e pragmatismo che aiuterebbe a vincere quelle partite che sarebbero necessarie per concorrere al successo finale.

Oltre ataviche difficoltà della linea difensiva nelle fasi in cui si alza a supportare il pressing e della “scelta” di lasciare pericolosamente scoperto il lato debole, la sensazione è che gli Spurs non siano mentalmente attrezzati per reggere sulla lunga distanza: fatta eccezione per il 3-0 rifilato al Manchester United, la costante di ogni partita è costituita da momenti di blackout totale, dalla durata variabile, in cui il piano gara salta totalmente e i limiti strutturali (soprattutto quando la condizione fisica non è in grado di supportare con continuità le fasi di pressione su entrambi i lati del campo) si manifestano in tutta la loro evidenza, quasi come se fosse impossibile conseguire un risultato positivo in un modo diverso da alla base del progetto di calcio del tecnico argentino. E se il piazzamento tra le prime quattro non appare comunque in discussione, la sensazione è che, con questo gruppo di giocatori sia stato già fatto il massimo. E il salvifico successo esterno contro il Brighton non può spostare di molto il giudizio complessivo.

Colpo di testa di Harry Kane e doppietta di Lucas Moura: così il Tottenham ha espugnato Old Trafford lo scorso 27 agosto

Anche il Manchester City campione in carica ha scelto di cambiare poco (è arrivato il solo Mahrez dal Leicester, sbloccatosi nel 5-0 al Cardiff City dopo 183’ dall’apporto relativo). Perché è la più forte, perché ha più opzioni di gioco, perché ha più talento individuale, perché c’è un Mendy finalmente in condizione, perché c’è Guardiola nuovamente a suo agio nella veste di problem solver – ha perso per infortunio De Bruyne ma ha trovato in Bernardo Silva un surrogato eccellente, ha puntato saggiamente su un Agüero in grande spolvero in attesa del miglior Gabriel Jesus – e che pare intenzionato a costruire l’ulteriore upgrade attraverso il consolidamento l’evoluzione dei propri principi di gioco piuttosto che su un mercato che non avrebbe potuto garantirgli qualcosa di meglio di quello che già ha a disposizione.

E se le difficoltà contro squadre che cercheranno di contendere il controllo del possesso (come il nuovo Chelsea di Sarri e lo stesso Tottenham) sono state già messe in conto, la possibilità di perdere qualche punto contro qualche esponente dell’arrembante middle class potrebbe essere letta alla luce di un sistema che fatica a contenere le transizioni di squadre dotate di elementi dall’ottima tecnica in velocità e in fase di conduzione. Senza che, per questo, le altissime possibilità di riconferma del titolo vengano effettivamente messe a rischio.

L’1-1 esterno dello scorso 25 agosto contro il Wolverhampton è la rappresentazione plastica delle difficoltà che il City potrebbe incontrare in questa stagione contro squadre in grado di attaccare rapidamente lo spazio in verticale

Il Liverpool, invece, tra le prime sei della scorsa stagione, è stata quella che si è mossa in maniera più aggressiva sul mercato, spendendo tanto (oltre 180 milioni di euro) per calciatori assolutamente funzionali ad un’idea di gioco riconosciuta e riconoscibile (Naby Keita su tutti) e a un ulteriore upgrade del proprio sistema incentrato sulla rinnovata attenzione alla fase di non possesso che al momento sta pagando robusti dividendi. In questo senso la vittoria, la quinta di sei consecutive, ottenuta a Wembley contro il Tottenham, ben più ampia di quanto racconti l’1-2 finale, rischia di essere un importante spartiacque della stagione, soprattutto per quel che riguarda l’aspetto dell’equilibrio e della compattezza di squadra: dal 22 ottobre 2017 (pesante 4-1 esterno ancora contro gli Spurs) ad oggi, i Reds hanno concesso appena 24 reti, con 18 clean sheets e la media di un gol subito ogni 130’.

Numeri importanti e dal mantenimento dei quali passano gran parte delle fortune di Klopp in una competizione che, diversamente dalla Champions o dalle coppe in generale, è molto meno soggetta all’aleatorietà degli episodi. E se è vero che nel 2017/2018 i punti di ritardo dal City capolista sono stati 25, è altrettanto vero che quasi il 70% degli stessi sono stati persi nelle sfide contro realtà della parte sinistra della classifica. Il passaggio ad una fase difensiva costruita non solo sul consueto pressing a tutto campo ma anche su blocchi posizionali più bassi del normale (per evitare che gli avversari si ritrovino metri di campo da attaccare a seguito di un banale lancio lungo effettuato nei tempi giusti) è stato, quindi, naturale: il resto, poi, è affidato alla consueta efficacia del tridente Mané-Salah-Firmino, già a quota nove gol (quattro del senegalese) sui 13 finora realizzati in campionato. Se basterà per colmare il gap nei confronti dei Citizens (comunque sconfitti tre volte su quattro nell’ultima stagione) lo dirà solo il tempo.

15/09/2018: il Liverpool espugna Wembley con le reti di Wjnaldum e Firmino

Diversa nel background, ma non nei risultati, la situazione del Chelsea. Il pareggio contro il West Ham ha interrotto il percorso netto di un inizio stagione comunque positivo dopo un’estate di dubbi, incertezze e la sconfitta in un Community Shield arrivato forse troppo presto (il 5 agosto Sarri era l’allenatore dei Blues da nemmeno 20 giorni). Anche i londinesi si sono mossi in maniera aggressiva sul mercato per garantire al nuovo tecnico il minimo indispensabile per avviare il nuovo progetto: eppure, al di là degli arrivi (per 130 milioni complessivi) e dell’impatto positivo di Kepa, Kovacic e Jorginho con la nuova realtà, l’uomo di Figline Valdarno è ripartito consolidando le vecchie certezze (ribadendo la centralità di Marcos Alonso e Hazard e trovando in Pedro un naturale surrogato di Callejón), in attesa di terminare questa fase comunque di rodaggio e risolvere i rebus legati a Morata e David Luiz.

E se Paul Wilson ha certamente ragione quando, pur raccontando di «una squadra che sta giocando con uno stile notevolmente diverso e che diventerà certamente più fluido più avanti nella stagione», invita a «tenere d’occhio le due sfide ravvicinate con il Liverpool a fine mese per avere un indicatore più preciso dei progressi», non si può non concordare con chi fa rientrare lo sbarco di Sarri in EPL nel filone narrativo di un torneo che cerca di cambiare progressivamente se stesso attraverso l’ingaggio di allenatori stranieri dall’identità tattica marcata: un dettaglio che ha spinto anche Guardiola ad un fisiologico periodo di adattamento e che potrebbe ben presto presentare il conto anche all’ex Napoli nel medio-lungo periodo.

Con la tripletta realizzata nel 4-1 al Cardiff City, Eden Hazard è diventato il centrocampista della Premier ad essere coinvolto nel maggior numero di reti (73 gol e 41 assist) dal 2012/2013. Nella conferenza stampa del post partita Sarri ha detto: «È il miglior giocatore d’Europa, quest’anno può arrivare a segnare 40 gol»

Discorso a parte merita il Manchester United. Le due vittorie in fila contro Burnley e Watford sembravano aver restituito a José Mourinho quel minimo di serenità cui sembrava possibile aspirare dopo lo 0-3 interno contro il Tottenham e la successiva conferenza stampa, già entrata tra i cult comunicativi di questa sua fase di carriera. L’1-1 interno contro il Wolverhampton, invece, ha rilanciato la tematica dell’ormai relativa presa emotiva sul gruppo dei giocatori di cui è al comando – già nel novembre 2016 James Horncastle scriveva su Undici che «I giocatori di oggi credono ancora che Mourinho sia l’allenatore capace di controllare e conquistare tutto, l’uomo infallibile che era all’apice dei suoi poteri nel 2010? Al contrario, lo capiscono ancora?» – e del paradosso che vuole i Red Devils del tutto figli dell’allenatore dal punto di vista tecnico e psicologico.

Non è nemmeno più la solita questione della qualità di calcio offerta in relazione al materiale umano a disposizione, quanto di un’identità che si fa sempre più difficile da trovare: ad oggi lo United potrebbe essere tante cose diverse, ma ha mostrato soltanto quello che non può ancora essere, con problemi difensivi ancor più accentuati rispetto allo scorso anno, Pogba che non riesce a massimizzare l’impatto di prestazioni comunque positive anche a causa delle polemiche più o meno a distanza con lo Special One (e recentemente spogliato dei gradi di vice-capitano anche a seguito delle considerazioni sull’atteggiamento della squadra nelle gare interne), e un Fred non ancora in grado di garantire quella dimensione verticale e creativa necessaria per dare nuova linfa a un sistema fin troppo ancorato ad individualità non sempre continue ed efficaci. In questo quadro di assoluta imprevedibilità bisognerà aspettare almeno la fine di ottobre per capire a cosa possa realisticamente ambire questa squadra e se avrà voglia di farlo con l’attuale guida tecnica.

Il primo gol di Fred, su assist di Pogba, con la maglia del Manchester United: contro il Wolverhampton finirà comunque 1-1, in una partita specchio delle difficoltà dei Red Divils in questo inizio di 2018/2019