Nelle mani dei giovani

Perché dieci squadre di A su venti hanno come portiere titolare un under 25?

Non è una moda passeggera, è qualcosa di più. Sempre più portieri titolari in A sono giovani e non sarebbe una sorpresa, non fosse che si tratta del ruolo in cui, secondo i canoni classici del calcio, è meglio affidarsi ad un esperto piuttosto che ad un ragazzo, visto che in gioventù aumentano gli errori e la loro conseguenza tra i pali è, con ogni probabilità, un gol subito. Eppure, il più “anziano” della truppa dei giovani portieri titolari in A è Gomis: 25 anni, da quest’anno è protettore designato dei pali alla Spal. Il più giovane è Donnarumma, che pare giocare nel Milan da una vita e invece ha soltanto 19 anni e un mese in meno del nuovo coetaneo prodigio, Lafont, giunto dalla Francia per difendere la porta della Fiorentina. In mezzo, tra i 19 e i 25 anni, se ne possono contare altri sette, di portieri titolari in A. Ovvero: i ventunenni Radu (Genoa), Audero (Sampdoria) e, a breve nel Napoli, Meret; il ventiduenne Scuffet (Udinese); i ventitreenni Strakosha (Lazio) e Gollini (Atalanta), il ventiquattrenne Cragno (Cagliari). Il totale, dunque, è dieci. Dieci estremi difensori con meno di 25 anni difendono i pali di altrettante squadre del campionato italiano, la metà del totale. Di questi, è significativo che alcuni abbiano preso il posto di colleghi più esperti, come accadde per Donnarumma con Diego López al Milan, e ora con Radu per Marchetti al Genoa o Gollini per Berisha all’Atalanta, lo stesso destino di Meret con Ospina al Napoli. Ed è altrettanto indicativo che altri siano stati scelti sul mercato proprio perché giovani e di prospettiva.

Sembra ancora controintuitivo affidarsi a un giocatore inesperto e dunque potenzialmente più impreciso, soprattutto alla luce degli avvenimenti degli ultimi due anni, in cui, come scriveva Andrea Romano su Undici, «molte delle competizioni internazionali più importanti sono state decise, o quantomeno indirizzate, da un errore del portiere». Ma non è cambiato il peso degli errori, semmai la disponibilità nell’accettare questi ultimi, soprattutto se a commetterli sono degli interpreti giovani. Perché questi sbagli sono un dazio da pagare per avere un guadagno sul resto della prestazione che solo la nuova generazione di portieri può garantire. È uno dei principali riflessi dell’evoluzione del calcio e della crescente importanza del gioco da dietro, della costruzione dal basso. Dal portiere, appunto. All’estremo difensore sono ora richieste caratteristiche diverse rispetto a qualche anno fa, quando i portieri erano soltanto “portieri”. È una questione di linee temporali. La generazione dei portieri under 25 ha cominciato nel settore agonistico mentre il calcio dei grandi virava verso il calcio associativo indotto dalla “rivoluzione guardiolana”: quella promossa oggi titolare è una generazione nata parallelamente al cambiamento, che ha potuto sviluppare le nuove richieste durante l’apprendistato, imparando a parare ma al contempo ad essere anche e sempre più abile con i piedi. Hanno percorso il tempo della rivoluzione, e ora ne sono i portavoce. I giovani portieri, nel momento in cui si affacciano al calcio dei grandi, possiedono già le nozioni di ciò che verrà loro richiesto, mentre gli over 30 hanno dovuto impararlo mentre giocavano già ad alti livelli. Dunque se i primi sono prodotti autentici di questo calcio, i secondi sono ibridi, vengono dal passato e hanno dovuto cambiare in corsa il loro modo di giocare per adeguarsi al presente.

Audero: Giampaolo lo elogia per la sua freddezza, ma anche per il suo coraggio, visibile soprattutto nella frequenza delle uscite. Non sono sempre pulite, ma sono un gesto da anni accantonato dai portieri, che preferiscono rimanere tra i pali. Un gesto però necessario per dare fiducia ad un reparto difensivo giovane come quello della Samp, finora quello meno battuto del campionato (4 reti subite in 8 gare)

Gli allenatori oggi cercano un portiere in grado di iniziare l’azione, dunque abile tecnicamente, ma anche coraggioso. O meglio, un interprete per il quale questa fase del gioco – muoversi fuori dai pali per dare un appoggio in più al difensore, individuare la linea di passaggio – sia naturale, non richieda uno sforzo particolare. E trovano più facilmente questa caratteristica nei giovani. Lo dimostrano le medie dei passaggi effettuati dai nove sopracitati (va escluso Meret, che non ha ancora giocato), tutte da centrocampisti. Quello con il numero più alto è Gomis: 33,4 giocate con i piedi a partita, le stesse di Politano. Poi Donnarumma, con 32,4, più di un regista come Mandragora. Tra le 30,9 di Cragno e le 24,1 di Scuffet si posizionano Audero, Gollini, Lafont e Strakosha. E forse non è un caso che il più giovane in assoluto sia anche il più pulito nelle giocate: con l’83,7% di passaggi riusciti, Donnarumma è influente tanto quanto un giocatore di movimento. Certo, significa anche che l’uscita di palla dalla difesa del Milan di Gattuso è ben confezionata e agevola il compito del portiere rossonero, ma è indubbio che quest’ultimo abbia migliorato la tecnica con i piedi in tempi ridottissimi proprio perché è ancora un diamante grezzo da levigare e non un prodotto finito e immutabile.

Donnarumma: la mappa dei tocchi nel 2-2 contro l’Atalanta dello scorso 23 settembre. Sessantuno, una media da centrocampista. Di più: molti di essi sono lontano dalla porta, ai confini dell’area. Vuol dire coltivare il coraggio necessario per eseguire l’avvio di manovra richiesto da Gattuso.

Il guadagno nella scelta di un giovane tra i pali è confermato anche dall’altro lato della medaglia, ovvero la fase di non possesso. Siccome sempre più squadre puntano ad avere il controllo del pallone, si sbilanciano e dunque richiedono al proprio portiere una profonda capacità di lettura del gioco, in modo tale che l’ultimo uomo sia ben posizionato in caso di ribaltamento del fronte. Servono ormai portieri pensanti, che capiscano le azioni e ne prevedano gli sviluppi. Che siano quindi interpreti del gioco di oggi, non di quello di ieri.

Lafont: deve ancora affinare lo stile di parata, ma nonostante i soli 19 anni ha già una lettura delle azioni da portiere esperto, ideale per il gioco verticale e “rischioso” della Fiorentina

La nuova, coraggiosa richiesta dei tecnici viene assecondata anche da chi deve investire. Se fino a molti anni fa difficilmente i club muovevano grosse somme sui giovani portieri, preferendo invece puntare su quelli più esperti, ora i dirigenti sono disposti ad azzardare scommesse anche su talenti con i guanti prima del tempo: basti pensare ai 22 milioni promessi dal Napoli all’Udinese in estate per Meret, reduce da una sola stagione in A con appena 13 presenze. Una scommessa, appunto. Ma non è una tendenza soltanto italiana: gettando lo sguardo oltre i confini sono emblematici gli 80 milioni spesi dal Chelsea per Kepa, 24 anni, prototipo dell’estremo difensore contemporaneo. Così come i 75 milioni pagati dal Liverpool alla Roma per Alisson, o i 40 dal City al Benfica per Ederson. Tutti portieri under 25, ora titolari nelle big d’Europa.

Strakosha: manifesto di un altro punto forte dei giovani portieri: la reattività. In un calcio in cui si stanno moltiplicando i tiratori, essere in grado di eseguire due parate in rapida sequenza può essere decisivo

Cragno: vietato dimenticarsi i rigori. Fondamentale in cui il portiere del Cagliari e della Nazionali, tra quelli della nuova generazione, si distingue: parte all’ultimo, anche con tiratori “psicologici” come Perotti (che tira male anche per merito suo) e arriva agli angoli. In A, finora, ha parato 5 rigori su 12, quasi uno su due

È un circolo in cui si mescolano cause e conseguenze. Sul mercato è aumentata ovunque la richiesta di portieri giovani, quindi sono saliti i loro prezzi e i club sono costretti a promuovere i prodotti del vivaio o a giocare d’anticipo per acquistarli, prima che diventino inarrivabili. Se un tempo potevano permettersi di veder crescere altrove un estremo difensore fino all’età della piena maturità e solo in quel momento muoversi per comprarlo, ora è necessario azzardare, per spendere meno e soprattutto per assicurarsi i pochi patrimoni tecnici di livello di una generazione agli albori. Poi, una volta investito su un portiere giovane, è necessario far fruttare l’investimento dandogli la possibilità di giocare titolare, di accumulare esperienza prima delle tempistiche classiche del ruolo.

Scuffet: dopo quattro anni da riserva all’Udinese e in prestito in B al Como, il prodigio della porta sembra aver ritrovato smalto e sicurezza. Merito del club friulano che con pazienza è riuscito a restituirgli fiducia

La posta in gioco è alta, perché il portiere ora tocca con i piedi tanti palloni quanti un attaccante e in più deve saper parare con le mani, dunque salvare dei gol che vale tanto quanto segnarli. La puntata è doppia. Ed è paradossale che in risposta alla crescita dell’importanza dei portieri contemporaneamente si siano moltiplicati quelli giovani titolari. Coloro che, potenzialmente, possono commettere peccati di gioventù, fatali per via della geografia del ruolo. Ma è quando si accetta di pagare un dazio per ottenere un guadagno altrove che il calcio si evolve. Ed è questo il caso: il cambiamento del gioco ha creato spazio per i giovani portieri.