La caduta del Monaco

Come si passa dalla Champions alla zona retrocessione nel giro di un'estate?

Nelle ultime settimane è parecchio cambiato il modo in cui abbiamo guardato al calcio nel Principato di Monaco, per quanto riguarda gli ultimi anni. La squadra fenomenale che con Jardim in panchina aveva riportato il titolo nella French Riviera solo due anni fa appare oggi come il simulacro di una nobile famiglia decaduta. Come per gli Amberson di Orson Welles, soltanto l’orgoglio sembra poter salvare quella che negli ultimi quattro anni avevamo conosciuto come una realtà prospera sia di titoli che di economia.  Dopo le ultime due sconfitte interne per 4 a 0, subite da Brugge in Champions League e Psg in Ligue 1, Thierry Henry, arrivato al posto di Jardim per risollevare le sorti di una squadra che non vinceva da 10 gare, si ritrova con ancora meno certezze da cui ripartire.

“Colpa” del fenomeno Jardim e delle aspettative create intorno a una squadra che ha perso elementi importanti come Lemar, Fabinho, Ghezzal e João Moutinho tra gli altri? Probabilmente sì, anche perché i partenti non sono stati sostituti a dovere, né a livello tecnico né in fatto di leadership. Proprio la capacità di riadattare in ogni stagione nuovi innesti alla realtà tecnica e tattica di Jardim era stato uno dei plus del club monegasco: una squadra capace di rigenerarsi e rimanere competitiva al netto di un mercato che puntava a massimizzare le entrate a fronte di nuovi innesti di prospettiva. Quello che per anni è stato un circolo virtuoso da 750 milioni derivanti dalle vendite – che ha permesso la conquista di una Ligue 1 e l’approdo alla semifinale di Champions League 2016/17 – si è però inceppato, creando un buco nero in cui la squadra sembra essere precipitata.

Bernardo Silva, João Moutinho e Fabinho esultano dopo aver battuto il Manchester City, nella Champions League 2016/17. Oggi giocano tutti in Premier League

Al suo arrivo in panchina nel 2014, Jardim aveva portato il Monaco in Champions arrivando davanti alle più accreditate Marsiglia e Saint-Étienne. In Champions era riuscito a vincere il proprio girone, eliminato l’Arsenal agli ottavi per uscire dopo, ai quarti. La squadra aveva registrato la miglior difesa del campionato e sembrava evidente che a Monaco si sia fosse in una nuova era. Questa versione solidissima del primo Monaco targato Jardim poteva contare sulla solidità difensiva e la voracità tecnica di uomini come Bernardo Silva, Yannick Carrasco e Anthony Martial. Dopo le cessioni dello stesso Martial, di Carrasco di Kondogbia e di Kurzawa, la società ha puntato sull’unione di esperienza e gioventù: dentro i veterani Ricardo Carvalho e Toulalan, insieme alle promesse Lemar, Bakayoko e Mbappé. Questo nuovo mix ha assicurato la nuova qualificazione in Champions League, prodromo alla grandeur dell’anno seguente.

È innegabile che nella stagione 2016/17 il Monaco sia stata la squadra del momento in Europa. Una perfetta unione di calcio offensivo e gestione oculata. Anche grazie alle prestazioni di Mendy e Sidibé, oltre all’inserimento di Glik come centrale al fianco di Jemerson, i monegaschi sono riusciti a tenere insieme una rosa che con le conferme di Lemar, Fabinho e Bernando Silva dava alla squadra la certezza di poter contendere al Psg lo scettro di Francia. Ma qualcosa ha cominciato a incrinarsi quando, dopo le partenze di Mendy, Mbappé e Bakayoko, gli arrivi sono stati solo vagamente all’altezza. Una situazione peggiorata con l’ultimo mercato, dove l’arrivo di Golovin, Henrichs, Chadli e Barreca ha depotenziato le certezze e gli equilibri interni alla squadra. Se a questo aggiungiamo gli infortuni di Rony Lopes, Jovetic e Golovin stesso – oltre alla mancanza di risposte da parte dei senatori del club – il baratro in cui il Monaco è sprofondato pare tutt’altro che casuale.

Arrivato a Monaco come salvatore della patria, Thierry Henry si è trovato a cospetto di una rosa con poche certezze. Già 22 giocatori oltre i 150 minuti, non semplici rotazioni ma un disperato tentativo di trovare qualcuno che aiuti a risolvere la situazione. Titì ha cambiato più volte modulo di gioco; ha cercato di alternare quasi tutti i giocatori della rosa alla ricerca della ricetta migliore per curare un malato quasi terminale. 4-3-2-1 a Strasburgo, 3-4-3 alla prima in Champions, con esterni Sidibé e Chadli per avere allo stesso tempo spinta offensiva e tecnica individuale, ancora 4-3-2-1 nel pareggio contro il Digione per provare a gestire centralmente il gioco incancrenitosi nelle giornate precedenti in uno sterile lavoro in fascia, fino al 4-3-3 utilizzato nella sconfitta interna di Champions contro il Brugge.

Che confusione deve esserci nella testa di Titì, che pure si era presentato nel Principato con Pep Guardiola come riferimento. Dopo le ultime due sconfitte per 4 a 0 ha dichiarato, tristemente: «Dopo ogni partita mi dicono che non può peggiorare, ma non è così». Vadim Vasyliev, vice presidente del club, si è affrettato a garantire che Henry non è un pompiere ma che «intorno a lui è stato pensato un progetto». In maniera nemmeno fortuita è lo stesso vice presidente a mostrare la natura del problema, individuandolo proprio nel modello fino a ieri eccellenza del lavoro monegasco. Il bilanciamento di una squadra è un elemento fragile, i giocatori sono pedine di un mercato pieno di incognite e rischi. Dopo la sconfitta interna con il Psg,. Vasyliev ha dichiarato a Canal +: «Il nostro modello è rischioso, finora ha funzionato. Sapevo che un giorno non avrebbe funzionato più, ma è l’unico buon modello per Monaco. Non ce ne sono altri».

Oggi i problemi dei monegaschi si estendono extra campo, con il presidente Rybolovlev accusato di corruzione per aver cercato di influenzare i giudici monegaschi in una causa contro il commerciante d’arte svizzero Yves Bouvier. Il Principe Alberto, indispettito dalla cattiva luce in cui viene messo nelle ultime ore il club di cui è tifosissimo e azionista di minoranza, starebbe spingendo per ritirare il club dalle mani del magnate russo anche a fronte di alcuni nuovi investitori affacciatisi in Riviera per chiedere informazioni.

In una situazione così intricata, con la squadra già eliminata dalla Champions League e una rosa che a dispetto di alcuni veterani è la più giovane per età media di tutta la Ligue 1, non resta che il carisma di Henry per sperare di salvare una nobile decaduta come il Monaco. Essendo un esordiente, Titì dovrà attingere a piene mani dalla credibilità derivata dalla sua carriera di calciatore, esplosa proprio qui. Ma potrebbe non bastare per salvare il club in cui è cresciuto. 

 

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