Perché Modric?

Quattro motivi non "di campo" per cui la vittoria del croato è una svolta.

Il peso dell’anagrafe

Non è nemmeno un caso che Luka Modric fosse il più “anziano” tra i maggiori candidati “normali” – ovvero eccetto quei due. È nato nel settembre 1985 – ha quindi 33 anni – mentre Kylian Mbappé è de dicembre 1998 – ne ha ancora 19 – e Griezmann è classe 1991. Insomma, nonostante un ruolo che può essere interpretato in modo ottimo anche a 35 anni se non di più, Modric è il giocatore più prossimo alla fine della carriera. Il Mondiale in Russia, in questo caso, rientra di nuovo, e probabilmente si intreccia con un calcolo statistico-anagrafico: quante possibilità ci sono che la Croazia si confermi su un palcoscenico così importante in modo così palese? Poche, sia pure l’Europeo 2020. Quante ce ne sono che accada magari al prossimo Mondiale, con Luka Modric ancora in campo? Pochissime, quasi nessuna. Insomma: Modric ha capitanato la Croazia nel miglior Mondiale della sua (breve) storia, ha segnato un gol bellissimo nella “partita simbolo” contro l’Argentina, e probabilmente non capiterà più. Non bisogna perdere l’attimo. Il rischio è quello dell’effetto Iniesta, o effetto Sneijder: giocatori splendidi (uno più costante dell’altro, d’accordo) che nel 2010 avevano l’occasione perfetta per essere premiati, ma che una volta persa quella, non sono mai più spiccati così tanto. Con Modric il treno non è andato perso.

Premio a un centrocampista

Se scorriamo la lista dei vincitori negli ultimi vent’anni e oltre, l’unico giocatore non offensivo ad aver conquistato il Pallone d’Oro è stato Fabio Cannavaro, nell’anno del Mondiale 2006. Per il resto, il trofeo è stato spartito tra meravigliosi architetti d’attacco – Messi, Zidane, Kaká – e macchine da gol – i due Ronaldo e Sheva. Con Luka Modric torna a essere illuminato il centrocampo, come non si vedeva dal 1996 (quando vinse Matthias Sammer, che comunque aveva mansioni perlopiù difensive). E dire che, in questo periodo, i pretendenti non sono certo mancati, se si pensa ad Andrea Pirlo, Xavi, Iniesta, Lampard e Gerrard. I due inglesi si accomodarono sui gradini più bassi del podio nel 2005, mentre i due spagnoli lo fecero nel 2010 – più qualche terzo posto negli anni vicini.

Per ogni Pirlo, però, c’era un Kaká o uno Sheva che si prendeva le copertine; per ogni Xavi e Iniesta, un Messi. Modric si è preso la scena perché la Croazia non aveva la star in un uomo offensivo – Mandzukic è un gregario di lusso, ma pur sempre di gregario si tratta. Scivolato via dal cono d’ombra di Ronaldo, com’era stato al Real Madrid, in Russia il pubblico e la “critica” hanno sottolineato il peso di Modric – apprezzandone il modo di giocare, e la naturalezza con cui, senza lunghi lanci né improvvise accelerazioni, riesce a guadagnare metri e a farlo fare alla squadra intera. Sono state chiaramente le circostanze, di cui sopra, ad accendere i riflettori su Modric; ma, in un meccanismo concatenato, è Modric ora a dare lustro al suo ruolo, un ruolo in costante evoluzione e che ha diversi approcci interpretativi – il centrocampista del Real Madrid incarna soltanto uno di questi. In controluce, si può leggere come il premio al croato sia una piccola rivoluzione, perché non mette più al centro il momento realizzativo ma il modo di costruire l’azione per arrivarci.

La percezione cambiata dal Mondiale

A giugno, alla vigilia del Mondiale, il maggior indiziato a spodestare Messi e Ronaldo era Momo Salah. Pur senza successi stagionali, non si potevano ignorare 44 reti stagionali – lo stesso numero di Ronaldo, una sola in meno di Messi – e un ruolo da protagonista, esaltato e al tempo stesso capace di esaltare il gioco di Jürgen Klopp. Sono trascorse poche settimane, e improvvisamente il nome di Salah è passato in secondo piano, spazzato via dall’inconsistente spedizione dell’Egitto in Russia (d’altronde, non era lecito aspettarsi di più). L’ex Roma è finito addirittura fuori dai primi cinque, piazzandosi al sesto posto.

Viceversa hanno preso piede le candidature dei francesi – nella classifica finale ce ne sono tre fra i primi sette – e, chiaramente, di Luka Modric. Non può essere una coincidenza che quello che è stato votato come il miglior giocatore dei Mondiali abbia poi fatto incetta, nei mesi successivi, di ogni genere di premio individuale (Uefa Men’s Player of the Year e Best Fifa, prima del Pallone d’Oro). Storicamente, il Mondiale orienta abbastanza le scelte dei votanti: Matthaus vinse nel 1990; Zidane nel 1998; Ronaldo nel 2002; Cannavaro nel 2006, tutti vincitori con le proprie Nazionali. Nelle ultime due edizioni, però, il trend era improvvisamente cambiato, complice la presenza di Messi e Ronaldo. Eppure, l’argentino non ha vinto nel 2014, quando arrivò in finale perdendo solo ai supplementari, ma nel 2010, quando l’Albiceleste di Maradona fu spazzata via dalla Germania ai quarti. E Cristiano trionfò nel 2014, nonostante il suo Portogallo non riuscì nemmeno a valicare la fase a gironi.

Il dualismo e la terza via

È difficile interpretare i meriti di Modric per il Pallone d’oro senza considerare l’assenza di Messi e Ronaldo. Eppure, sembra che i patti fossero taciti e chiari dall’estate. Era una sensazione diffusa: questo sarebbe stato il primo anno senza né Messi, né Ronaldo, e alla fine lo è stato. C’era una sensazione di stanchezza nel pubblico, probabilmente, e di qualche Pallone assegnato al di là dei meriti. Ma cosa significa il Pallone d’Oro? È questo l’interrogativo di fondo che non è ancora stato sciolto del tutto: va assegnato al giocatore più “forte”? Evidentemente no, altrimenti lo avrebbero vinto ancora uno dei due (non entreremo qui nella diatriba tra chi lo sia). Va assegnato al “migliore” – che non è sinonimo di “forte”? Va assegnato al più “simbolico” per l’anno solare? Modric è stato sicuramente questo: un giocatore che si è fatto vedere in campionato, sì, ma soprattutto in Champions League e ancora di più al Mondiale. Che è riuscito a spiccare sopra la sua squadra, che è stato uno diverso dagli altri dieci. Sì, anche Ronaldo lo è nel Real (quando segna su rovesciata nei quarti di finale di Champions League, per dirne una), ma non lo è stato al Mondiale; Messi ha movenze aliene per il resto del pianeta, ma in Russia è sprofondato con l’Argentina a causa della zavorra di Sampaoli. Insomma, cinque a cinque forse è un buon modo per non creare polemiche su quei due, per alimentare una sana discussione tra chi sia il migliore, soprattutto per non prendersi responsabilità. Ecco qui Modric, la terza via.

 

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