Volare sulle fasce

Hateboer e Castagne sono due esterni perfetti per il gioco di Gasperini.

Gianluca Mancini gioca un pallone sulla sinistra nei piedi di Timothy Castagne, che riceve quasi spalle alla porta, un passo prima della metà campo. Con una torsione del corpo e della gamba e della caviglia, il belga improvvisa un lancio oltre la linea difensiva della Spal per incontrare lo scatto di Zapata. L’attaccante colombiano si infila tra Cionek e Vicari, e dal lato corto dell’area di rigore serve l’assist per Ilicic che arriva da destra per attaccare la porta e segnare il gol del pari. Passano una ventina di minuti. Altra fascia, stessa azione. Stavolta Ilicic inventa il filtrante alle spalle della difesa per Hateboer, che brucia Costa e serve un assist troppo comodo per il sedicesimo gol di Zapata in Serie A.

Le due reti alla Spal con cui l’Atalanta ha ribaltato lo svantaggio iniziale – firmato dall’ex Petagna – sono un saggio del playbook di Gian Piero Gasperini. Azioni verticali, sviluppo sulle catene laterali, spazi centrali occupati solo in fase di conclusione. Soprattutto, c’è tutta l’importanza degli esterni di centrocampo: il “third pass” di Castagne, l’assist diretto di Hateboer. Due giocatori che stanno brillando nella rincorsa della Dea a un posto in Europa, le cui prestazioni passano sotto traccia solo per il rendimento eccezionale di Duvan Zapata, uno che osa sfidare Cristiano Ronaldo per il titolo di miglior marcatore del torneo.

Castagne in versione regista laterale, Hateboer as himself

A inizio stagione, Hateboer e Castagne dovevano essere in competizione per occupare lo slot di esterno destro, era prevista un’alternanza continua in vista del doppio impegno campionato-Europa League. Oggi, nonostante una precoce eliminazione ai preliminari contro il Copenaghen, sono entrambi titolari, con lo spostamento a sinistra del belga, in un sistema di gioco – quello di Gasperini – che ha nelle corsie laterali due elementi chiave. In tutte le fasi di gioco.

Quando non è in possesso del pallone, l’Atalanta prova sempre ad essere aggressiva con marcature a uomo a tutto campo (o quasi), con il duplice obiettivo di impedire un lineare svolgimento dell’azione avversaria e, soprattutto, di recuperare palla in posizione avanzata per attaccare in transizione prima che la difesa possa schierarsi. La pressione dei singoli elementi dell’undici nerazzurro è sempre in avanti, con un atteggiamento proattivo che spesso costringe gli uomini in fascia a coprire ampie porzioni di campo sul binario di competenza, per rendere efficace un sistema di pressing particolarmente dispendioso. Quando deve costruire l’azione dal basso, invece, la Dea inizia quasi sempre creando connessioni tra i “terzi” di difesa e i centrocampisti esterni: l’Atalanta, infatti, è una delle squadre che sfrutta meno la zona centrale del campo (nel 24% delle azioni, solo il Chievo arriva al 23%). Hateboer e Castagne – o Gosens – hanno poi il compito di sviluppare l’azione in verticale associandosi con l’ala o l’attaccante che si allarga (solitamente Ilicic a destra e Zapata a sinistra, con l’appoggio di Gomez che ultimamente parte spesso dal centro per galleggiare in orizzontale su tutta l’ampiezza del campo) e il centrocampista più vicino, muovendosi oltre la linea difensiva dopo aver scaricato il pallone.

In generale i corridoi laterali sono uno sbocco fondamentale per l’uscita dal basso: è già in quella prima fase che si deve sfruttare il vantaggio, è lì che si crea la superiorità numerica che precede le rapide verticalizzazioni. Attaccare dalle fasce comporta uno svuotamento del centro del campo, ma curiosamente l’Atalanta è la squadra che più costruisce sulle corsie esterne – anche quella che produce più gol da azione manovrata (oltre ad essere il miglior attacco, in generale) –, ma è anche quella che conclude di più dall’interno dell’area di rigore (quasi il 68% delle occasioni), riempita di volta in volta con inserimenti da parte dei centrocampisti o tagli esterno-interno.

L’impiego di Castagne sulla sinistra – una scoperta per certi versi casuale: spostato lì al posto di Gosens a dicembre e da allora quasi sempre titolare – ha creato ulteriori condizioni per valorizzare la prepotenza fisica di Hateboer sull’altra corsia. L’olandese nelle ultime due stagioni è migliorato moltissimo negli inserimenti centrali che lo portano al tiro sempre più spesso (dalla media di un tentativo ogni due partite, oggi sono 0,8 tiri per match). Lo ha dimostrato anche in occasione de gol che ha deciso la trasferta di Cagliari, lo scorso 4 febbraio. Da sinistra, Castagne taglia il campo con un cross che attraversa l’area finendo sul lato destro, dove trova l’inserimento di Hateboer che segna di testa.

Castagne to Hateboer come Stockton to Malone. O quasi

Quella che ha deciso la sfida della Sardegna Arena è il prototipo di un’azione che negli anni è diventata un marchio di fabbrica delle squadre di Gasperini. «Lo facevamo spesso con Conti e Spinazzola, è una nostra caratteristica», ha spiegato il tecnico piemontese nel post-partita. «Ne abbiamo parlato nell’intervallo, volevamo mettere in pratica questa soluzione». La dinamica è sovrapponibile a tanti highlights della stagione 2016/17 dell’Atalanta, con gli attuali terzini di Milan e Juventus protagonisti. I due chiusero la stagione con ben 17 reti prodotte: 8 gol e 4 assist per Conti; 5 i passaggi decisivi di Spinazzola. Numeri impressionanti ma del tutto assimilabili all’attuale rendimento di Hateboer e Castagne (fino a questo momento, in tutte le competizioni, 5 gol e 4 assist per l’olandese; 3+3 per il belga). Numeri che testimoniano l’importanza dell’apporto degli esterni nella fase offensiva delle squadre di Gasperini.

Andrea Conti al suo meglio

Anche ripercorrendo a ritroso la carriera del tecnico di Grugliasco si ritrovano stagioni brillanti degli esterni nel 3-4-3 dei tempi genoani: ci sono i 3 gol e 4 assist di Laxalt uniti ai 4 passaggi vincenti di Ansaldi (stagione 2015/16), e ci sono le 9 reti prodotte da Edenilson e Antonelli (5 assist il primo, 3 gol e un assist il secondo) nel 2014/15. Ma si può tornare indietro anche di un decennio, fino al 2009/10, quando il Grifone riesce a sopperire alla partenza di Diego Milito – 24 reti nella stagione precedente – facendo dei vari Criscito (2 gol e 2 assist), Marco Rossi (5+1) Mesto (5+5, giocando anche da esterno d’attacco) uomini chiave per una stagione molto positiva, chiusa al nono posto.

Diego Laxalt, forza della natura

Valorizzare gli esterni di centrocampo, dunque, è una prerogativa del sistema che Gasperini implementa nelle sue squadre, quando queste diventano davvero “sue”. Al contrario, quando l’identikit di chi prende posto sulle corsie laterali non risponde ai requisiti, il progetto dell’allenatore scuola Juve cede alla base. È il caso della stagione 2012/13 a Palermo, probabilmente quella in cui l’ex presidente rosanero Zamparini si è sbizzarrito di più con i suoi proverbiali cambi di guida tecnica: nel capoluogo siciliano l’attuale allenatore della Dea arriva a metà settembre, dopo un precoce esonero di Sannino, prima di essere sollevato dall’incarico, richiamato e definitivamente esonerato nell’arco di un mese dai toni farseschi a cavallo tra febbraio e marzo – l’interruzione è dovuta alle tre gare, tutte pareggiate, sotto la guida Malesani. A Palermo, Gasperini ha trovato una rosa con Andrea Dossena, Eros Pisano o Michel Morganella come unici interpreti da schierare sui lati. Solo che nessuno di questi poteva rispondere alle sue richieste in termini di letture ed esecuzione. La prova del nove di quanto, nell’idea di gioco di Gasperini, chi gioca sulle fasce deve essere perfettamente integrato nel sistema altamente codificato della squadra. Un sistema riproducibile ed efficace, ma anche esigente e dispendioso, allo stesso tempo.

 

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