La Juventus e un potenziale non sfruttato

La prestazione di Madrid è un netto passo indietro.

Premessa: c’è una partita di ritorno da giocare. Più volte in passato la Juventus ha dimostrato di saper ribaltare anche le situazioni più complicate – e non c’è bisogno di andare troppo indietro nel tempo. Perciò, non è (ancora) arrivato il momento delle trenodie funebri. Ma quella del Wanda Metropolitano non può essere archiviata come serata storta, o passo falso. La Juventus, semplicemente, l’ha giocata al peggio delle proprie possibilità: adagiandosi al copione abituale del campionato, dove al minimo sforzo corrisponde il massimo risultato. Solo che questa non è la Serie A, e di fronte c’era una delle squadre più temibili, organizzate e inossidabili d’Europa.

È bastato leggere la formazione iniziale per capire quali intenzioni avesse in mente Allegri. Cercare di “ammortizzare” il ritmo-partita, facendo leva sulla qualità dei suoi migliori interpreti. Nessuna concessione al rischio: la scelta di De Sciglio terzino destro, al posto di Cancelo, così come il classico centrocampo a tre abitualmente esibito in Italia non lasciavano presagire diverse interpretazioni. Che fosse il piano battaglia giusto oppure no, è questione personale. Ma, dopo un primo tempo al risparmio e un secondo dove l’Atlético stava alzando la pressione – tra l’altro, la Juve era stata già fortunata nell’evitare lo svantaggio quando Griezmann ha colpito la traversa a inizio ripresa – era necessario rimodulare la squadra.

La pericolosità della Juventus, fino alla rottura dell’equilibrio con il gol di Giménez, si era limitata a un calcio di punizione velenoso di Cristiano Ronaldo a inizio partita. Con un tridente che abbina potenza e qualità, dai bianconeri era lecito aspettarsi una maggior produzione offensiva. Il solo Ronaldo ha provato ad agitare vecchi spauracchi a quelli che per anni sono stati i suoi rivali cittadini, finendo però per non avere un adeguato contributo dai compagni di squadra; Mandzukic non è mai entrato in partita, mentre il ruolo di esterno a tutto campo che Allegri ha ritagliato per Dybala sembra più limitare le doti dell’argentino che valorizzarle. Dybala è un attaccante, e non può che essere decisivo quanto più è vicino alla porta; oltretutto, la situazione tattica che voleva la Joya partire da tracce esterne per poi farsi trovare centralmente tra le linee non ha quasi mai funzionato, perché, con un terzino bloccato come De Sciglio, non c’era nessuno a portare via l’uomo dal 10 bianconero.

Nel momento in cui, a metà ripresa, Simeone ha ribaltato la situazione tattica della sua squadra, con l’evidente intenzione di trovare il gol – due esterni offensivi al posto di due centrocampisti centrali, nel giro di sei minuti – la Juventus è andata in difficoltà. A quel punto, forse, serviva più coraggio: approfittare dell’all-in dell’Atlético per provare a ribaltare l’inerzia della gara, alzando i ritmi e prendendo in contropiede gli avversari. Invece Allegri ha optato per un cambio conservativo, con l’ingresso di Emre Can al posto di Pjanic: sostituzione evanescente, e di lì a pochi minuti i colchoneros avrebbero segnato il primo e secondo gol di serata. L’unico squillo dei bianconeri è arrivato con un tiro di Bernardeschi, ancora una volta sugli sviluppi di un calcio da fermo.

Ragionando a mente fredda, emergono due considerazioni. La prima: il centrocampo della Juventus è all’altezza delle big d’Europa? Per una squadra indiscutibilmente nel gotha del calcio mondiale, la mediana sembra, e non solo da oggi, il reparto che ha bisogno di maggiori interventi. Ramsey è un primo e indispensabile tassello, ma alla Juve del Metropolitano è mancato un centrocampo con personalità, che imponesse il suo gioco, che spezzasse il ritmo avversario. Seconda considerazione: la Juve di inizio anno non era questa Juve. Non nel modo di stare in campo, di interpretare le partite. Sembra lontanissima la prestazione di Old Trafford, dove si vide una squadra strabiliante: dominio degli spazi, facilità nel palleggio, interscambiabilità dei ruoli. Una gioia per gli occhi. Fu proprio la gara di ritorno, quando i bianconeri persero – immeritatamente – contro lo United, che segnò due volte nel finale, a interrompere il percorso affascinante che quella squadra stava prendendo. Il più grande rimpianto stagionale, probabilmente. Perché non vincere la Champions non è un fallimento, non lo è per nessuna squadra al mondo. Ma perderla non sfruttando tutto il potenziale della squadra, beh, quello sarebbe un delitto. C’è ancora una partita di ritorno, per rimediare.