La Serie A ha riscoperto il centravanti

Gli attaccanti sono tornati al centro del gioco.

Il Milan è schiacciato nella propria area di rigore, come un pugile alle corde incassa i colpi dell’Atalanta da una mezz’ora abbondante. Ad eccezione dell’occasione sprecata da Kessié in avvio di gara, la squadra di Gattuso non sembra riuscire a costruire azioni pericolose. Finché, al 46esimo, un cross dalla trequarti di Rodriguez, ad uscire e senza inerzia, di quelli che generalmente sono facile preda dei difensori, non entra nel radar di Krzysztof Piatek. Il centravanti polacco, dopo aver bruciato sul tempo Djimsiti, corre incontro al pallone, alza appena la gamba sinistra e infine colpisce di collo interno ruotando contemporaneamente il busto. Gol, il Milan pareggia grazie ad un’invenzione del suo centravanti, un assolo che prescinde dal contesto, un lampo che ribalta gli umori e la partita.

È uno dei molti indizi a sostegno della tesi per cui i centravanti hanno ritrovato un ruolo – e, di conseguenza, una rilevanza – centrale nel gioco. Dopo anni in cui la loro influenza era diminuita, fino ad essere perfino cancellata, l’impressione è che siano nuovamente i giocatori che più determinano il destino delle partite, e non solo perché sono quelli che compaiono più spesso nei tabellini. Se per alcuni anni i nove sono stati costretti ad avvicinarsi al gioco per evitare l’estinzione, ora è il gioco che va di nuovo verso di loro. Si è invertito il rapporto di necessità, è tornato alle origini. Così il centravanti ha potuto abbracciare nuovamente le vecchie abitudini, adattandole al nuovo contesto, e ritrovando infine la dimensione perduta.

Il gol di Piatek all’Atalanta

I nove sono di nuovo protagonisti perché hanno ritrovato il senso del loro ruolo. Le idee del primo Guardiola, replicate da molti allenatori con risultati più o meno efficaci, hanno generato un effetto distopico nel gioco e nella percezione del centravanti. Per anni non è più stato chiesto loro di segnare, dunque di essere abili fronte alla porta, semmai di giocare con lo sguardo rivolto ai compagni. A lungo sono stati i nove a doversi muovere in funzione della squadra anziché il contrario. Così è stato cancellato il senso del mestiere, come ha certificato l’etichetta di “falso nove” e l’utilizzo diffuso di un centrocampista in attacco, e ancora la definizione per cui «il centravanti è lo spazio». Si era arrivati in sostanza alla negazione assoluta del ruolo, che nel tempo ha portato a cambiare l’idea della punta e del giudizio sul suo rendimento: il grande attaccante non era più quello che segnava, ma quello che faceva segnare gli altri giocatori. Un paradosso logico nel calcio di Guardiola, un paradosso-e-basta in molte delle sue imitazioni.

Il guardiolismo è stato quindi la causa della scomparsa dei nove. Ma anche, paradossalmente, la più importante spinta verso il loro ritorno. Partendo da un’idea di gioco basata sulla tecnica, negli anni è cresciuta la qualità in campo così come l’idea che sia necessaria per creare buone azioni da gol. Sempre più squadre cominciano dal basso a costruire l’azione, e il risultato è che il pallone arriva già pulito sul fronte offensivo, mentre nel periodo di transizione successivo all’avvento del guardiolismo, la qualità risultava inferiore e dunque era nata la necessità di utilizzare il centravanti come pulitore della manovra. Oggi non è più necessario, oggi il numero nove è tornato a dedicarsi principalmente al gol. Al mestiere per cui è davvero nato.

È scontato che i centravanti dominino i tabellini, forse lo è meno che non ci siano eccezioni: in Serie A, i primi dieci della classifica marcatori sono tutte prime punte, nessuna ala, nessun centrocampista offensivo. Sono tutti diversi, ma tutti centravanti. Inoltre, è rilevante notare la presenza di molti attaccanti delle squadre minori in vetta alla graduatoria. Pavoletti ha segnato quanto Icardi (9 reti), vanno oltre Petagna e Caputo, mentre Quagliarella e Duván Zapata (16 e 17 reti) pedinano la coppia Piatek-Cristiano Ronaldo (18 e 19, rispettivamente). Cinque dei primi dieci marcatori del campionato non giocano nelle prime squadre della classifica. È quindi in aumento l’incidenza degli attaccanti: ad eccezione di Icardi e Milik, gli altri otto hanno segnato più del 30% dei gol totali delle rispettive squadre, mentre nessun centrocampista si sta facendo notare in zona gol, una novità rispetto al passato. Il più prolifico è infatti Benassi, autore di 7 reti, ma anche di prestazioni altalenanti.

Il ritrovato senso dei centravanti è sottolineato anche dalla metamorfosi che molti giocatori compiono per diventare punte centrali. È un’inversione rispetto al passato, quando invece erano le punte a diventare altro, in un percorso contrario. Il precursore è Cristiano Ronaldo, che ha anticipato la trasformazione in attaccante. Un altro esempio è Mertens: quando ha cominciato a giocare al centro dell’attacco del Napoli, non lo ha mai fatto da “falso nove”, piuttosto si è trasformato in poco tempo in un vero nove, nonostante fosse per lui un ruolo inedito. E ancora: Quagliarella, che da punta ha trovato una seconda giovinezza, di certo migliore della prima.

L’ultimo Quagliarella, un vero nove

Ma l’incidenza dei centravanti è evidente anche nella richiesta che ad essi viene associata: siccome sono importanti, è fondamentale siano completi, che sappiano fare tutto, al meglio. Che siano in grado di giocare spalle alla porta così come di fronte ad essa, che siano in grado di palleggiare e di tirare, di muoversi incontro alla squadra come in profondità. Ed è una richiesta soddisfatta perché la perdita di valore li ha obbligati a mettersi in discussione, ad imparare nuove sfumature del gioco e, nel frattempo, a conservare gelosamente le antiche virtù. La figura del nove moderno o contemporaneo  è frutto di un arricchimento, non di una limitazione, siamo forse al punto in cui il centravanti assume una rilevanza addirittura maggiore rispetto a quella che aveva prima di essere “escluso” dal gioco.

Ne consegue una cura maniacale da parte dei tecnici e dei dirigenti sul mercato nei confronti degli attaccanti. In un’intervista, Duván Zapata ha confessato come Gasperini gli chieda con insistenza di «controllare il pallone in diagonale», per essere proiettato verso la porta. È un dettaglio che ha trasformato il colombiano, già a quota 21 gol in stagione. Ne ha guadagnato l’Atalanta, che è cambiata in molti elementi, ma ha trovato l’apice del suo percorso con Gasperini grazie alla punta colombiana, evidentemente il giocatore perfetto per esaltare questo tipo di calcio. Ma sono molti gli esempi del campionato italiano che sottolineano la ritrovata rilevanza di un numero nove all’interno di una squadra, e vanno oltre i semplici gol realizzati. Piatek, ad esempio, segna più di Higuaín, ma gioca anche in modo diverso: calamita meno palloni, tende ad allungare la squadra piuttosto che a legare i reparti. Era ciò che serviva al Milan pensato da Gattuso, una squadra qualitativa in grado di recapitare palloni puliti alla punta senza l’ausilio di quest’ultima in fase di costruzione della manovra. Così il polacco ha chiuso il disegno che Higuaín invece lasciava aperto: cambiato il nove, è cambiata la squadra.

Contro la Sampdoria, Lautaro Martinez non ha segnato, ma ha fornito un saggio sulle sponde di qualità

Stessa cosa per l’Inter, paradossalmente. Sta rinunciando alla punta più influente del campionato – Icardi, che tende a piegare il gioco della squadra in funzione di sé stesso – ma ha trovato in Lautaro Martinez un appoggio per esplorare nuove strade del gioco. Perde qualcosa a livello di presenza in area, ma ne guadagna in palleggio: Lautaro in realtà effettua meno passaggi di Icardi – in media 12 appoggi a partita nelle ultime tre da titolare, contro i 15 del compagno – ma è più preciso: al 71,5% di Icardi ha risposto con un 80,7% tra Rapid Vienna e Samp. Così l’Inter ha guadagnato fluidità, ed è più variegata. Di nuovo, cambiando il centravanti, il gioco di una squadra varia visibilmente, forse più che sostituendo i calciatori negli altri ruoli. È un discorso che va oltre i gol.

Negli ultimi anni, l’analisi sull’evoluzione del calcio ha cercato di misurare l’importanza dei giocatori e dei vari ruoli nell’economia del sistema-squadra: per esempio è sicuramente cresciuta la rilevanza dei terzini, ma nel frattempo stava cambiando pure la fisionomia del centravanti, in un processo di evoluzione atto a ritrovare una dimensione nel nuovo calcio. Dopo essere finiti in un angolo, snobbati e dimenticati, gli attaccanti si sono adeguati al gioco e hanno ritrovato un senso all’interno di esso. È un mestiere tornato di moda, il nuovo nove è quindi il caro, vecchio nove. Di nuovo e sempre più influente, e determinante.

 

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