È stata la notte di Jurgen Klopp

Anfield ha parlato: il Liverpool del tecnico tedesco si è compiuto contro il Barcellona.

La sensazione che Anfield ormai faccia da sé, che la fiammella di questo stadio magico sia ormai diventata un focolare implacabile, viene confermata dall’atteggiamento rilassato di Jurgen Klopp durante Liverpool-Barcellona. Sembra fuori contesto, fuori dalla parte che da sempre recita, considerando il valore della partita, l’apparente necessità di un suo “contributo” in termini di partecipazione, perché è proprio grazie a lui e alla sua gestualità estrema che Anfield ha ripreso a pulsare, dopo anni di letargo. Ma Klopp stavolta non ha bisogno di essere Klopp, non è necessario aizzare la folla per mantenere a galla l’impossibile, e questo dimostra come il suo progetto di restaurazione sia ormai compiuto, a prescindere dagli eventuali trofei. Anfield va da sé. Anfield ci crede a prescindere. Anfield percepisce che la serata può essere leggendaria, e che può esserlo soltanto lì.

 

Klopp è il padrone dell’atmosfera nonostante sembri un estraneo. L’indizio principale arriva alla fine dell’intervallo, quando sbuca dal tunnel che conduce agli spogliatoi. La notizia è che (pure) Robertson, fino a quel momento uno dei migliori (così come nell’andata del Camp Nou), non ce la fa, va sostituito e la defezione si somma a quelle della vigilia di Salah e Firmino. Tocca a Wijnaldum, forse l’unico deludente all’andata, di certo l’unico bocciato nella formazione iniziale scelta dal tecnico per il ritorno. Klopp, uscendo dal tunnel, si avvicina a quest’ultimo, sorride, lo abbraccia, gli sussurra all’orecchio qualcosa di evidentemente divertente e gli strappa una risata. Può sembrare banale e scontato in relazione al suo carattere, ma non lo è affatto. Jurgen è un uomo a cui (sportivamente e professionalmente parlando) sta andando tutto di traverso che però trova la forza di prenderla sul ridere e di far ridere un calciatore che aveva escluso nella partita dell’anno, in un momento in cui la posta in palio è altissima, la necessità della perfezione (per trasformare l’1-0 in una rimonta completa) è assoluta e il peso della vigilia terribile grava sulle spalle di tutti i presenti.

Il Liverpool era infatti reduce da una serata trascorsa sul divano ad osservare un gol di Kompany da fuori area (un-gol-di-Kompany-da-fuori-area!) che con ogni probabilità costerà la Premier nonostante il record già firmato di punti nella storia del club e a pensare ad uno 0-3 da ribaltare contro il Barcellona, dopo un’andata giocata benissimo ma deviata dalla serata di onnipotenza di Messi. Chiunque avrebbe alzato bandiera bianca, arrendendosi all’evidenza di un destino avverso, ancora una volta. Chiunque tranne Klopp e quel suo sorriso sfoggiato prima della partita e durante (a Wijnaldum) che comunica a tutti i presenti che l’impossibile non esiste per chi si rifiuta di conoscerne la definizione. E qui, ad Anfield, non è più concesso consultare i dizionari.

Nella ripresa, Wijnaldum, lui, segna una doppietta che indirizza la partita verso gli almanacchi della storia. E Origi, l’escluso dell’andata proprio in virtù della presenza del primo in attacco al posto di Firmino, firma il 4-0 finale, bissando il gol in apertura. Non è assurdo pensare che le stelle si siano allineate ad Anfield perché le ha attirate Klopp con un lungo e faticoso lavoro di costruzione di un’identità che dalla squadra permeasse nel pubblico. Un lavoro giunto al termine, si diceva, a prescindere da tutto, perché ha trovato l’apice in una serata di estasi pura, quale è l’obiettivo dichiarato del calcio del tecnico tedesco.

Klopp, quindi, non a caso mantiene un atteggiamento distaccato per tutta la gara e quando l’arbitro Cakir fischia la fine, non esulta “alla sua maniera” ma si avvicina a Valverde per stringergli la mano con lo sguardo – stavolta – serissimo: vuole godersi la serata. Ha cambiato veste, è composto, quasi non mette mano nell’altalena emotiva della partita, non la direziona, non vuole e non pensa di averne bisogno, è spettatore anziché attore, è come se si volesse godere il suo Liverpool e la magia di Anfield che attorno s’innalza, si gonfia e avvolge il campo. È il momento del raccolto dopo una lunga semina, è la gioia preventiva per la più grande “vittoria” del suo calcio. Klopp si inebria di ciò che ha creato al massimo della sua potenza.

E oltre a ribadire le sue oggettive capacità, sottolinea per l’ennesima volta quanto sia determinante l’alchimia tra un tecnico e il contesto in cui esso opera, inteso quest’ultimo come somma delle varie entità quali la società, i giocatori, il pubblico, lo stadio. Anfield, che al triplice fischio rende grazie intonando l’inno di fronte alla squadra schierata in fila, con i calciatori abbracciati e commossi, e Klopp insieme a loro, sorridente e felice di aver organizzato una festa del calcio e aver regalato un sogno non solo ai tifosi Reds, ma a tutti quelli che hanno avuto l’occasione di guardare Liverpool-Barcellona.

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