Rafael Leão, volontà e leggerezza

Come è cambiato in questa stagione l’attaccante del Milan: potenza e letalità nuove, senza perdere il gusto del divertimento.

Esistono gesti tecnici che possono spiegare un calciatore. Una giocata, una movenza che – nella loro brevità di esecuzione – sono in grado di riassumerne il modo di giocare a chi quel giocatore non lo conosce. Guardo la foto di Rafael Leão mentre calcia in rovesciata nel corso della partita Milan-Atlético Madrid, e mi rendo conto che quella rovesciata è lui. Non perché sia una giocata frequente nel suo repertorio – le rovesciate sono belle perché sono rare – ma perché è l’epitome delle sue qualità. Su tutte, una: la leggerezza. La leggerezza di Leão è tutta in questo gesto, che si svolge interamente in aria: associa velocità, con cui prepara il corpo al volo in mezzo secondo, a potenza, con cui frusta la palla contro la traversa.

Osservandolo fluttuare tra i corpi rigidi degli avversari, ci si accorge presto di un particolare: Leão ride. Se si fa una ricerca in rete, si possono trovare numerose immagini che lo ritraggono sorridente mentre corre o calcia. È come se il sorriso fosse un’estensione del suo gioco, che serve a proiettarlo su un altro piano, che richiama a un calcio disteso e scanzonato. Se il confine tra leggerezza e superficialità è spesso molto labile, Leão ha dimostrato di poter oscillare tra l’una e l’altra. Il suo atteggiamento in campo è stato più volte interpretato come indolenza e scarsa inclinazione al sacrificio e, per gran parte delle ultime due stagioni, il portoghese è apparso fumoso e discontinuo. Dall’inizio del campionato 2021/22, però, Leão si è reso protagonista di una crescita che ha messo in mostra il suo enorme talento, elevando la sua leggerezza a serena consapevolezza nei propri mezzi. Possiamo osservare questo turning point prendendo come riferimento la stessa partita, giocata in due momenti differenti: Atalanta-Milan, ultima giornata della stagione 2020/21, e Atalanta-Milan, settimo turno del campionato corrente.

Atalanta-Milan, 22 maggio 2021. I rossoneri vincono quella che per loro è la gara più importante della stagione, la gara che li riporta in Champions League dopo sette anni di assenza. Leão esce dal campo al minuto 79’ dopo che il suo tiro, a tu per tu con Gollini, si è fermato sul palo. Per molti, quella potrebbe essere la sua ultima partita con la maglia del Milan. La sua stagione non è stata come ci si aspettava e, se la si somma a quella precedente, se ne ricava un bilancio agrodolce. Sin dal suo arrivo a Milano, all’età di vent’anni, era chiaro che quello che attendeva Leão sarebbe stato un percorso di formazione. Il portoghese arrivava sì ben referenziato da un’annata positiva al Lille (otto reti) e dall’investitura di «miglior giocatore delle giovanili dello Sporting Lisbona, più di Cristiano Ronaldo» da parte di Tiago Fernandes, suo vecchio allenatore; al tempo stesso però, emergevano delle incognite riguardo la sua identità tattica, dilemma diventato poi leitmotiv dei suoi primi due anni in rossonero, dove ha giocato un po’ ovunque: da punta, da ala destra e ala sinistra, ogni tanto anche da trequartista, complice la situazione caotica del post-Giampaolo.

Nella posizione di numero nove, Leão si è spesso trovato in visibile difficoltà nel fare sua la pragmatica solidità del gioco d’area, di quello spalle alla porta. Un gioco sporco e tutto spigoli che è all’opposto della candida leggerezza del suo calcio, che trova nella fascia il suo habitat naturale: è qui che Leão può sfruttare la velocità delle sue lunghe gambe, che si protendono durante lo scatto in falcate ampie e sospese dal suolo per poi atterrare con potenza, quasi a spingere all’indietro il terreno come la superficie di un tapis roulant. Si arriva così alla seconda grande criticità di Leão: la discontinuità. Come i suoi strappi improvvisi sulla fascia, le gare del portoghese si sono spesso contraddistinte da fiammate spettacolari alternate a lunghi momenti di alienazione dal gioco, sintomo di carenze nell’attacco della profondità e nella lettura degli spazi. Non solo nella singola partita, la sua discontinuità si è manifestata nell’arco della stagione: in particolare nello scorso campionato, c’è stato un momento in cui il talento del portoghese sembrava definitivamente sbocciato. Tra dicembre e gennaio, Leão aveva portato alla squadra tre reti e un assist in cinque partite: highlights da non dimenticare sono il gol più veloce di tutti i campionati d’Europa – contro il Sassuolo – e lo splendido pallonetto a Benevento.

Chi pensava che quello potesse essere il preambolo della sua consacrazione si è dovuto presto ricredere: Leão avrebbe vissuto un girone di ritorno abulico ed evanescente, mettendo a referto un solo gol dei suoi sei stagionali. A pesare sul suo rendimento ha certo influito la lunga assenza di Ibrahimovic, che ne ha scoperto le fragilità sul piano caratteriale: schierato come unico terminale offensivo, Leão ha dimostrato di non saper reggere il peso dell’attacco alle sue spalle. Al contrario, al momento di una maggiore assunzione di responsabilità, è sembrato spesso svogliato, ovattato in un atteggiamento di puerile e sorridente indolenza, quasi a rivendicare una resistenza al diventare grande. È come se, in quelle partite, Leão avesse voluto imporre il suo diritto alla spensieratezza, alla distrazione, all’incostanza: in una parola, alla giovinezza. È così che Leão ci appare al tempo stesso distante e vicino a noi. Distante per la rarità del suo talento, che lo proietta in una dimensione elitaria, quella dei predestinati; vicino, perché la volubilità del suo carattere ci riporta ai momenti della nostra stessa adolescenza, a scene e personaggi che abbiamo vissuto in prima persona.

Nell’intestardirsi a forzare la giocata, Leão è il tuo amico che a FIFA gioca solo con le skills premendo contemporaneamente quattro tasti del joystick; nell’entusiasmo di fare gioco d’area, Leão è il tuo compagno di calcetto che lamenta un mignolo incalcato per non andare in porta; nell’atteggiamento ciondolante con cui lo si è spesso visto entrare in campo, Leão sei tu da bambino, costretto da tua madre a mettere a posto la camera da letto.
È probabilmente questa la sua più grande peculiarità: creare empatia. Il portoghese è uno di quei calciatori verso i quali è difficile restare indifferenti: al contrario, ti trascina in un vortice di emotività che sembra oscillare tra due poli opposti, come dimostra la sua evoluzione in questa stagione.

Atalanta-Milan, 3 ottobre 2021. È il 78’ minuto e Leão ha appena scaricato il pallone sotto il sette alle spalle di Musso, siglando il gol dello 0-3. Dall’ultimo Atalanta-Milan sono passati pochi mesi, eppure sembra già cambiato tutto. In questo inizio di stagione, il portoghese ha già raccolto quattro gol e un assist tra campionato e Champions League, dando l’impressione di essere un calciatore diverso, più concreto e determinato. I numeri ci aiutano a capire quanto il suo apporto sia cruciale nel gioco del Milan: di tutta la squadra, Leão è il primo giocatore per tiri totali e nello specchio, per dribbling riusciti e palloni intercettati. Alla base della sua crescita incide prima di tutto un discorso tattico: Leão quest’anno ha sempre ricoperto la posizione di ala sinistra nel tridente alle spalle della punta. L’arrivo di Giroud ha permesso a Pioli di coprirsi nel ruolo di centravanti, laddove, con i confermati Ibrahimovic e Rebic, non dovrebbe esserci bisogno del portoghese – a meno di grosse emergenze. Alleggerito dalla responsabilità di dover reggere il peso dell’attacco, Leão è diventato padrone indiscusso della fascia, dove può sfruttare gli spazi in isolamento creati dal gioco della punta.

Sì, è proprio vero: Rafael Leão sta ridendo (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Stabilizzato a sinistra, Leão ha incrementato la sua letalità, che si concretizza nella sua giocata più iconica: lancia la palla in avanti di una decina di metri e, con uno scatto fulmineo, la va a recuperare resistendo alla carica del difensore con un sapiente uso del corpo. Arrivato al limite dell’area, il portoghese ha mostrato quest’anno una abilità strabiliante nel leggere l’azione in un brevissimo spazio di tempo, concludendola con un tocco illuminante: si vedano a riguardo l’assist per Rebic contro il Liverpool – replicatosi in maniera quasi identica nell’azione del gol di Diaz – e il palo preso a La Spezia, dove apre improvvisamente il destro per una palombella imprendibile per il portiere. Allo stesso modo, il portoghese ha la licenza di staccarsi dalla fascia e sfondare per il corridoio centrale quando è consentito, come avvenuto con il gol contro la Lazio.

Oltre alla dimensione tattica, però, il cambiamento di Leão si è visto soprattutto nell’atteggiamento in campo: sin dal primo giorno di ritiro, ha mostrato una maturità e una concentrazione che si pensava non gli appartenessero. In un vestito tattico che sembra calzargli a pennello, Leão ha tramutato la sua leggerezza superficiale in disinvolta convinzione, e il suo sorriso è diventato segno di consapevolezza: è questo il termine usato da Pioli per spiegare la sua maturazione. Forte della fiducia dell’allenatore, Leão sta così iniziando a conquistare anche quella dei tifosi, scacciando via quell’inquietante paragone con M’Baye Niang che nel corso della passata stagione l’aveva rincorso come un fantasma. Ora, lo aspetta la sfida più importante, che sarà quella di trovare continuità. Nel singolo “Ballin’” del suo album Beginning (perché si, Leão è anche un trapper), afferma che Passado também não sorriu para mim. Ovvero: «Anche il passato non mi ha sorriso». Lui invece, mentre ride su un campo da calcio, sembra esortare il futuro a fare lo stesso.