Dolori e rinascimento di Riccardo Saponara

Storia di un talento incompreso. Che ora, con l'arrivo di Italiano alla Fiorentina, sembra aver trovato almeno nuova linfa vitale: riuscirà, almeno in parte, a scrollarsi di dosso l'etichetta di incompiuto?

Firenze non aveva mai stretto così forte il suo abbraccio. Riccardo Saponara la percorre a passo lento, il colonnato degli Uffizi gli sfila alle spalle. L’intervistatrice cammina al suo fianco, si gira una puntata di “Viola Star”: sono le coordinate di una storia decisamente implausibile fino a pochi mesi fa e per questo lui, la stella, ha l’incedere soddisfatto di chi sente finalmente la fiducia attorno. Lo si percepisce dallo sguardo, che riflette le reazioni dei passanti fuoricampo. Anche se non li vediamo, ce li immaginiamo salutarlo, indicarlo a chi sta di fianco. Qualcuno potrebbe pure fargli il gesto dell’inchino, come ha fatto Dusan Vlahovic dopo il suo gol, bellissimo, contro il Genoa e come rifarà, pochi giorni dopo l’intervista, per festeggiare quello ancora più bello contro il Milan. Proprio Dusan Vlahovic lo chiama “il Professore”: nonostante il soprannome non spicchi per originalità – carenza endemica del calcio italiano, come denunciato da Federico Buffa in uno storico spezzone di Sky Calcio Show che si trova ancora su YouTube – addosso a Saponara sembra esprimere bene un certo modo di essere. Un modo di essere che sconfina il campo da calcio. Se decontestualizzassimo l’intervista, si potrebbe pure pensare che Saponara non sia effettivamente un calciatore, per via di quello che dice e di come lo dice: ha un’invidiabile proprietà di linguaggio, misura con cura il peso di ogni parola. Non gli piacciono le domande sul calcio, e infatti parla di altro: di musica, di viaggi, di arte – ama la pittura rinascimentale, dice.

La voce e la prossemica sembrano tratteggiare il racconto di un vecchio saggio, che parla della vita con il distacco di chi è stato in grado di elaborarne i fallimenti. E la carriera di Riccardo Saponara è stata fin qui accidentata, per non dire dolorosa. Da quando ci eravamo segnati il nome e avevamo detto ai nostri amici di fare altrettanto, sono passati quasi dieci anni: su di lui il tempo è trascorso a velocità differenti, ne ha sancito le cadute, i vuoti e le risalite. La sua cifra è stata la discontinuità. Dalla prima volta che il suo talento si è rivelato nel suo più abbagliante chiarore, si possono contare almeno quattro momenti in cui si è parlato di lui come un giocatore rinato. Il problema è che, tra quegli intervalli di tempo, i momenti di flessione hanno inciso in modo veramente significativo sul suo percorso tanto che, a un certo punto, ci eravamo rassegnati all’immagine di un giocatore crepuscolare, condannato a quel senso di malinconica decadenza che si prova davanti alle città sul lago in autunno.

È così che la carriera di Saponara è diventata una di quelle che richiedono l’aiuto della rotellina del mouse quando le consultiamo su Wikipedia: un lungo e confusionario alternarsi di squadre che, associato all’ancor più numeroso elenco di allenatori, assetti tattici e infortuni attraversati, ha fatto sì che Saponara ci apparisse un giocatore sempre diverso ogni volta che riemergeva dai suoi vuoti di esistenza. Una sensazione certo accentuata dalla metamorfosi del suo aspetto fisico. Consideriamo il suo periodo alla Fiorentina: all’esordio contro l’Udinese, Saponara ha il tipico aspetto mediterraneo del tipo che incontri in un beach club di Gallipoli, la camicia di lino con collo alla coreana, il ciuffo giusto e la barba accennata. Oggi Saponara i capelli non li ha più – li ha persi – e la sua barba limata allo spessore numero tre del rasoio elettrico si è fatta più folta, ora è nera e viscosa, ma sempre ordinata; un problema soprattutto per chi siede agli ultimi gradoni del Franchi, costretto a stringere le palpebre per distinguerlo da Amrabat.

Ora che, grazie alla nuova Fiorentina di Italiano, assistiamo alla sua ultima rinascita, viene naturale chiedersi quanti Saponara siano effettivamente esistiti e se, esaminandone il passato, potremmo essere in grado di prevederne gli altri, se ce ne saranno. Il primo Saponara ha l’impatto dirompente del fenomeno spuntato all’improvviso e che sembra pronto a sconvolgere i paradigmi del calcio: è la serie B 2012/13 e a gennaio ha già raccolto otto gol e sette assist nell’Empoli, cosa che porta il Milan ad acquistarlo per poi prelevarlo a fine stagioneUna mossa che oggi a Milanello definirebbero avventata, ma che a quel tempo era la scelta più lungimirante e, a ben vedere, più imaginifica: perché Saponara interpretava il ruolo del trequartista in chiave contemporanea e, soprattutto, perché ricordava dannatamente Kaká.

A Empoli, Saponara deve molto della sua esplosione a Maurizio Sarri, ma anche Sarri deve molto a Saponara: il 4-3-1-2 della squadra è retto dalla verticalità del trequartista forlivese, che è magistrale nel muoversi centralmente tra le linee grazie a un ottimo dribbling, nell’inventare spazi per i due attaccanti e occuparli a sua volta grazie a sistematici tagli in profondità. L’Empoli ha un calcio scoppiettante e vola, Saponara chiude la stagione con 11 gol e 14 assist ma non basta a regalare la Serie A alla squadra, fermata in finale playoff dal Livorno. Sarri rimane così in B (ancora per un anno) mentre Saponara è atteso al Milan, dove inizia il primo periodo buio della sua carriera: appena otto presenze in un anno e mezzo, attribuibili innanzitutto ai ripetuti infortuni, a cui vanno sommati prima il ritorno di Kaká – quello vero – e poi una collocazione tattica a lui non congeniale, con Inzaghi che lo schiera da mezzala. Successivamente, Saponara ammetterà di non essere stato pronto a reggere le pressioni di una squadra di quel livello.

Per ripartire non c’è occasione migliore per tornare nel tepore della comfort zone: l’Empoli di Sarri, approdato nel frattempo in Serie A. Saponara si rimette al suo posto nel gennaio 2015 ed è come se non se ne fosse mai andato. Torna a giostrare dietro a Maccarone e Pucciarelli come faceva una volta, mostrando anzi un’aumentata abilità nell’occupare gli half spaces con le transizioni offensive e nella pressione alta in fase di non possesso. Dopo un quindicesimo posto in classifica e sette gol e quattro assist in sei mesi, a guidare Saponara c’è Marco Giampaolo, che raccoglie quanto costruito da Sarri consentendo al suo trequartista di continuare sui suoi standard. È però a gennaio (mese in cui solitamente nella sua vita succedono cose), che Saponara inizia uno strano e inatteso calo, perdendo la brillantezza di sempre. Mancati gli accordi per la sua cessione – l’Empoli chiede più di 20 milioni – e proseguito il momento di abulia nello sfiorito undici di Martusciello, Fabrizio Corsi decide di vendere Saponara alla Fiorentina a prezzo di saldo nella sessione invernale 2016/17.

Il passaggio alla viola è – per sua ammissione – la possibile svolta della sua carriera, che però viene inghiottita, nuovamente, nel buio. Nonostante due gol, Saponara riesce a ritagliarsi solo pochi scampoli di partita nella Fiorentina in disfacimento dell’ultimo Paulo Sousa. L’anno successivo, in panchina arriva Pioli e la compatibilità del suo gioco verticale con un giocatore associativo come Saponara viene subito messa in dubbio. Succede così che il ragazzo trascorre due terzi del campionato tra la panchina e l’infermeria fino al giorno che, probabilmente, gli cambierà per sempre la prospettiva delle cose: è il 4 marzo 2018, il giorno della morte di Davide Astori. La tragedia ha un effetto terapeutico sulla squadra e sul giocatore, che tutt’ora dedica all’amico ogni sua esultanza. Da quel giorno, la Fiorentina inanella otto risultati utili di fila (sei vittorie), e lo fa trascinata proprio da Saponara, che manovra il timone dell’attacco con tutta la classe che ha nel leggere gli spazi grazie alla sua visione periferica, nel servire gli inserimenti con entrambi i piedi.  Una nuova rinascita: Saponara è un’altra volta il punto di fuga del nostro sguardo, noi lo celebriamo, lui chiude la stagione da capitano.

E poi il buio, ancora. Non precisate incomprensioni con Pioli lo portano a Genova, sponda Sampdoria, dove lo aspetta il suo estimatore Giampaolo. È lo spartiacque della sua carriera: inizia qui la fase più irrequieta del suo cammino, quella del vagabondare tra squadre dalle ambizioni sempre più modeste, mentre la sua testa ormai è calva. Alla Sampdoria, Saponara impone un’immagine di sé che è quella di un giocatore a intermittenza, fatto di abbaglianti lampi di luce alternati a un’anonima inconsistenza. Più curiosamente, da questo momento sembra aver stretto un patto con qualcuno per il quale si impegna a segnare solo gol bellissimi, forse in una ribellione ideologica alla dimensione rozza del calcio che la sua nobiltà stilistica non può accettare.

È così che in blucerchiato disegna capolavori: il gol contro il Milan, il mancino sotto il sette a tempo scaduto contro la Juve (poi annullato, ma merita la visione) e il più bello di tutta la sua carriera, quel tacco acrobatico al 96’ contro la Lazio che oggi giace disegnato sul ventre di un tifoso. Com’è ormai prevedibile, anche in questo caso leggiamo che Saponara è rinato, ma piano piano lo vediamo sedere sempre più spesso in panchina, chiuso da Gastón Ramírez. Altro giro, altra corsa dunque, e questa volta il viaggio è breve perché la Fiorentina lo gira all’altro spigolo della città, al Genoa. Di questo periodo c’è veramente poco da dire perché non gioca mai: solo quattro spezzoni tra infortuni e una girandola di allenatori – tre – che non lo favorisce. L’unica cosa interessante è forse la descrizione che ne viene fatta nel comunicato stampa di benvenuto («un calciatore in grado di dare il bianco e pennellare un calcio con la faccia allegra») a evidenziare come Saponara venga, col tempo, sempre più associato all’arte, forse perché sempre meno utile.

L’Empoli è la squadra in cui Saponara ha giocato più partite: sono 162 nell’arco di sei stagioni complessive, con 28 gol realizzati (Gabriele Maltinti/Getty Images)

A gennaio arriva il turno del Lecce, alla ricerca di una difficile salvezza, ed è indicativo sentire Liverani ammettere di aver ricevuto circa venticinque telefonate di chi gli sconsigliava di prenderlo. Tuttavia Saponara ha un impatto positivo, mostra i suoi soliti ed episodici lampi di classe ma non è abbastanza per trascinare la squadra alla salvezza né per convincere la Fiorentina, che al suo rientro lo tiene in rosa solo perché non si concretizzano le trattative con le squadre interessate. Ci si avvia dunque alla fine della storia, che è l’inizio dell’ultima rinascita: a gennaio 2021 Saponara conclude il suo gran tour ligure a La Spezia, dove trova una squadra organizzata secondo i principi innovativi del suo allenatore. Vincenzo Italiano dirotta la sua classe sulla fascia, nel ruolo di esterno sinistro del tridente d’attacco: poche partite (altri infortuni) ma convincenti, perché Saponara porta imprevedibilità e fantasia al gioco della squadra, quando si accentra è spesso letale. Alla fine si contano due gol più una bonus track d’eccezione, una doppietta meravigliosa in Coppa Italia contro la Roma secondo la sua legge (o maledizione) dei gol bellissimi, che cercheremo di ricordarci mentre sparisce dagli archivi, perché i giallorossi fanno un cambio in più e perdono a tavolino.

È evidente che, se oggi possiamo parlare di una seconda giovinezza, è in gran parte merito di Italiano: grazie a lui Saponara rimane alla Fiorentina a inizio stagione, quando nessuno poteva immaginarsi ciò che sarebbe successo. Nel confermato ruolo di esterno d’attacco, Saponara non solo regala attimi di bellezza – oltre alle due reti citate in apertura, l’assist di tacco contro il Genoa – ma sta trovando finalmente continuità con un minutaggio consistente e sempre più presenze da titolare. È l’ultimo Saponara, quello che per rendere non ha bisogno di un modulo costruito attorno a sé ma, piuttosto, di un po’ di fiducia: Italiano ci dice che è un ragazzo particolare che va sempre coinvolto, perché quando «si libera mentalmente, riesce a fare giocate da campione». È così che dalla carriera frammentata di Saponara, fatta di dolori e rinascite, luce e buio, possiamo imparare a riconciliarci con le nostre vulnerabilità per allentare la morsa delle pressioni esterne. Rimettere l’uomo al centro: forse è per questo che Saponara è così affascinato dal Rinascimento.