Che anno è stato per il calcio e lo sport?

Come pochi anni prima di lui, il 2021 è stato un anno intenso, con vittorie storiche, evoluzioni controverse, polemiche ed emozioni. Abbiamo scelto 20 episodi per ripercorrerlo.

Il 2021 è appena finito e, dopo un 2020 complicatissimo dal punto di vista sportivo (e non solo!) in cui praticamente tutte le competizioni sono state annullate oppure spostate, abbiamo fatto indigestione di emozioni. Soprattutto belle, considerato l’anno dell’Italia, ma non solo. Riflessioni, evoluzioni, cambiamenti in campo e fuori dal campo raccolti in 20 pezzi di Undici da rileggere anche nel 2022.

Il giocatore più migliorato dell’anno 2021?

Un anno fa iniziava la trasformazione di quello che è oggi, senza dubbio, uno dei giocatori più straordinari nei maggiori campionati europei: João Cancelo. Al momento del suo passaggio al City, ma anche nei mesi successivi, ci siamo chiesti spesso se il matrimonio tra Cancelo e Guardiola fosse destinato a durare, proprio in previsione del tipo di lavoro che Pep avrebbe dovuto fare sull’esterno portoghese. E il 2021 è stato l’anno della rivelazione: splendida arma tattica, giocatore di una classe unica, che unisce tecnica e visione di gioco. Poi lo ammettiamo, certo, che abbiamo un debole per lui, e chi non ce l’avrebbe?

Era solo questione di tempo, tra Cancelo e Guardiola

L’uomo che ha costruito il Milan

Il Milan attende il gioiello Adli per rinforzare un centrocampo giovanissimo e già splendente, guarda in Ligue 1 e Ligue 2 per i nuovi piccoli Kjaer, monitora i “nove” classe duemila d’Europa per trovare un’occasione alla Saelemaekers. Chi c’è dietro tutto questo scouting? Geoffrey Moncada, l’uomo che guida il team di osservatori e che forse è anche la figura più rappresentativa delle recenti campagne acquisti rossonere. Non perché sia più importante di Paolo Maldini (direttore tecnico) o Frederic Massara (direttore sportivo), ma perché è il simbolo di un approccio nuovo del Milan alla costruzione della rosa.

Come lavora Geoffrey Moncada, l’uomo che sta costruendo il nuovo Milan

Il calcio europeo è sempre più giovane

Vinicius, a Madrid, brilla finalmente non come un diamante grezzo ma come una perla raffinata. È arrivato quando era giovanissimo, insieme ad altri colleghi ancora ragazzini. Perché è questa una delle tendenze a cui stiamo assistendo, in Europa: un tempo era rarissimo che i top club decidessero di lanciare giocatori sotto i vent’anni, o di investire grandi cifre su di loro. Ora, invece, è diventata la normalità. Si tratta di una strategia finanziaria vincente o comunque a basso rischio, sostenibile, soprattutto se proiettata nel lungo periodo: un giovane talento ha un prezzo di mercato più basso rispetto a un giocatore già formato, mentre la valorizzazione di un atleta allevato nel proprio ha un costo iniziale praticamente nullo; lo sviluppo di questi giocatori può generare un indotto tecnico immediato, e poi un profitto economico enorme nel futuro.

Siamo nell’era dei calciatori teenager

Gasperini al centro, nel bene e nel male

Nella classifica degli allenatori più odiati d’Italia, spesso al primo posto ci trovi Gian Piero Gasperini. Gasperini non è mai sopra le righe, non va mai fuori dai gangheri eppure dà sempre l’impressione di essere fuori posto, fuori luogo. Nell’anno dell’ennesima conferma dell’Atalanta come big italiana a tutti gli effetti, una fenomenologia dell’antipatia dell’allenatore dell’Atalanta, dalle parole sugli avversari fino ai suoi momenti politici più problematici.

Perché tutti odiano Gasperini?

La moda della panchina

L’Italia che ha vinto Euro 2020 l’ha fatto con in panchina uno degli allenatori più eleganti del panorama odierno, Roberto Mancini. Anche il modo di vestire dice molto della personalità dei tecnici: la giornalista, critica e fashion curator Maria Luisa Frisa ci guida in un viaggio nell’estetica dei mister.

Viaggio nell’eleganza degli allenatori

Lo sporco del calcio

La Super League è stata annunciata, criticata e poi smantellata in un tempo talmente ridotto che è difficile intuire se il mondo del calcio sarà in grado di tornare allo status quo ante, come se nessuno avesse visto nulla, o se questa serie di eventi avrà ripercussioni profonde sui club fondatori e sull’intero sistema. Ma la Uefa, che si è posta come madrina romantica del calcio del popolo, non è affatto un ente benefico, non è una onlus, non distribuisce benevolenza. È un’organizzazione che «fa i suoi interessi», Guardiola dixit, proprio come i dodici club fondatori della Super League sono stati accusati di fare solo i loro interessi. Anzi, in un certo senso è stata proprio la Uefa a propiziare la polarizzazione del calcio che ha portato i top club a scegliere di separarsi da quelli mediocri che non hanno appeal, né sono in grado di produrre ricavi.

Tutto ciò che non va da decenni nella Uefa e nella Fifa

L’epopea delle due Manchester

Guardiola ha conquistato il terzo titolo in cinque stagioni e sta giocandosi il quarto, lo United non vince la Premier dal 2013 e ha già esonerato il suo allenatore. Come siamo arrivati a questo sorpasso? I poli calcistici di Manchester raccontati in modo unico da Sandro Modeo, partendo da Edoardo III nel 1340 per arrivare a quel Guardiola che proprio Ferguson aveva indicato come suo erede. E che invece ha legato il suo nome, indissolubilmente, alla grandezza dell’altro Manchester.

Come il City è diventato il padrone di Manchester

Pantere e ghepardi giocano a calcio?

Il record di Simy nel 2020/21, e l’esplosione di Osimhen, sono stati accomunati attraverso i soliti stereotipi sulla forza e sulla velocità. Eppure sono due giocatori molto diversi tra loro. Sono africani, e questo basta a molti commentatori e giornalisti per definirli come calciatori poco educati tatticamente e molto prestanti nel gioco fisico. Quando andremo oltre questi stereotipi, e come si può fare?

Per decolonizzare la narrazione dei calciatori africani

Viaggio a Skopje

Quest’estate la Nazionale di Pandev ha esordinto agli Europei: con Matteo De Mayda e Cosimo Bizzarri siamo andati a vedere come procede l’evoluzione calcistica – e non solo – di una nazione giovanissima, che attraverso lo sport vuole entrare nella comunità politica del Vecchio Continente. Il calcio è politica, e nei Balcani lo è più che altrove.

La prima volta della Macedonia del Nord

Berrettini ha fatto la storia, e può migliorarla

Ciò che Matteo Berrettini ha ottenuto su un campo storicamente inviso agli italiani non era mai stato acciuffato da nessuno: Nicola Pietrangeli aveva ceduto una semifinale lottata a Laver nel 1960, Adriano Panatta un quarto di finale disgraziatissimo a Pat DuPré nel 1979. Che non si dica più che gli italiani non sanno giocare sull’erba. E, non appena lo schiacciasassi Djokovic avrà parcheggiato a lato strada, che non riusciamo a vincere gli Slam. Perché abbiamo già trovato chi, e restano da stabilirsi solo il dove e il quando. Ma capiterà presto.

Per Berrettini è solo l’inizio

Lo scudetto di Conte, soprattutto

Quello che affascina maggiormente di Conte è la sua longevità: non ha ancora perso il tocco magico, anzi, sembra rinnovarlo di stagione dopo stagione. Ci sono allenatori che dopo una decade non sanno più scendere a patti con se stessi (vedi Mourinho), preferiscono non abbandonare il porto sicuro (Simeone), o devono aggiornare costantemente la propria identità tecnica, in quanto visionari ed esploratori del gioco (Guardiola). Conte non ha dovuto fare nessun enorme aggiornamento di campo, almeno da quando, nel 2011, varò il 3-5-2 che poi gli è rimasto incollato. Dal 2008/09 a oggi, Antonio Conte ha vissuto nove stagioni per intero in una squadra di club. Sei volte è arrivato primo, otto tra le prime due (compreso il secondo posto con il Siena, che è comunque valso la promozione diretta). Soltanto guardando la visione d’insieme, probabilmente, ci si rende conto dell’incredibile lavoro che questo tecnico è in grado di fare in ogni avventura, qualunque siano le condizioni pregresse e gli obiettivi posti dal club.

Antonio Conte ha avuto ragione, di nuovo

Una Copa América storica

Messi ha brutalizzato la Copa América 2021 – ha segnato quattro gol e servito cinque assist, e in più ha messo insieme 5,5 dribbling riusciti per match – con l’interpretazione migliore della sua carriera albiceleste, e ciò gli ha permesso di superare indenne anche gli attimi di sbandamento emotivo. A fare la differenza rispetto a tutte le altre volte, però, è stata la giocata decisiva in finale di un altro giocatore dalla storia controversa, almeno in Nazionale: Di Maria. La vittoria finale – che mancava dal 1993 – è arrivata nel momento degli ultimi sette anni in cui forse era meno prevedibile e preventivabile, contro un Brasile molto più strutturato, per completezza, peso tecnico complessivo e identità; un momento in cui l’Argentina sembra ancora a metà del proprio percorso, essendosi lasciata alle spalle una lunga e travagliata ricerca, passata attraverso momenti preoccupanti – come la terribile fase a gironi della Copa América 2019 – ma che sembra avere ancora molti margini di miglioramento – e alcune lacune da colmare.

La fine degli psicodrammi in Argentina

Trionfo europeo

Ha vinto la Nazionale che ha saputo andare oltre i propri limiti, quella che ha cercato di esprimere una visione corale di come stare in campo. Quella che è stata attenta ai dettagli, anche minimi, in funzione dell’essere squadra. C’è un momento di Italia-Inghilterra, una situazione assolutamente anonima, in cui Jorginho urla a gran voce a Chiesa: accorcia verso i centrali avversari. È sempre la stessa idea: che la squadra si muova come un organismo unico, che un cervello unitario guidi e indirizzi le scelte di ogni giocatore in campo. L’Italia ha vinto perché ha incarnato al meglio tutto questo. Forse è stata una scelta necessaria, perché non aveva gli Mbappé, i Kane, i De Bruyne da mettere in campo. Ma poi ha scoperto che quella era la sua forza: vi si è aggrappata nei momenti di difficoltà.

Ha vinto l’Italia, ha vinto l’essere squadra

L’inaspettato Spalletti

Il suo arrivo al Napoli è una grande notizia per chi ama gli allenatori-comunicatori, soprattutto quelli che non bramano il consenso degli altri. Come tutti i villain che si rispettino, Spalletti saltella sul confine con l’eroismo tanto che ormai c’è una parte di lui che sta di qua e un’altra che è di là: è un eroe per alcuni e un villain per altri, quindi è sia eroe che cattivo allo stesso momento e per le stesse ragioni. Speravo di morì prima si sarebbe mai fatta se Francesco Totti avesse smesso di giocare con Paulo Fonseca seduto in panchina? E soprattutto: la squadra che negli ultimi anni è stata spesso quella simpatica ma sconfitta, ci guadagna dall’avere in panchina uno perfettamente disinteressato al consenso popolare, uno disposto a usare ogni mezzo per raggiungere il fine? Il Napoli di Sarri era simpaticissimo, quello di Ancelotti amabile (all’inizio, almeno), quello di Gattuso tenero: che forma prenderà il Napoli spallettiano?

Il ritorno di Luciano Spalletti, l’antagonista perfetto del calcio italiano

Il calcio per “posta”

Le newsletter sono il presente, ma come la mettiamo con il futuro? Forse sono un ottimo mezzo per raccontare lo sport. Per questo abbiamo intervistato quattro esempi che ci piacciono molto, per capire come lavorano, cosa pensano, e cosa vedono oltre l’orizzonte: Giorgia Bernardini, Angelo Carotenuto, John Muller, e il grande Rory Smith.

Le newsletter sono il futuro del giornalismo sportivo?

Marcelloooooooo

Di tutti i momenti incredibili, e ce ne sono stati parecchi, sportivamente parlando, di questo 2021 che finisce, forse quello più straordinario, perché storico, inedito e inaspettato, è stato quello firmato Marcell Jacobs a Tokyo nella finale dei 100 metri. Noi l’avevamo incontrato a Roma, soltanto pochi giorni prima di Tokyo, e ci aveva confidato: «Sarà una bellissima esperienza, ma sarà una gara come le altre. Il mio obiettivo non è andare alle Olimpiadi, non è dire “che bello, sono qui”. Assolutamente no. Voglio arrivare in finale, voglio giocarmi tutto quello che posso. In finale può accadere di tutto». È successo.

Marcell Jacobs, la ricerca della velocità

La fine del Messi che conoscevamo

Sembrava impossibile pensare di vedere Messi con un’altra maglia che non fosse quella del Barcellona. Quella di Messi e il Barcellona sembrava una convivenza eterna perché, se pure avevamo visto il Barcellona senza Messi, non siamo mai riusciti davvero a immaginarci Messi senza il Barcellona. Non è una questione di bandiere, e neppure un fatto di cromatismi. Non è neanche una questione di riconoscenza, una parola usata quasi sempre a caso e soprattutto nel mondo del calcio. Le lacrime di Messi sono uno dei simboli del 2021, e dovrebbero proprio accontentare quelli che dicono che il calcio ormai non ha più emozioni ed è solo dei ricchi, perché lui ha dimostrato quanto è doloroso andarsene nonostante i soldi.

Le lacrime di un Dio

L’anno di Simone Biles, in un modo o nell’altro

A Tokyo 2020 si è parlato moltissimo di lei non solo per le medaglie ma per le rinunce, e perché ha messo il suo benessere psicologico davanti alla competizione. Ma Biles è da sempre contro tutto e tutti. È stata penalizzata perché i suoi movimenti erano troppo difficili, e le altre atlete non riuscivano a farli. È passata dal “sistema” Larry Nassar ed è sopravvissuta. A Tokyo ha cambiato ulteriormente lo sport.

Simone Biles, da sempre contro tutti

Una F1 più triste, senza Raikkonen

Ok, abbiamo visto un duello in pista come sognavamo da anni. Ma è anche un circuito orfano di Kimi. Uno che odiava proprio il circuito, e le «teste di cazzo con i padri milionari». Ma in pochi hanno mostrato talento e sapienza come lui. Si diceva che nessuno avesse la stessa affinità che Kimi aveva con le macchine. E sicuramente nessuno aveva la sua lingua. Quando il giornalista Martin Brundle gli chiese come mai lui fosse l’unico pilota assente alla cerimonia di addio alle corse di Michael Schumacher (c’era pure Pelè!) tenutasi prima della partenza del GP di Brasile del 2006, Raikkonen rispose «Stavo cagando».

Kimi Raikkonen voleva solo guidare

Una Liga irriconoscibile

Era uno dei campionati più divertenti d’Europa. Anzi, più rilevanti. La crisi – economica e di attrattività – della Liga si è manifestata compiutamente nel corso del calciomercato estivo 2021. Non solo perché proprio Messi e Sergio Ramos siano andati via tre anni dopo Cristiano Ronado, ma perché non sono stati davvero sostituiti. Perché Kylian Mbappé non è arrivato al Real Madrid, ma anche perché il Barcellona, di fatto, ha sostituito Messi con Depay e Griezmann con Luuk De Jong. Perché l’acquisto più costoso in assoluto è stato quello di Rodrigo De Paul, arrivato all’Atlético Madrid per 35 milioni di euro; perché la somma di tutto il denaro investito dalle 20 squadre partecipanti è di 737 milioni, la più bassa delle cinque leghe top in Europa. Che succede al calcio spagnolo, e come si può salvare?

Esiste ancora un solo motivo per guardare la Liga?