Che fine ha fatto il campionato cinese?

Sono passati pochi anni dai grandi colpi di mercato, dal tentativo di rivaleggiare col calcio europeo, ma gli errori di programmazione e la pandemia hanno cancellato ogni cosa. Siamo all'anno zero della Chinese Super League?

L’ormai virale «we are just not good enough» di Li Xiaopeng, commissario Tecnico della Nazionale cinese, è la plastica rappresentazione di quella che, per utilizzare un garbato eufemismo, possiamo definire come la fase più controversa vissuta dall’intero movimento calcistico cinese. La Cina ha concluso mestamente, con molta infamia e senza nessuna lode, il suo percorso di qualificazione ai Mondiali in Qatar: dopo aver raggiunto il terzo turno, ha ottenuto una sola vittoria in dieci partite complessive contro Arabia Saudita, Giappone, Australia, Oman e Vietnam; i soli due punti di vantaggio sul Vietnam sono un altro segnale chiaro del fatto che la selezione del Dragone sia effettivamente not good enough rispetto alle sue competitor continentali.

Li Xiaopeng è uno dei tre commissari tecnici del mondo ad aver assunto la guida della selezione maschile senior dopo aver guidato quella femminile – come lui, solo l’inglese John Herdman, attuale tecnico del Canada, e il norvegese Per-Mathias Høgmo. Dopo la fine del sogno mondiale, ha sollevato alcuni interessanti interrogativi, non tanto sulla condizione fisica dei suoi calciatori o sulla loro abitudine a giocare ad alto livello, quanto sulla loro precaria tenuta psicologica:  «In Chinese Super League, il capitano Wu Xi riesce a gestire Marouane Fellaini, Paulinho, Anderson Talisca e Renato Augusto. Allo stesso modo, i nostri terzini difendono con successo contro Alex Teixeira, Oscar, Hulk, Graziano Pellé. Quando giocano in Nazionale non riescono a marcare neppure calciatori sconosciuti. Io questo non posso accettarlo».

Si tratta di dichiarazioni severe, prive di ogni diplomatica parvenza di understatement, ma forse necessarie per colpire l’orgoglio, l’onore e soprattutto l’immagine della squadra. In una società fortemente gerarchica come quella cinese, la “faccia” è ciò che determina la posizione di un individuo all’interno della comunità. Citando la sinologa Giada Messetti e il suo libro La Cina è già qui (Mondadori, 2022), «la faccia definisce la sua reputazione ed il suo prestigio nei luoghi che frequenta: ognuno ha il dovere di conservare la propria». Nel variegato macrocosmo cinese, dove esistono ben 113 espressioni diverse per connotare le infinite sfumature inerenti al sentimento della vergogna, il Commissario Tecnico Li Xiaopeng, con le sue perentorie affermazioni, potrebbe forse aver toccato le corde giuste per un provvidenziale e necessario riscatto nelle prossime uscite della squadra nazionale.

E pensare che il discusso processo di naturalizzazione dei vari Elkeson, che ha scelto il nome Ai Kesen / 艾克森 dopo aver rinunciato al passaporto brasiliano, Ricardo Goulart (Gao Late/ 高拉特 ), Aloisio (Luo Guofu/ 洛国富) , aveva rappresentato alla perfezione ciò che la scrittrice Fang Fang aveva lucidamente annotato nel suo Wuhan. Diari di una città chiusa  (Rizzoli, 2020): «Chiunque sa che, quando in Cina qualcosa viene gestito a livello nazionale, tutti si mettono in gioco e si fa ciò che è necessario fare». I vertici della Chinese Football Association ed il Ministero dello Sport cinese si erano spesi direttamente per rendere le procedure di naturalizzazione il più possibile rapide e snelle, cercando di garantire ai calciatori la preziosa opportunità di aiutare, nel più breve tempo possibile, la Nazionale cinese nella rincorsa alla seconda qualificazione della propria storia alla fase finale di un Mondiale dopo l’indimenticabile esperienza del 2002 – indimenticabile anche in senso negativo, viste le tre sconfitte con zero gol segnati nelle gare conto Brasile, Turchia e Costa Rica. In fondo, aderendo ai dettami del più puro confucianesimo, il comportamento di un singolo è valutato a seconda di quanto è utile a migliorare l’armonia della società nel suo complesso.

Una verità appare conclamata, comunque: l’introduzione del salary cap, nel novembre del 2019, dopo anni di spese folli, la presunta assenza di una strategia sostenibile da parte della Federazione, insieme alla chiacchierata riforma dei nomi dei club, hanno ridimensionato visibilmente il movimento. I sopracitati Ai Kesen, Luo Guofu e Gao Late, consapevoli dei rischi enormi che avrebbero corso se fossero rimasti nella Chinese Super League, dove dissoluzioni di società storiche e salari non retribuiti sono pratiche ormai piuttosto consolidate, hanno preferito un prudenziale ritorno in patria. E infatti Luo Guofu ha firmato con l’América Futebol Clube (società con sede nella città di Belo Horizonte), Gao Late con il Santos ed Ai Kesen con il Gremio. Tre calciatori cinesi pronti a darsi battaglia in Sud America: una cosa da non credere.

Il Guangzhou Evergrande, ora Guangzhou Zuqiu Julebu, è la squadra più vincente nella storia della Chinese Super League: otto titoli conquistati tra il 2011 e il 2019; uno di questi, l’ultimo, è stato conquistato da Fabio Cannavaro in veste di allenatore (STR/AFP via Getty Images)

Dopo oltre due anni dallo scoppio della pandemia, la politica di Pechino per contrastare il Covid-19 è rimasta quella della strategia zero contagi -动态清零-. Un modello feroce di contenimento della malattia che, nonostante l’evoluzione del virus, è rimasto pressoché invariato nel corso dei mesi, suscitando le inedite e clamorose proteste delle ultime settimane, soprattutto a Shanghai. Di conseguenza, anche il movimento calcistico subisce il costo di una situazione sociosanitaria che paralizza la società cinese ormai da tre anni, anche se a intermittenza. A poche settimane dall’inizio della Chinese Super League 2022, previsto per il 14 maggio, sono ancora avvolte nel mistero le modalità con le quali si svolgerà il campionato nazionale. Rimangono dubbi preoccupanti sulle sedi nelle quali le sedici squadre iscritte, divise in due gironi da otto, si daranno battaglia. Sembrano lontanissime – quasi di un’altra epoca – le stagioni caratterizzate da investimenti faraonici da parte delle principali società, eppure sono passati soltanto cinque anni, non secoli. Nell’ultima sessione di mercato, il colpo più clamoroso, non paragonabile certo ai fasti di quel glorioso passato tanto vicino e tanto lontano, è stato firmato dal Tianjin Jinmen Tigers, che si è assicurato le prestazioni di Robert Berič, attaccante giramondo sloveno, arrivato in Cina dopo un’esperienza con la maglia dei Chicago Fire.

Situazione, se possibile, ancor più imbarazzante quella relativa all’Asian Champions League. Dopo il Changchun Yatai, anche lo Shanghai Port, la squadra del brasiliano Óscar, uno dei pochi grandi acquisti degli Anni Dieci che è rimasto in Cina, è stata costretta a rinunciare alla possibilità di partecipare alla massima competizione continentale, visto che la metropoli da 25 milioni di abitanti è ermeticamente “chiusa” dallo scorso 28 marzo sempre a causa della Covid-19. Nel frattempo, Shandong Taishan – la squadra campione di Cina – e Guangzhou FC hanno deciso di partecipare al massimo torneo continentale con rose composte unicamente da giovanissimi, per evitare di sottoporre calciatori della prima squadra a lunghe quarantene al momento del rientro in patria. Entrambe le società hanno immediatamente pagato le conseguenze della loro scelta, venendo umiliate, rispettivamente 7-0 e 5-0, da Daegu FC (club di K-League) e Johor DT (società calcistica malaysiana), nella prima sfida dei loro rispettivi gironi.

Un quadro sconfortante per tanti aspetti, che pare non offrire alcuna speranza di cambiamento all’orizzonte e nel quale, come accade fatalmente in certe circostanze, il confine tra realtà e semplice fake news si fa sempre più labile ed incerto. Per esempio, il portale China Sports Vision ha riportato la clamorosa notizia secondo la quale la medaglia di campioni di Cina della stagione 2020 (fu il Jiangsu Suning a festeggiare il titolo nazionale) è acquistabile online, in un sito specializzato, ad un prezzo stracciato: 5mila yuan, circa 730 sterline. In un macro-continente che alla conservazione predilige la ricostruzione, forse siamo arrivati davvero al temuto anno zero, quello dal quale bisogna obbligatoriamente ripartire.