È arrivato il momento di introdurre il tempo effettivo nel calcio?

I dati e le sensazioni sono concordi: il gioco sarebbe molto più spettacolare se il cronometro si fermasse a ogni interruzione. Ma come si può attuare questa rivoluzione?

La partita tra Cagliari e Lazio, giocata il 16 dicembre 2019, può essere considerata un punto di svolta per il nostro calcio. Quella sera, arrivati allo scadere dei novanta minuti regolamentari, l’arbitro Maresca assegnò sette minuti di recupero. Lo stadio reagì con un boato e con inevitabili fischi, visto che il Cagliari era in vantaggio. Per spiegare questa scelta da parte del direttore di gara, vennero tirati in ballo tutti gli ingressi in campo dello staff medico del Cagliari: un minuto per ogni soccorso a un calciatore in maglia rossoblu. Quei sette minuti di recupero servirono alla Lazio per ribaltare la partita grazie ai gol di Luis Alberto (al 93esimo) e Felipe Caicedo (al 97esimo inoltrato). Al termine del match il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, si presentò furioso davanti alle telecamere. E disse: «Sette minuti mi sembrano assurdi. È stata una gara all’inglese e in Inghilterra non avrebbero dato tutti quei minuti di recupero. Non ci sono state interruzioni per il Var o infortuni gravi. Io mi auguro che questo regolamento venga applicato sempre». L’8 maggio 2022, il Cagliari di Giulini è riuscito a pareggiare il fondamentale scontro salvezza di Salerno grazie al gol di Altare proprio nel tempo di recupero. Al minuto 99′.

Negli oltre tre anni che sono trascorsi tra la partita dell’Unipol Arena e quella dell’Arechi, la comune tolleranza degli arbitri – e del movimento in generale – verso perdite di tempo varie ed eventuali si è trasformata in indisposizione. E poi sono successe altre cose di un certo peso: l’aumento delle sostituzioni da tre a cinque, l’introduzione del cooling break nelle partite particolarmente calde, ma soprattutto l’utilizzo sempre più frequente del Var hanno portato inevitabilmente a un aumento della media del tempo di recupero concesso, che è cresciuta fino ad attestarsi, in questa stagione, intorno ai sei minuti e mezzo per match – quindi considerando la somma tra primo e secondo tempo. I sette minuti concessi nella ripresa di Cagliari-Lazio restano ancora un’eccezione, ma i dati ci dicono che certi casi sono molto meno clamorosi rispetto al passato.

E così, inevitabilmente, è cresciuto anche il numero dei gol segnati all’extra time. Nel 2016/17, ovvero l’ultima stagione dell’era pre Var, i gol durante i minuti di recupero furono 52. Un numero che, da allora, è stato ripetutamente superato. Il record da battere era proprio quello della Serie A 2019/20, una stagione nel corso della quale vennero segnate 71 reti nei minuti di recupero – in testa a quella speciale classifica quell’anno c’era la Lazio di Inzaghi, che al gol di Cagliari ne aggiunse altri sei e i cui sogni scudetto si infransero allo scoppiare della pandemia. Quel primato è stato battuto proprio in questo bellissimo finale di stagione: al momento i gol segnati nei minuti di recupero in Serie A sono 72. A far segnare il nuovo record è stata ancora la Lazio, grazie alla rete di Milinkovic-Savic nel 2-2 ottenuto in casa della Juventus.

La correlazione tra introduzione del Var, aumento del recupero concesso e del numero di gol segnati è abbastanza logica, ed evidente. E sottolinea una tendenza generale che rimanda subito a un altro dibattito piuttosto importante: quello sull’introduzione del tempo effettivo. D’altronde un recupero di sette minuti veniva e viene visto come un’eternità, come una punizione fin troppo severa per chi è in vantaggio, ma allo stesso tempo gli allenatori e gli analisti non perdono l’occasione per ribadire che in Italia si fischia troppo e si gioca poco. Uno degli ultimi in ordine di tempo è stato Stefano Pioli, che dopo la partita pareggiata a dicembre contro la Juventus aveva parlato così in conferenza stampa: «Oggi abbiamo giocato quarantotto minuti complessivi, se guardiamo al tempo effettivo. Per forza poi andiamo in Europa e facciamo fatica, questo non aiuta l’intensità». In realtà i dati della Serie A dicono qualcosa di diverso, che il campionato italiano è in linea con gli altri tornei d’Europa. Anzi paradossalmente è quello in cui si gioca di più; secondo i dati del CIES, infatti, in Serie A il pallone è realmente in gioco per 61 minuti e 35 secondi: una quota più alta rispetto alla Bundesliga (61:28), alla Premier League (60.59), alla Ligue 1 (60:32) e alla Liga (58:36). Soltanto in leghe meno competitive – Eredivisie olandese (63:21), Allsvenskan svedese (63:05), Russian Premier League (62.59) e nella Ligat ha’Al israeliana (62:50) – il tempo effettivo di gioco è più alto rispetto alla Serie A.

Questi dati chiariscono come la tendenza a perdere tempo – che sia per proteste, simulazioni, per gli interventi dello staff medico o per festeggiare un gol – sia endemica a tutto il movimento calcistico, senza distinzioni di cultura o confini. E non fa eccezione nemmeno la Champions League, un torneo il cui tempo di gioco effettivo si attesta in realtà poco sopra i 62 minuti, ovvero il 64,7% del tempo a disposizione; in Europa League la percentuale cala fino al 62,5%. Probabilmente la differenza rispetto alla maggior spettacolarità delle partite è percettiva, e sta nel modo in cui vengono affrontate: per esempio, quella giocata al Santiago Bernabéu tra Real Madrid e Manchester City è stata divertentissima perché le due squadre si sono affrontate a viso aperto; allo stesso modo, però, i supplementari sono stati scanditi da continue perdite di tempo, tanto che nel secondo mini-tempo da quindici minuti si è praticamente giocato. E il recupero concesso da Orsato (tre minuti) non è riuscito a compensare tutte le perdite di tempo dei giocatori del Real Madrid.

I giocatori della Lazio esultano dopo il gol segnato da Milinkovic-Savic al minuto 96′ della partita contro la Juventus (Marco Rosi – SS Lazio/Getty Images)

Insomma, stavolta i dati e le sensazioni sono concordi, vanno nella stessa direzione: per rendere ancora più spettacolare – forse anche più equo e più corretto – il calcio, è necessario pensare a una riforma profonda del tempo di gioco. Anche perché in fondo non stiamo più parlando (solo) di uno sport, ma anche di un mezzo di intrattenimento da tenere vivo su un mercato sempre più vasto e concorrenziale, in cui è facile perdere utenti. Soprattutto se i competitor sono i videogiochi e le piattaforme di streaming come Netflix, Amazon Prime o Disney+. Per poter continuare a vendere, a vendersi, il calcio deve aspirare a essere più attrattivo. Non soltanto nella competitività e nell’incertezza di un torneo, ma in ogni singola partita, che deve poter offrire all’utente uno spettacolo pieno, ancor prima che appagante. Insomma, il calcio deve cambiare. Ma come?

Di proposte ne sono state fatte in abbondanza. In questo senso, il tempo effettivo è la più gettonata, anche perché sarebbe l’unico cambiamento che forse potrebbe davvero trasformare il calcio in uno sport ancor più avvincente, anche e soprattutto per i tifosi neutrali – i fan del Real Madrid saranno stati certamente contenti del secondo tempo supplementare non giocato contro il City. Il dibattito è aperto da tempo, e ha attraversato tutte le categorie del mondo del calcio: nel 2017, Marco van Basten – ex consulente FIFA per l’innovazione tecnologica – aveva suggerito di passare alle partite da sessanta minuti, con due tempi da trenta di tempo effettivo sul modello basket. Una proposta rilanciata su Twitter lo scorso aprile da Jan Vertonghen, ex difensore del Tottenham ora al Benfica: «Il calcio ha bisogno al più presto del tempo effettivo. Due tempi da trenta minuti, un cronometro visibile e cartellini rossi per chi simula. Le squadre che se ne approfittano portano via tutta la gioia da questo sport».

Lo sfogo di Vertonghen sembra aver fatto breccia nei cuori della Federazione portoghese, che vorrebbe riformare al più presto i propri campionati con partite giocate secondo lo schema del difensore belga. L’intero processo è però in attesa del via libera dell’International Football Association Board, organismo internazionale che sovrintende le regole del calcio. E proprio in quanto membro dell’IFAB ha parlato Pierluigi Collina, attuale presidente del comitato arbitri FIFA: «Oggi ci sono squadre che giocano 52 minuti, altre che ne giocano 43 e altre ancora 58. Se sommi tutti questi tempi in un campionato, la differenza diventa grande. La maggior parte delle perdite di tempo arriva con le rimesse laterali o i calci di rinvio. Per ovviare alla scarsa spettacolarità di certe situazioni, un po’ di anni fa venne impedito al portiere di prendere con le mani il pallone passato volontariamente da un proprio compagno. Allora la reazione iniziale fu:  “Il calcio non sarà più lo stesso”. Era vero, solo che quella regola ha reso il gioco molto più divertente. Quindi stiamo facendo dei ragionamenti verso il tempo effettivo, perché è giusto farli».

Fosse per Gianni Infantino, presidente FIFA, il tempo effettivo sarebbe già realtà. Non a caso voleva introdurlo già ai prossimi Mondiali in Qatar. Alla fine però si è limitato a una raccomandazione verso gli arbitri a recuperare tutto il possibile: «C’è molto tempo perso in ogni partita. Se allo spettatore viene chiesto di pagare un biglietto per vedere 90 minuti di calcio e una partita dura invece 50 minuti, c’è qualcosa che deve essere rivisto. Non dico di giocare per 100 minuti, ma senza dubbio i minuti di recupero che un arbitro concede devono essere legati strettamente al tempo perso durante la gara». Praticamente, il tempo effettivo prima che il tempo effettivo venga ufficializzato.

Una prova ufficiosa di tempo effettivo – anche se un po’ nascosta – in effetti c’è già stata: pochi mesi fa, nell’estate del 2021 è stato organizzato un torneo tra le formazioni Under 19 e Under 23 di PSV Eindhoven, RB Lipsia, Club Brugge e Az Alkmaar. L’obiettivo di questo evento era espresso già nella sua nomenclatura: “Future of Football Cup”. Tra le innovazioni provate, c’erano anche due tempi da trenta minuti, con il cronometro che si bloccava a ogni interruzione. In un reportage, The Athletic ha raccontato un gioco che è sembrato più veloce, ma anche di un orologio che si è inceppato in occasione di un rigore per il Lipsia, continuando a scorrere. Alla fine però il primo tempo è durato 38 minuti, mentre il secondo addirittura 48. Lo scorrere del tempo, espresso come un conto alla rovescia, trasmetteva ai giocatori un senso di fretta. E sicuramente ha influito anche sul gioco espresso in campo. Sono prove generali, da migliorare e migliorabili, ma la sensazione è che ormai ci siamo: per il tempo effettivo nel calcio, è solo questione di tempo.