La spettacolare riscoperta di Gabriel Jesus

Il passaggio all'Arsenal ci ha restituito un grande attaccante.

La carriera di Gabriel Jesus è iniziata in maniera sfolgorante e poi ha avuto un andamento atipico, prima statico e poi regressivo. È un discorso valido dal punto di vista tattico, ma anche per quello che riguarda l’impatto dell’attaccante brasiliano sul mondo del calcio, la percezione che abbiamo avuto di lui: si è rivelato nel Palmeiras come talento creativo e fantasioso ma anche continuo e disciplinato, poi si è trasferito giovanissimo al Manchester City e qui Guardiola lo ha utilizzato in alternativa ad Agüero, quindi come prima punta, o anche come esterno offensivo, senza mai eleggerlo davvero per il ruolo di attaccante di riferimento del suo sistema. Non a caso, viene da dire, Erling Haaland è arrivato al termine dell’unica stagione in cui Gabriel Jesus era l’unico centravanti puro nell’organico del City, solo che Guardiola aveva abiurato l’utilizzo della prima punta e lui e non aveva reso secondo le aspettative. Lo dicono i numeri: le 23 reti accumulate nell’annata 2019/20 sono diventate 14 e poi 13 nelle ultime due stagioni, anche a fronte di un utilizzo sempre più frammentario da parte di Pep – solamente 48 gare da titolare in Premier e Champions League tra il 2020 e il 2022, meno della metà del totale.

Lungo questo percorso, inevitabilmente, l’entusiasmo – di Gabriel Jesus e intorno a Gabriel Jesus – si è progressivamente affievolito, e così un potenziale talento generazionale si è trasformato in un calciatore di sistema sempre funzionale ed efficiente, ma sempre meno appariscente. È come se Pep Guardiola e i suoi esperimenti perpetui avessero finito per fagocitare Gabriel Jesus, per trasformarlo in un’arma tattica, per togliergli parte di quelle responsabilità puramente individuali di cui, invece, aveva bisogno per esprimersi al meglio. È stato lui stesso a confessarlo pochi giorni fa, nel corso di un’intervista rilasciata a ESPN Brasil: «Al City gli attaccanti non toccavano molto la palla: d’altronde se il tuo allenatore è Guardiola devi capire e accettare il suo calcio, altrimenti meglio separarsi. Io nei primi anni al City sentivo di volermi mettere a disposizione, poi però ho capito di volere altro. Ora all’Arsenal Arteta mi conosce bene e gioco con maggiore libertà, tocco tantissime volte il pallone, vado in campo col sorriso sulle labbra».

Non è la prima volta che un calciatore importante manifesta insofferenza per le teorie e per i metodi di Pep Guardiola, basta ricordare i casi – anche piuttosto controversi – di Eto’o e Ibrahimovic. In pochissimi, però, hanno fatto degli appunti puramente tattici al tecnico catalano, ancora meno si sono definiti incompatibili con il suo modo di vedere il calcio. Insomma, sentir parlare così Gabriel Jesus è stata una sorpresa. Anche perché, nel corso dei suoi anni a Manchester, l’attaccante di São Paulo – è nato e cresciuto nel quartiere di Jardim Peri, nella parte Nord della Mesoregione Metropolitana – ha avuto dei momenti di perfetta sovrapposizione con il gioco identitario del suo ex allenatore, per esempio subito dopo il suo arrivo a gennaio 2017 oppure a cavallo dell’interruzione di Premier e Champions League causa pandemia.

In questo senso, il fatto che la nuova epifania di Gabriel Jesus stia avvenendo nell’Arsenal di Mikel Arteta non può essere un caso: il manager dei Gunners ha lavorato con lui al City, ma soprattutto è l’ex vice di Pep, quindi inevitabilmente un suo emulatore, quantomeno per certi aspetti tattici. L’addio al City non è stato dunque uno shock intenso per Gabriel Jesus, anzi si può dire che la decisione di accettare l’offerta dell’Arsenal sia stata fatta con intelligenza, in modo che l’atterraggio in un nuovo contesto fosse soffice, pur senza rinunciare a un’aspirazione sacrosanta per un attaccante che compirà 26 anni ad aprile: essere finalmente protagonista. 

I primi gol di Gabriel Jesus con l’Arsenal

Dopo la grande prestazione contro il Tottenham nell’ultima giornata di campionato, Arteta ha detto che «la sua mentalità vincente di Gabriel Jesus, il modo in cui si allena ogni giorno, la fiducia che porta alla squadra, tutte queste cose hanno portato l’Arsenal a un livello diverso». Ecco, forse il punto è proprio questo: Gabriel Jesus aveva bisogno di un ruolo centrale, di essere il pilastro di un progetto che però gli desse libertà interpretativa, perché potesse dare e mostrare il meglio di sé. Questo non vuol dire che lui voleva giocare in maniera anarchica, che voleva ignorare consegne tattiche complesse: come sottolineato anche dal Telegraph in questo articolo, l’attaccante brasiliano è stato il giocatore impiegato nel North London Derby che ha ingaggiato più duelli personali, che ha subito e commesso più falli, che più volte ha braccato in pressing gli avversari. Il gol del 2-1, piuttosto banale per altro, rappresenta solo una piccola parte del tutto: basta guardare la sintesi della gara per rendersi conto di quante volte Gabriel Jesus abbia messo in allarme la difesa degli Spurs con azioni personali eleganti e tambureggianti, oppure con la sua semplice presenza in area, con la sua capacità innata di attaccare gli spazi con tempi precisi, anzi perfetti – dopotutto il gol, il quinto della sua prima stagione con i Gunners, arriva proprio perché si trova nel posto giusto, e al momento giusto, su una respinta corta di Lloris.

Gabriel Jesus sembra aver quindi trovato il suo habitat ideale: una squadra che ha ambizioni e che quindi genera pressioni meno consistenti rispetto al Manchester City, che pratica un calcio sofisticato ma forse un po’ più libero rispetto a quello di Guardiola, un ambiente che lo ha fatto sentire subito indispensabile, che l’ha eletto leader. È un tetris complicato che però Gabriel Jesus inseguiva da tempo, fin da quando era ragazzino e diceva cose piuttosto impegnative: «Non penso ad altro che al calcio, a volte mi piacerebbe giocare fino a tre o quattro partite al giorno: riuscirei ad arrivare al punto in cui i miei muscoli si spezzerebbero sotto il peso dei crampi». Allora a parlare era un calciatore dalla tecnica rapidissima e spesso accecante che però manifestava già una certa razionalità, nel senso che metteva il suo talento al servizio del gol e quindi della squadra, dei compagni. Basta riguardare i video-skills pubblicati su YouTube ai tempi del Palmeiras per rendersene conto: Gabriel Jesus sembrava in grado di superare tutti i suoi avversari in dribbling e/o in velocità, ma allo stesso tempo non rinunciava mai a un assist illuminante o a un tiro promettente in nome di una giocata solamente estetica, fine a se stessa. Questa sua tendenza all’essenzialità era atipica, quasi anti-brasiliana, al punto da spingere Ronaldo Luís Nazário de Lima a dire che «ci sono molte somiglianze tra me e Gabriel Jesus». 

Forse certi paragoni erano e restano ancora irriverenti. Forse l’incontro con Guardiola ha portato Gabriel Jesus a concentrarsi su una sola parte del suo repertorio, sulla parte più pragmatica e quindi meno spettacolare, fino a fargli perdere contatto con se stesso, con ciò che sarebbe potuto diventare. Fatto sta che da Gabriel Jesus ci aspettavamo tantissimo. E non eravamo stati ripagati, almeno finora. Ora, però, le cose stanno cambiando in maniera rapidissima: merito dell’Arsenal e di Arteta, di una scelta giusta fatta nel momento giusto, di un apparente passo indietro che in realtà si sta rivelando un passo in avanti. L’unico a non averlo capito sembra essere Tite: il ct del Brasile non ha inserito Gabriel Jesus nella sua squadra per gli ultimi test match prima dei Mondiali, per di più dopo averlo convocato sempre negli ultimi anni, fino alle gare di giugno scorso. Ha ancora un po’ di tempo per riconsiderare questa sua decisione, per cambiare idea su Gabriel Jesus, proprio come abbiamo iniziato a fare tutti da quando si è trasferito all’Arsenal, da quando ha ricominciato a mostrare ogni parte di sé, compreso e soprattutto quella migliore.