L’asado sta diventando una tradizione anche nel calcio americano

I giocatori argentini stanno insegnando il loro modo di fare team building.

L’unione tra compagni è uno di quei valori che non può mancare in qualsiasi sport di squadra. Più un gruppo è coeso, maggiore sarà la probabilità di successo nei confronti dell’avversario. I casi che lo dimostrano sono tantissimi: quante volte, infatti, abbiamo visto squadre che, pur senza avere grandi campioni in rosa, hanno vinto tornei importanti puntando tutto sulla forza del gruppo? Il vero problema è: come farlo? Come creare e cementare questa unità? I modi per fare team building sono tanti e diversi tra loro, tra i più famosi – anche perché può essere replicato anche dalla gente comune – c’è quello degli sportivi argentini e della squadre argentine, a cominciare ovviamente dai calciatori: l’organizzazione di un asado, una grigliata di diversi tipi di carne arrostiti sulla parrilla, la tipica griglia argentina. Parlare di asado non vuol dire solo definire un piatto, o un gruppo di pietanze: la cottura lenta della carne genera una lunga attesa che viene riempita da conversazioni di ogni tipo, da bevute in compagnia e con sottofondo musicale. È quello il vero asado, molto più che il semplice pasto. Dopotutto quante volte, nei servizi dei tg sportivi, abbiamo visto i calciatori – di solito, ovviamente, sono quelli argentini – alle prese con forchettoni e griglie e grossi pezzi di carne? Ecco, quello è fare team building.

L’usanza dell’asado si è diffusa di recente in tutto il calcio europeo. Il merito, inevitabilmente, è dei tanti giocatori argentini che militano nel nostro continente. Ma ora sta accadendo la stessa cosa anche negli Stati Uniti, come spiega Espn in questo articolo. Un articolo che, mentre fa venire l’acquolina in bocca agli amanti della carne rossa, spiega e racconta quella che sta diventando una tradizione che va al di là dell’effettiva presenza di giocatori argentini e/ sudamericani. Ma andiamo con ordine. Una delle persone intervistate nell’articolo, Josema Bazán, vice-allenatore argentino dell’Orlando City SC, ha spiegato che «quando facciamo un asado ci sentiamo liberi e rilassati. Non parliamo del campionato, di calcio giocato, ma di tutt’altro. Questo permette di conoscerci meglio e di unire maggiormente il gruppo». Ma questo non vuol dire che si parli di cose frivole. Anzi, è l’esatto contrario: «Dopo aver provato il primo pezzo di carne», aggiunge Bazán, «è come se ti sciogliessi. E allora cominci a parlare di argomenti più intimi e profondi, lasci la tua zona di comfort ed entri in uno spazio dialettico ancora più confortevole».

Nel 2019, Matías Almeyda – ex centrocampista di Lazio, Parma e Inter, allora tecnico dei San José Earthquakes – cucinò tutto da solo un asado per ricompattare una squadra che era in palese difficoltà. Ad inizio stagione 2023, invece, l’Orlando City SC e l’FC Dallas hanno introdotto degli asados nei loro programmi di allenamento settimanali o mensili. Inoltre. sono tanti i giocatori argentini che, nei giorni liberi, invitano i compagni a casa e allestiscono una parrilla nel proprio giardino. Come spiega Luciano Acosta, centrocampista dell’FC Cincinnati nativo di Buenos Aires: «Raccontiamo tutti un sacco di storie del mio Paese, a volte giochiamo a carte. Parliamo di cose di cui non parleremmo a una normale festa o riunione, anche perché al ristorante non potresti divertirti tanto». La chiave di tutto, come detto, è il tempo: la carne va cucinata e condita in modo accurato con spezie e salse, ogni boccone deve avere il proprio sapore. Maxi Urruti, centrocampista dell’Austin FC, ha spiegato che «la persona che cucina non ha fretta. Sa che ci vuole tempo. Se vuoi mangiare velocemente, è meglio ordinare del cibo a domicilio». Nel frattempo si bevono mate e vino, si mangiano formaggi: è pura convivialità.

Se guardiamo al mondo del calcio, l’influsso magico dell’asado si sta espandendo a macchia d’olio in tutti gli States. Certo, i normali cittadini sono ancora affezionai ai barbecue tipicamente americani, agli hamburger, agli hot dog, ma in certe zone le cose stanno cambiando. Due sono i segnali più evidenti di questa diffusione sempre più capillare. Segnale numero uno: è sempre più facile avere una parrilla tipica argentina, anche a migliaia di chilometri di distanza. È stato proprio Urruti, che si è trasferito in America da dieci anni, a raccontarlo: «Quando sono arrivato, dovevamo chiedere di inviarci i pezzi per costruire le braci direttamente dall’Argentina. Ora, invece, ci sono delle aziende di Miami che in due o tre giorni ti fanno avere tutti i pezzi. Devi solo assemblarli nel tuo giardino». Segnale numero due: le squadre di MLS continuano a organizzare l’asado anche quando non ci sono più i giocatori o i tecnici che hanno dato via alla tradizione. È il caso dell’FC Dallas, che ha istituzionalizzato la grigliata dopo l’addio dell’allenatore Oscar Pareja e del suo vice Bazán, e ancora oggi la organizza con cadenza regolare.

Per gli argentini, dunque, l’asado è un modo per far conoscere e condividere la loro cultura, quindi per favorire la propria integrazione negli USA. La presenza di quest’ultimi in MLS infatti sta aumentando sempre di più: al momento sono 36 e fanno dell’Argentina la terza nazione più rappresentata di tutta la lega. Allargando la riflessione, sono oltre 200 i sudamericani nella Major League Soccer. Un segnale importante, quindi, di crescita e avvicinamento del calcio nordamericano a quello europeo. Quello degli States, infatti, non viene più solo visto come un campionato esotico, piuttosto un contesto competitivo in cui crescere. Esempio lampante di quanto detto è rappresentato dal giovane Thiago Almada, fantasista argentino e primo giocatore dell’MLS a vincere un Mondiale con la sua rappresentativa durante la sua militanza in America.