Alla fine degli anni Settanta concetti quali immagine coordinata, brand-identity o marketing erano del tutto estranei alle politiche economiche e culturali del calcio italiano abituato a maglie pressoché prive di emblemi o stemmi. Nell’estate del 1978 l’As Roma affronta un tour negli Usa presentandosi con una divisa che, vista la straordinarietà delle gare, può permettersi di infrangere la norma olimpica vigente. La disciplina in merito alla caratterizzazione delle divise concedeva fino ad allora solo la riproduzione dei loghi degli sponsor tecnici in proporzioni ridotte. Le maglie, prodotte per il tour statunitense dalla Cit, riportano per la prima volta sul petto una toppa circolare con il profilo nero di una lupa ringhiante, elettrica, demoniaca. Il disegnatore della nuova icona è nato a Milano ma vive nella capitale e, va da sé, parteggia per la Roma; all’anagrafe è Piero Gratton.
Il marchio tuttavia è soltanto l’incipit di un progetto ben più ingegnoso di risanamento delle casse societarie, sotto la presidenza Anzalone, attraverso la costruzione di un nuovo immaginario romanista. Gratton ne è il regista in quanto art director dell’intera operazione, per cinque anni al servizio della società calcistica. La nuova corporate image societaria si fonda su tre elementi definiti rigorosamente: la silhouette del lupetto nero, il logotipo as roma (composto in Helvetica) con la sigla “as” fusa in un monogramma e infine un secondo marchio, una R stilizzata in forma di freccia il cui contorno si moltiplica secondo i colori ufficiali nero, rosso e giallo.
Pressappoco lo stesso gradiente caratterizza le celebri maglie ghiacciolo con cui la squadra scende in campo per due stagioni, dal dicembre 1978 al 1980, dopo aver firmato il contratto con lo sponsor tecnico Pouchain. Seguendo la tradizione del più consolidato design modernista, Gratton progetta metodicamente e in maniera coordinata biglietti da visita, carta intestata, abbonamenti, segnaletica, abbigliamento sportivo e merchandising presente nei Roma shop appena inaugurati. Il lupetto diventa marchio registrato; a chi riceva l’incarico di ristampare la nuova icona della Roma viene inviata una brochure normativa compilata da Gratton che supervisiona ciascuna operazione.
È divertente notare come l’efficacia del progetto si misuri proprio nella sua deriva; nel fatto cioè che oltre alla riproduzione ufficiale del marchio, che passa sotto il vaglio del designer, il lupetto si propagherà spontanea – mente sugli avambracci degli ultras, sui piatti delle torte di compleanno, sulle tutine dei neonati, sulle sciarpe tese e sui cuscini nel lunotto posteriore. L’icona del 1978 rimarrà sul petto della squadra ininterrottamente fino alla stagione 1996-97, restando come elemento decorativo sulle spalle dei calciatori dal 1997 al 2000, ripescato a più riprese tra il 2010 e il 2015 come stemma delle seconde maglie. In seguito alla presentazione del lupetto, Gratton viene ingaggiato dal marchio Pouchain per disegnare i loghi delle franchigie di cui l’azienda abruzzese è sponsor tecnico. Fatta eccezione per la Lazio (anch’essa sotto contratto con Pouchain ma moralmente improponibile come commissione ad un grafico di fede romanista) Gratton, a partire dal 1979, progetta stemmi zoomorfi per società quali Ascoli, Cesena, Palermo, Pescara, Udinese firmando anche un altro simbolo longevo della memoria calcistica italiana: il galletto obliquo del Bari (per oltre trent’anni intatto sulla divisa).