L’evoluzione di Paul Pogba

La stagione a Manchester non è stata negativa come si potrebbe pensare, anzi, ha contribuito a precisare il ruolo in campo del francese.

«Pogba è un problema da 90 milioni di sterline. Se una società spende una cifra del genere si aspetta di portare a casa un giocatore capace di fare la differenza, un uomo che possa risolvere le partite. Per il momento Pogba non è questo». La sentenza di Frank Lampard, sputata a inizio marzo e condivisa da una fetta più o meno consistente della critica sportiva sulla stagione dell’acquisto più costoso della storia, merita almeno un paio di riflessioni. La prima verte sul costo del cartellino, mai come ora condizionato da una serie di fattori che vanno oltre il mero valore assoluto dell’oggetto del trasferimento — dalla disponibilità economica dell’acquirente alle commissioni per gli intermediari dell’operazione, passando per le potenzialità e la futuribilità dell’atleta, senza dimenticare il peso iconico e commerciale dello stesso — e che di fatto possono rendere fuorviante la correlazione con le prestazioni in campo.

RSC Anderlecht v Manchester United - UEFA Europa League Quarter Final: First Leg

In secondo luogo va contestualizzata la figura dell’ex Juve all’interno di una squadra che dopo 10 mesi non ha ancora trovato una fisionomia definita. Dove l’allenatore, smontando e rimontando i pezzi in maniera schizofrenica, ha compiuto sì dei progressi, ma non tali da raggiungere l’optimum. In particolare nella fase offensiva, la cui struttura posizionale non consente allo United di avere sempre la necessaria profondità di manovra né un’adeguata ampiezza sul lato sinistro. Ma se oggi la fase di possesso ha raggiunto comunque una buona fluidità nei primi due terzi di campo, lo deve all’inserimento in pianta stabile di Mkhitaryan – per tutto il 2016 impiegato col gontagocce – e all’arretramento nel ruolo di mezzala sinistra dello stesso Pogba.

La cartolina del 2016/17 di Pogba: verticalizzazione di 50 metri nello spazio per Rashford, messo davanti al portiere come se niente fosse

All’inizio dell’anno il tecnico portoghese aveva infatti proposto un 4-2-3-1 con il classe ’93 sulla trequarti alle spalle di Ibrahimovic. L’idea era quella di avvicinare i due leader tecnici della squadra per formare una connessione su cui costruire il 2016/17. Una scorciatoia suggerita forse dai numeri dell’ultimo anno del transalpino in bianconero (10 reti e 16 assist), che però non ha affatto pagato. Perché Pogba da un lato soffre gli spazi congestionati, dall’altro fatica a prendere campo dietro la mediana avversaria come a ricevere palla fronte alla porta. Una posizione che non gli è congeniale e che lo porta ad arretrare il suo raggio d’azione, alla ricerca di palloni giocabili.

Pogba sta al pallone come un pesce sta all’acqua. Nel secondo filmato retrocede addirittura all’altezza di Carrick

Ma, al di là dell’indole, il francese scende per favorire una risalita della sfera altrimenti tortuosa, specie se viene richiesto ad un cursore puro come Fellaini di agire come metodista. Mourinho ha accantonato quindi l’esperimento dopo due mesi e una serie di prestazioni incolori in luogo di un 4-3-3 dove Pogba torna a giocare da mezzala sinistra. Posizione similare, ma interpretazione completamente differente rispetto all’ultima stagione juventina. A Torino non era centrale nello sviluppo del gioco, veniva coinvolto semmai nella rifinitura e nella finalizzazione negli ultimi 30 metri. In più nel 3-5-2 di Allegri, oltre a dover risolvere anche le situazioni apparentemente bloccate mettendosi in proprio, è stato costretto a coprire la fascia in entrambe le fasi.

Con la maglia dei Red Devils segue invece tracce più interne, rivestendo ben altra centralità nella costruzione del possesso (in rosa domina la classifica dei passaggi effettuati, 73,7, quasi 24 in più rispetto a quelli tentati nel 2015/16). Un compito, quello di mezzala di possesso, che ne esalta la visione di gioco, la qualità della distribuzione e il decision making: con l’ex Juve a fianco di Carrick e Herrera l’uscita del pallone dalla difesa diventa più pulita e la manovra acquista ampiezza, soprattutto sul lato destro, dove con Valencia ha formato una direttrice paragonabile all’asse Pirlo-Lichtsteiner del triennio di Conte alla Juve.

Apertura per l’ecuadoregno con il joystick

Paul Labile non teme la pressione né la gestione dei possessi più caldi, riuscendo a cucire il gioco lungo (ben 162 su 238 i lanci corretti) e corto con la stessa nonchalance. E con una qualità difficilmente paragonabile tra gli altri centrocampisti in circolazione. Grazie anche ai cambi di lato, la sua figura si è rivelata presto imprescindibile, a maggior ragione per una formazione che riscontra una certa difficoltà nell’uscire dal lato palla. Il numero 6 si propone per lo scarico al compagno e, una volta effettuata la giocata, si muove nel cono di luce tra il portatore di palla e le maglie avversarie per offrire una linea di passaggio che consenta alla squadra di acquisire un vantaggio posizionale.

Particolarmente interessante il primo filmato, in cui Pogba, prima di andare sul fondo, accompagna l’azione suggerendo il passaggio prima a Herrera, poi a Mata e infine a Ibrahomovic

La regia nel vocabolario del centrocampista di origini guineane non si limita alla voce “distribuzione”, ma include anche le parole “dribbling” (2,62 ogni 90’) e “conduzione”. Se non ha opzioni di passaggio, si apre il campo scartando il marcatore anche da fermo o su situazione di palla chiusa. Fondamentali in questo senso la fisicità straripante che sfrutta per fare perno sul rivale di turno e avviare l’azione, o l’utilizzo delle pause, con cui al tempo stesso scansiona il contesto e attira su di sé l’uomo per favorire l’inserimento di un compagno nello spazio liberato dall’avversario.

Il francese da solo catalizza l’attenzione di N’Dong, Denayer e Anichebe, che non si accorge dell’avanzata di Blind alle sue spalle

La sua priorità, specialmente quando agisce da centrale di centrocampo nel 4-2-3-1, non è concludere l’azione, quanto semmai alimentarla ed eventualmente accompagnarla a possesso consolidato. Difficilmente va in area, considerato che sono la punta e le due ali a spartirsela. Si inserisce solo quando, partendo dal lato debole, il centravanti e l’esterno sul lato forte hanno svuotato l’area. Ciononostante, i numeri offensivi di Paul Labile non hanno subito una flessione significativa: dai 10 gol complessivi del 2015/16 si è passati agli 8 di quest’anno, la media tiri è scesa da 3,7 a 3,14, mentre i passaggi chiave sono addirittura aumentati (1,97 contro gli 1,61 dello scorso campionato).

Altrettanto determinante il suo contributo in fase difensiva, vero punto di forza nell’annata dello United (46 reti subite in 63 match e appena 9,5 tiri concessi a gara in Premier, dove vanta la seconda miglior difesa della lega). Quando Mourinho sceglie il 4-3-3, il mediano bascula in orizzontale a protezione dei difensori centrali e gli interni marcano a uomo il centrocampista omologo. È qui che emerge lo spessore di un lavoro spesso sottovalutato, fatto di letture delle situazioni abbinate ad una prestanza fisico-atletica grazie a cui si è reso protagonista di numerosi recuperi e ha vinto il 53,47% dei duelli ingaggiati in Premier League. La 23enne mezzala non si limita però a contrastare l’uomo e tagliare gli angoli di passaggio avversari: la plasticità delle sue leve gli permette inoltre di convertire una transizione difensiva in offensiva. Non inganni il passo felpato, solo in apparenza monocorde (uno dei pochissimi a metterlo in crisi sul piano del dinamismo è stato Kanté). Se apre il gas in campo aperto, è dura contenerlo. Ancora più difficile è prevederne le intenzioni.

La forza d’urto di un autotreno

La percezione della stagione del numero 6 non deve essere alterata quindi dal deludente campionato dei Red Devils, sesti e mai in lotta per il titolo, tanto meno dalle problematiche del collettivo irrisolte o dai primi due mesi in una posizione non sua. Parte della critica lo ha elevato a capro espiatorio degli insuccessi dello United in Premier e FA Cup, un’interpretazione comoda e per certi versi rassicurante («Quando le cose vanno male la colpa non può essere solo di un calciatore. Tutte queste critiche a Paul mi sembrano esagerate», ha replicato Mourinho). Un’interpretazione che collima con il punto di vista di chi, come Lampard, si aspettava un giocatore maggiormente decisivo. Il punto è rimodulare il concetto di risolutivo in rapporto al calcio di Paul Pogba in questo 2016/17. Diverso dalle aspettative di chi se lo immaginava più prolifico in zona gol o capace di sfornare trick virali a getto continuo, ma non per questo peggiore o meno determinante.

Perché questo Pogba è semplicemente un’altra faccia dello stesso poliedro. Un Pogba più ordinario (per quanto lo si possa considerare tale un simile talento) e meno extra-ordinario, più continuo ed essenziale ma meno appariscente. Più riflessivo nell’interpretare l’azione e il momento della partita, malgrado qualche futile eccesso di sicurezza. In poche parole, più regista e meno cursore. Lo stesso Mourinho l’ha pubblicamente difeso ed elogiato a più riprese: «Se avessimo speso una cifra normale, tutti direbbero che sta disputando una buona stagione. Per me è veramente buona, io sono super soddisfatto», ha dichiarato dopo la semifinale d’andata di Europa League, aggiungendo che «è sempre più leader della squadra». Magari con un mediano più fresco del classe ’81 Carrick e intraprendente nel primo terzo di campo, l’influenza di Pogba sul gioco potrebbe estendersi anche agli ultimi 30 metri. In questo modo, andrebbe a completare la sua evoluzione e trasformarsi così in una sorta di prototipo del centrocampista box to box. Un giocatore dominante lungo tutta la fascia centrale del campo. Un giocatore totale.