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Tre cose dopo Juventus-Napoli

Potrebbe essere stata la partita dell'anno, ed è andata in modo inaspettato: gli zero tiri in porta dei bianconeri, la fame della squadra di Sarri e le disattenzioni fatali di quella di Allegri.

La qualità annacquata della Juventus

È stato il dato più strombazzato delle ultime frenetiche ore: per la prima volta da quando gioca allo Stadium, la Juventus non ha tirato in porta nell’arco di una partita. Un’occasione ci sarebbe pure – il palo colpito dalla punizione di Pjanic, o meglio, dalla deviazione di Callejón – ma non scalfisce né il dato statistico né il tema: che questa Juventus, nella partita scudetto, non sia riuscita a scatenare la qualità dei propri uomini offensivi. Non Dybala, bocciato dopo appena 45 minuti e senza un minimo guizzo degno del suo nome; non Douglas Costa, altro sacrificato a partita in corso, abbandonato nella trappola della squadra avversaria; non Higuaín, appena nove palloni toccati nel primo tempo, con un tasso di pericolosità pari allo zero.

Chiaro che Allegri ha impostato la partita in un certo modo – puntare al pareggio è legittimo – ma nemmeno lui si aspettava una Juventus così. Anche in caso di punto preso, ha rimarcato il tecnico bianconero, non sarebbe stato felice della prestazione, sottolineando l’aspetto su cui la sua squadra ha reso meno: «Ho scelto Dybala per avere più palleggio, ma così non è stato perché siamo stati troppo lenti, specialmente quando c’era da superare la prima pressione». Ai ritmi bassi, però, la Juventus vi si era adattata fin da subito: e se cerchi di amministrare il risultato, sin dai primissimi minuti, va da sé che stai rinunciando ad alzare il livello del tuo gioco. Il gol che aveva deciso la sfida dell’andata, al San Paolo, era arrivato grazie a una rapida ripartenza: spunto di Douglas Costa in mezzo al traffico, corsa in verticale di Dybala e gol di Higuaín. Gli stessi tre uomini che Allegri ha confermato nella gara dello Stadium dal primo minuto: bisognava sfruttare la verve di qualità e rapidità del proprio tridente, anziché obbligarli a volteggiare all’interno del quadrato difensivo napoletano. È evidente, perciò, la scollatura tra quello che Allegri chiedeva e quello che Allegri ha preparato: se al San Paolo aveva fatto tutto giusto, nel match casalingo ha replicato il canovaccio dell’andata senza però applicarlo. Un delitto, privarsi delle qualità dei suoi uomini.

Il coraggio rabbioso del Napoli

Quando al novantesimo Callejon mette la palla sull’arco del calcio d’angolo, sulle tribune dello Stadium devono essere partiti brividi a catena lungo le schiene dei tifosi bianconeri. Sembra esserci qualcosa di sotterraneo e occulto, un’opera di magia nera che pare aleggiare sul campionato e che vuole forzatamente riscriverne un finale pronto per andare in stampa. Il Napoli di ieri sera è stato famelico anche se non splendido, forse poco appariscente ma estremamente, estremamente efficace. Gli azzurri hanno trovato la forza di vincere una partita di fondamentale importanza anche nell’imperfezione. Non è stata la miglior partita dell’anno del Napoli, ma è stata la vittoria capitale, a dimostrazione che una squadra come quella di Sarri ha imparato a vincere anche quando non è splendida, anche quando il vanto estetico lascia spazio alla fame delle motivazioni. Il Napoli ha comunque surclassato la Juventus in fatto di palleggio: 60 a 40 per gli azzurri nel possesso palla, l’87% di passaggi riusciti, ma soprattutto la foga di andare a pressare gli avversari fin sotto la linea di porta di Buffon. È con questa rabbia, questa ossessiva ricerca dell’errore avversario che il Napoli ha fatto sua la contesa. Costringendo la Juve a una resa, più passiva del previsto, e che rende il finale di stagione infuocato come lava.

Koulibaly vola in cielo, si aggrappa alla Juventus e la riporta a un solo punto di vantaggio sul Napoli a quattro giornate dalla fine del campionato

La (non) tenuta mentale dei bianconeri

Cercando su Google “tenuta mentale Juventus” si trovano tantissimi link ad articoli che elogiano la “testa” dei bianconeri di Massimiliano Allegri (come questo, questo e quest’altro ancora) e altri, per la verità pochi, che la mettono invece in discussione. Era successo, per esempio, all’inizio di questa stagione, dopo la sconfitta per 3-0 a Barcellona in Champions League e il ko interno per 2-1 con la Lazio, e ancora nell’andata degli ottavi di finale col Tottenham, con gli inglesi caparbi nel rimontare da 2-0 a 2-2. Eppure in tutti e tre i casi – per non parlare della prima parte della stagione 2015/16, con quattro sconfitte in 10 partite e solo 12 punti conquistati prima di completare la rimonta scudetto già a metà febbraio con il gol di Zaza al Napoli – la Juventus si è sempre rialzata, ha fatto gruppo nella difficoltà ed è tornata ad asfaltare gli avversari come ha abituato negli ultimi sei anni.

Ora, però, qualcosa potrebbe essere veramente cambiato. In dieci giorni i bianconeri hanno fallito in due appuntamenti decisivi, ed entrambe le volte lo hanno fatto al 90′. Prima il Bernabeu, con il paradosso dell’inutile impresa vanificata dal rigore di Cristiano Ronaldo, poi il Napoli e l’incornata di Koulibaly. E in mezzo anche l’1-1 di Crotone. La squadra di Allegri è ancora a +1 in classifica, ma il calendario non sembra favorevole e, mai come oggi, c’è una diffusa sensazione di essere arrivati a fine ciclo. Un fine ciclo più mentale che tecnico, perché a fare da contraltare al talento di Douglas Costa e Dybala (per la verità, ancora una volta irriconoscibile in un big match) ci sono l’assenza di Barzagli (in panchina), l’infortunio di Chiellini (uscito dopo 11 minuti) e un Buffon che sembra ancora distratto dai fatti di Madrid. Le delicate trasferte contro Inter e Roma, partite decisive che possono far scattare la molla dell’orgoglio nei veterani bianconeri, dipenderanno tantissimo dalla “tenuta mentale” di cui sopra.