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Sette nuovi talenti di Europa League

Da Havertz a Samuel Chukwueze, un po' di nomi da seguire in vista dei sedicesimi.

Il 25 febbraio 2014 Sadio Mané recitava da attore protagonista, con la maglia del Red Bull Salisburgo, nella demolizione dell’Ajax di Frank de Boer all’Amsterdam ArenA. Il 10 dicembre 2015 il 16enne Kylian Mbappè bagnava il suo esordio internazionale fornendo a Stephan El Shaarawy l’assist per il gol della bandiera del Monaco in casa del Tottenham. Romelu Lukaku aveva solo pochi mesi più del golden boy francese quando, 10 anni prima, chiudeva la prima campagna europea della sua carriera collezionando 4 gol e 5 assist in 10 partite con l’Anderlecht. L’Europa League è il comune denominatore dei tre racconti brevi. Un laboratorio tattico e di idee, una palestra per i talenti: la doppia riforma legata alla Champions, avvenuta in periodi distinti – prima ricalcando la formula su quella della competizione più ricca e prestigiosa, poi garantendo al vincitore l’accesso alla stessa – ha trasformato qualitativamente il torneo, con buona pace di ancora non l’ha capito. Per l’edizione in corso abbiamo scelto sette talenti ancora in gara; magari tra qualche anno qualcuno di essi diventerà un precedente illustre da citare.

Facile, banale e scontato guardare le tedesche ancora in corsa e scegliere Luka Jovic. L’attaccante dell’Eintracht Francoforte presenta numeri stagionali talmente elevati da renderlo noto a chiunque non viva solo di pane e Serie A. Ancora più intrigante però è osservare gli sviluppi dell’incontro tra il Mesut Ozil 2.0 (definizione creata prima che l’attuale giocatore dell’Arsenal cadesse in disgrazia, quantomeno in Germania), al secolo Kai Havertz, e l’olandese Peter Bosz, dallo scorso 23 dicembre nuovo tecnico del Bayer Leverkusen. Un radicale della panchina, cruijffiano fino al midollo, con lui non esistono mezze misure: 11 gol segnati nelle ultime 3 di Bundesliga a Wolfsburg, Bayern Monaco e Mainz, ma fuori dalla Coppa di Germania per mano del Heidenheim, Zweite Liga. Match in cui Havertz non è sceso in campo, mentre tre giorni dopo, contro  il Mainz, giostrava da interno anziché da trequartista.

Non una novità, potrebbe dire qualcuno, perché già con Heiko Herrlich lo si era visto in mediana. Con una sola, grande differenza: allora il modulo era un cauto 5-4-1, con Bosz invece si tratta di un 4-3-3 puro, e considerando che ai tempi dell’Ajax l’olandese schierava tre numeri 10 a centrocampo, per il classe ’99 di Aachen – giocatore classico e moderno allo stesso tempo – si aprono potenziali scenari di sviluppo tutti da scoprire. Nell’attuale Europa League è a quota 6 nella combo reti-assist (3+3), pur avendo giocato solo 4 partite e tutte, ovviamente, sotto la grigia gestione Herrlich. Adesso può davvero succedere qualunque cosa.

Come gioca Havertz, spiegato sul canale Youtube ufficiale della Bundesliga

Della Nigeria Under-17 vincitrice del Mondiale di categoria 2015 disputato in Cile, i primi a firmare un contratto nei campionati top d’Europa sono stati Victor Osimhen, Kelechi Nwakali e Orji Okwonkwo, acquistati rispettivamente da Wolfsburg, Arsenal e Bologna. Nessuno però può finora vantare l’impatto, a livello internazionale, del loro compagno di squadra Samuel Chukwueze, una delle rare note liete nella stagione fin qui da incubo che sta disputando il Villarreal. Un’ascesa vertiginosa, la sua, solitamente più consona a campionati-palestra quali quello portoghese, olandese o belga, piuttosto che a un torneo di primissimo livello come la Liga.

Acquistato dal Villarreal nell’estate 2017, lo scorso aprile debuttava in Segunda División B con la seconda squadra, ma già a settembre Javi Calleja lo gettava nella mischia contro il Rangers Glasgow, nel match di apertura di Europa League. Da quel momento ha giocato e segnato in tutte le competizioni. Gol spesso molto simili, alla Robben: spunto sul lato destro del campo, movimento sull’interno e battuta vincente di sinistro sull’angolo lontano. Il tutto condito da velocità, creatività e sfrontatezza nell’uno-contro-uno. Il limite principale è l’utilizzo di un solo piede, il sinistro. Me l’essere riuscito a emergere e a rimanere a galla in questo Sottomarino Giallo che sta lentamente affondando verso la Segunda División è un elemento da non sottovalutare.

Questo video si intitola “Samuel Chukwueze|Nigerian Arjen Robben”, tanto per dire

Per qualcuno c’è sempre di mezzo la politica. In quel labirinto privo di logica, simile al noto film fantasy anni ’80 con David Bowie, che talvolta è il calcio giovanile, c’è chi continua a girare sempre attorno allo stesso posto. Non sempre per colpe proprie, come dichiara l’ala olandese del Brugge Arnaut Danjuma Groeneveld, autore di uno dei più bei gol visti quest’anno in Champions League, quando ha battuto Jan Oblak dell’Atletico Madrid con un missile sotto l’incrocio dei pali calciato appena fuori dall’angolo sinistro dell’area di rigore. Il nazionale oranje arriva dal vivaio del Psv Eindhoven, dove non lo facevano giocare. Per ragioni politiche, dice: altri avevano la corsia preferenziale, il santo in paradiso, e a lui toccava farsi da parte. «Vorrei farti giocare ma non posso», gli disse una volta un allenatore.

Non gli hanno offerto un contratto, così ha preso e se ne è andato al Nec Neijmegen in seconda divisione, chiudendo in doppia cifra il suo primo anno da titolare. Ecco quindi il Brugge, la fascia sinistra, i gol, la Champions, la nazionale, fino a un brutto infortunio a ottobre, dal quale sta recuperando proprio in queste settimane. Danjuma Groeneveld, primo cognome dalla madre nigeriana, secondo dal padre olandese, love story nata sulla rotta petrolifera della Shell (papà è un dipendente della compagnia). Due nomi, a scelta, un solo grande talento.

C’era una volta Martin Ødegaard. La parabola discendente dell’ex enfant prodige del calcio norvegese, oggi poco più che anonimo in Olanda nel Vitesse, può essere compresa osservando la carriera di Sander Berge, mediano del Genk. Nelle giovanili dell’Asker era un trequartista da 30 reti a stagione, ma nel giro di un paio di anni il suo fisico conobbe una forte crescita, in chili e centimetri. «Questo produsse un mutamento delle mie caratteristiche, anche tecniche, portandomi ad arretrare gradualmente il mio raggio di azione». Se nel frattempo il ragazzino dai gol a grappoli fosse volato all’estero, chissà che fine avrebbe fatto. Invece non ha avuto fretta, ieri come oggi, nonostante sia ormai titolare fisso nel cuore della mediana del Genk. Lo presero per sostituire Ndidi, ceduto al Leicester City, si sono ritrovati un giocatore a due fasi, abile tanto nella lettura del gioco in fase di interdizione quanto negli inserimenti in fase di possesso. Un giocatore che, soprattutto, non ha fretta: «Modric ha vinto il Pallone d’Oro a 33 anni, ma a 23 giocava ancora nella Dinamo Zagabria. Non tutti i fuoriclasse sono precoci».

Lo abbiamo scritto a più riprese: il network Red Bull è uno dei progetti calcistici più solidi e strutturati del calcio contemporaneo. Da un paio di anni a questa parte, Salisburgo è diventata un’autentica miniera di giovani in rampa di lancio. Questo spazio avrebbe dovuto essere occupato da Amadou Haidara, già protagonista della scorsa campagna di Europa League che vide il Salisburgo arrivare fino alla semifinale, ma a gennaio il centrocampista ha preso la via di Lipsia, nel tentativo di ripetere la traiettoria sportiva (ma anche economica, per le casse del RB) di Naby Keita. A luglio verrà raggiunto da Hannes Wolf, il più tecnico tra i giovani promossi in prima squadra da Marco Rose. A 15 anni frequentava già il mondo dei grandi con il Liefering, la società satellite del Red Bull Salisburgo che milita nella B austriaca. I piedi sono da trequartista, l’attitudine è da giocatore moderno, ovvero duttilità massima: ala, seconda punta, anche interno di centrocampo. Lo scorso anno nei suoi numeri primeggiavano i gol, quest’anno è più rifinitore. In certe movenze ricorda il primo Arnautovic, quello “olandese”, anche se più malleabile. Tatticamente e, si spera, anche caratterialmente.

Il gioco di Haidara, in una compilation

Sergey Galitsky avrebbe potuto fare come un’oligarca qualsiasi e puntare alla creazione di una sorta di Anzhi in miniatura. Invece per il suo Krasnodar, club fondato nel 2008, il boss della Magnit – una gigantesca catena di supermercati – ha scelto la via del potenziamento strutturale, investendo i soldi per allestire un settore giovanile in grado di foraggiare la rosa della prima squadra. Un progetto che richiede tempo e pazienza, soprattutto se costruito da zero. I primi frutti hanno iniziato a maturare nella scorsa stagione, e il ruolo guida di questa prima generazione spetta a Ivan Ignatyev, attaccante messosi in mostra nella passata Uefa Youth League, dove ha vinto il titolo di capocannoniere segnando 10 gol in 5 partite. Dalla Siberia, suo luogo di nascita, all’Europa, per comporre il mix tra esperienza e freschezza voluto dal tecnico Murad Musaev, che ha iniziato a proporlo con decisione accanto ad Ari e allo svedese Claesson. Non vanta numeri da fenomeno (6 i gol stagionali, ancora a secco in Europa) e presenta ancora diversi aspetti da sgrezzare, ma fisico, testa e capacità di movimento negli spazi rappresentano ottime premesse. A occhio, più uno sleeper che un talento da tutto-e-subito.

Infine, un difensore. Perso il millennial turco Ozan Kabak, passato dal Galatasaray allo Stoccarda a gennaio, si vira sul Celtic Glasgow, che propone il norvegese Kristoffer Ajer, un Frenkie de Jong in miniatura, quantomeno per l’evoluzione della propria carriera. I primi passi da pro li ha mossi nello Start di Kristiansand, dove le sue qualità tecniche lo indirizzarono nel ruolo di centrocampista offensivo. Nonostante una certa puntualità in zona gol (14 in 61 partite), aveva un difetto: la mancanza di velocità. Così è iniziato un progressivo arretramento che, dalla mediana, lo ha portato nel cuore della difesa, con sporadiche apparizioni come terzino destro. Fisicità spiccata, piedi buoni, freddezza e personalità, basti pensare che in Norvegia è diventato il più giovane giocatore di sempre a indossare la fascia di capitano in Tippeliga. Nel 2016 fece un provino a Trigoria, ma la Roma lo scartò per il costo del cartellino ritenuto eccessivo.

 

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