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Il Bayern Monaco è rimasto indietro

Un club sempre perfetto nella programmazione non riesce a costruire un progetto moderno e credibile.

La confusione progettuale del Bayern Monaco si è manifestata compiutamente giovedì 8 agosto 2019, quando il Manchester City ha annunciato la rottura dei legamenti del ginocchio di Leroy Sané. Tutte le notizie dei giornali inglesi, e non solo inglesi, sono state scritte con un necessario corollario: «Data la lunga assenza cui sarà costretto l’esterno tedesco, il Bayern rinuncerà ad acquistarlo per questa sessione di trasferimenti». A pochi giorni dall’inizio della Bundesliga, e a tre settimane dalla chiusura delle liste trasferimenti, il club bavarese ha dovuto cancellare il suo obiettivo di mercato numero uno.

Anche il caso, dunque, non ha aiutato una società che dà comunque l’impressione di navigare a vista. E che nel frattempo ha perso con merito il primo trofeo stagionale, la Supercoppa di Germania – 0-2 contro il Borussia Dortmund. Il nuovo Bayern è una squadra che sa molto di vecchio, che sembra essersi arenata nella palude dei suoi equivoci. Ben prima della fine dell’ultima stagione, sono arrivati gli annunci ufficiali degli acquisti di due difensori, Lucas Hernández e Benjamin Pavard. Sembrava che il club bavarese avesse posto le basi per un nuovo progetto, dopotutto gli investimenti sui due calciatori francesi sono stati importanti – 80 milioni per Hernández, l’operazione più costosa nella storia del club e della Bundesliga, e 30 per Pavard. Poi però il mercato si è rallentato, al punto di fermarsi. Una staticità che nasce da un’evidente divergenza di opinioni e strategie all’interno della società.

Per rendersi conto della scarsa sintonia tra le varie anime della dirigenza, basta confrontare le dichiarazioni pubbliche dei responsabili dell’area sportiva: ad aprile, il presidente Hoeness annunciava come per il Bayern fosse arrivato il momento di «investire una grossa somma sul mercato, in modo da avvicinarsi ai club più importanti d’Europa»; pochi giorni fa, invece, Karl-Heinz Rummenigge ha detto di essere «molto preoccupato per gli stipendi che vengono pagati, soprattutto in Spagna, Inghilterra e Italia. Dobbiamo stare attenti a non destabilizzare il nostro ordine salariale. Le cifre di tanti contratti stanno assumendo dimensioni enormi». Sono due posizioni evidentemente in conflitto, perché l’acquisto di grandi giocatori presuppone un investimento proporzionato, quindi consistente, anche per quanto riguarda il budget degli stipendi. Durante la pre-season, poi, alcune dichiarazioni di Niko Kovac hanno scosso ulteriormente l’ambiente: il tecnico croato ha ammesso come l’idea di prendere Sané lo stuzzicasse in maniera particolare («È il giocatore dei nostri sogni, il pubblico lo sa e lo sappiamo anche noi»); un’esposizione forse eccessiva, che ha costretto lo stesso Kovac a scusarsi con Guardiola e con il Manchester City. Poi è arrivata pure la reprimenda pubblica di Hasan Salihamidzic, direttore sportivo del Bayern.

Ripensandoci, l’acquisto di Sané avrebbe in qualche modo permesso di far convergere le differenti correnti politiche all’interno del Bayern: l’età dell’esterno del Manchester City, il suo status di fuoriclasse non ancora pienamente definito, il suo appeal mediatico, la sua forza immediata e prospettica, sono tutti aspetti che andavano a comporre un profilo intrigante eppure non finanziariamente insostenibile, soprattutto per un club storicamente attento alla sostenibilità del modello finanziario. Sané è tedesco, è giovane, è un giocatore di grande qualità, dunque sarebbe stato l’uomo immagine prefetto del nuovo Bayern, anche senza avere l’impatto a bilancio di un calciatore come Neymar, oppure come Mbappé oppure ancora come Bale e/o Coutinho – giusto per definire tre livelli di accessibilità.

Invece è arrivato Perisic, al termine di un’operazione apertasi e conclusasi in pochi giorni e che ha il retrogusto del ripiego, nonostante le inevitabili rassicurazioni di Kovac. L’ex esterno dell’Inter, suo malgrado, è l’emblema di una rivoluzione solo abbozzata, rimasta incompiuta, soprattutto in relazione al fatto che si tratta dell’unico calciatore offensivo arrivato finora in Baviera dopo l’addio di Robben e Ribery – al netto del 19enne Jann-Fiete Arp, acquistato dall’Amburgo. La materializzazione di Sané a Monaco avrebbe quantomeno dato l’impressione di un Bayern pronto ad avviare un nuovo grande ciclo, partendo da un tentativo di successione per i due giocatori-simbolo dell’ultimo decennio. Adesso, invece, il club bavarese dovrà ricostruire di nuovo la sua strategia. Nel breve e nel lungo termine. Non sarà facile, soprattutto a causa del contesto finanziario e competitivo in cui operano la società e la squadra, per costrizione ma anche per scelta.

La delusione dei giocatori del Bayern dopo la sconfitta contro il Borussia Dortmund in Supercoppa di Germania. I bavaresi erano reduci da 3 successi consecutivi nel torneo (Ina Fassbender/AFP/Getty Images)

La realtà racconta di un Bayern a cui manca ancora troppa qualità assoluta rispetto alle altre big europee. Secondo gli algoritmi di Transfermarkt, la rosa dei bavaresi ha un valore totale di 789,65 milioni di euro, solo il decimo più alto tra quelle dei club già qualificati al tabellone principale della prossima Champions League. Giusto per chiarire le distanze: Manchester City e Barcellona comandano questa particolare graduatoria con due organici dal valore complessivo di 2,53 miliardi di euro (1,27 per i Citizens, 1,26 per i catalani). Da questo dato si evince come il modello di gestione sportiva del Bayern sia diventato anacronistico, soprattutto se l’obiettivo è quello di competere anche fuori dalla Bundesliga. Proprio il rapporto con il contesto domestico rappresenta il grande equivoco che ha anestetizzato il rinnovamento del club: la squadra costruita da van Gaal ed Heynckes, perfezionata poi da Pep Guardiola, è riuscita a stabilizzarsi nell’élite europea e a vincere gli ultimi 7 campionati, rinforzandosi ogni anno con acquisti oculati – soprattutto i migliori giovani allevati dalle altre squadre di Bundes.

Solo che l’ultima generazione di talenti tedeschi non è all’altezza di quella precedente, e nel frattempo gli stessi club che sono stati saccheggiati dal Bayern non hanno incrementato la loro spesa sul mercato, frenati da un modello finanziario stringente, che in pratica costringe a puntare sulla valorizzazione dei giovani piuttosto che su calciatori affermati. Così la rosa dei bavaresi è diventata un blocco ibrido, senza un’identità chiara, definita: da una parte c’erano e/o ci sono elementi troppo vecchi per poter ancora essere determinanti, soprattutto in campo internazionale; dall’altra ci sono giovani di talento non ancora in grado di imporsi in maniera definitiva. Il dominio interno è proseguito più per l’inconsistenza degli avversari che per meriti tecnici e gestionali del Bayern, ma nel frattempo le squadre europee più ricche hanno pensato e attuato progetti di ampio respiro, hanno aumentato gli investimenti, hanno attratto e acquistato i migliori giocatori. Secondo un articolo pubblicato dall’edizione tedesca di Focus, la difficoltà del Bayern sul calciomercato sarebbero dovute a motivazioni economiche e di contesto competitivo, ma anche al problema della lingua: «I grandi fuoriclasse internazionali, soprattutto i sudamericani, preferiscono la Spagna o l’Italia per non dover imparare il tedesco, una lingua diversa o troppo diversa da quella che conoscono. Oppure scelgono la Premier per una questione di salari e appeal superiori rispetto alla Bundesliga».

Niko Kovac sta per iniziare la sua seconda stagione alla guida del Bayern Monaco. Prima ha allenato la Nazionale croata e l’Eintracht Francoforte, con cui ha vinto la Coppa di Germania 2018 (Alexander Hassenstein/Getty Images for AUDI)

Il Bayern è stato sorpassato dal tempo, non è stato stimolato al cambiamento dal sistema calcistico tedesco e non ha trovato la strategia giusta per reagire al mancato auto-aggiornamento: le parole di Hoeness in merito ai grandi investimenti sul mercato erano realistiche, il club bavarese ha il quarto fatturato d’Europa secondo le stime di Deloitte (629 milioni di euro) e una situazione finanziaria solida – l’ultimo bilancio si è chiuso con un attivo di 29 milioni di euro. Insomma, le risorse per aumentare il valore tecnico della squadra ci sono eccome, ma sembrano mancare le idee e il contesto per fare questo passo verso il futuro. L’ultimo grande Bayern è sfiorito e un progetto nuovo e più moderno fatica a nascere, o anche solo a individuare una figura carismatica da cui ripartire.

Sané sarebbe stato l’uomo giusto, forse da solo non sarebbe bastato ma avrebbe comunque rappresentato un primo pilastro su cui edificare la squadra del futuro. Forse non è un caso che solo dopo il suo infortunio i media abbiano snocciolato i nomi di Bale e Coutinho, solo che Kovac e i suoi giocatori sono ormai pronti a iniziare la Bundesliga – contro l’Hertha Berlino –, e lo faranno tra mille incognite, anzi con la sensazione che l’eventuale arrivo di un grande fuoriclasse, da qui alla fine del mercato, possa essere frutto dell’improvvisazione, dell’ansia, piuttosto che una scelta pianificata all’interno di una strategia chiara, definitiva. Quello che oggi servirebbe al Bayern, più di ogni altra cosa.