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Tre cose sulla quarta giornata di Serie A

Il centrocampo dell'Inter, l'impatto di Llorente, le incertezze della middle class.

Il centrocampo dell’Inter è una rivelazione

Il risultato e le sensazioni del derby hanno sancito, qualora ce ne fosse ancora bisogno, come Inter e Milan siano due squadre con obiettivi differenti, perché vivono due progetti che non sono allo stesso stadio. L’Inter e Conte sono più avanti, basta leggere i numeri: 4 vittorie su 4 partite di campionato, un solo gol subito, una sola partita negativa nella prestazione e nel risultato – seppur potenzialmente determinante per il cammino europeo –, in Champions contro lo Slavia Praga. La nuova edizione della squadra nerazzurra è già un brand calcistico riconoscibile, il 23 settembre si può parlare di una “Inter-di-Conte” con caratteristiche definite: difesa fortissima, già imperniata sulla leadership di Godín; Lukaku essenziale ed efficiente in attacco, poi c’è l’intesa con Lautaro che promette bene, pur essendo ancora in via di sviluppo; infine l’ottimo momento del centrocampo, e se vogliamo questa è la vera sorpresa, perché in qualche modo cancella le incognite della vigilia. Quello di mezzo era il reparto su cui c’erano i maggiori dubbi, perché c’erano da inserire i nuovi acquisti e quindi andavano verificati gli incastri. Le risposte sono state positive: Brozovic è perfettamente a suo agio nel ruolo di centromediano, fa girare la squadra, detta i tempi, è perfetto nella gestione del pallone ma anche della fase difensiva. In più, ha trovato anche il suo primo gol nel derby, anche se un po’ fortuito. Accanto al croato, Conte ha scelto di puntare soprattutto su Stefano Sensi. La risposta è stata ottima, l’ex Sassuolo si è imposto per qualità e soprattutto personalità, non ha patito l’accesso a un livello superiore, anzi sembra essersi esaltato in questo upgrade. Nel derby si sono visti anche gli sprazzi del miglior Barella, decisivo in occasione del secondo gol. L’ex Cagliari è ancora in fase di rodaggio, ma sembra il complemento perfetto per i suoi due compagni di reparto, grazie al suo dinamismo e a una qualità non banale nel trattamento del pallone. Infine, gli esterni: D’Ambrosio e Asamoah hanno disputato una partita perfettamente funzionale al gioco avvolgente e intenso di Conte, hanno offerto uno scarico continuo sugli esterni, sono stati sempre presenti in fase difensiva e hanno creato buone connessioni con Barella e Sensi. Sì, ancora loro: da sempre le mezzali sono fondamentali nel gioco di Conte, anche all’Inter sta avvenendo la stessa cosa, anche se siamo solo all’inizio.

Barella e Leão a contrasto durante il derby di sabato sera: per l’ex Cagliari, secondo match consecutivo da titolare in campionato (Miguel Medina/AFP/Getty Images)

 

L’impatto di Fernando Llorente, inatteso o forse no

Tre gol e un assist in 133 minuti di gioco tra campionato e Champions League. Basterebbero i numeri, questi numeri, perché si possa parlare di Fernando Llorente al Napoli come un’operazione indovinata. In realtà, il termine corretto non è “indovinata”, è più giusto dire che il centravanti basco sta rispettando le attese, sta facendo ciò per cui è stato acquistato. Non è solo un discorso di “attaccante di scorta”, il fatto è che Llorente offre un’alternativa numerica e soprattutto tattica ad Ancelotti. Nel secondo tempo (come contro Sampdoria e Liverpool) o anche dall’inizio (come a Lecce), il tecnico emiliano può contare su un giocatore in più rispetto allo scorso anno, che ha un profilo differente rispetto a Milik – e anche complementare con le caratteristiche del polacco –, ma anche rispetto a Mertens, rispetto a Lozano e da tutti gli altri elementi offensivi della rosa. Con l’ex Tottenham in campo, il Napoli può attaccare in maniera diversa, magari utilizzando lo strumento del lancio lungo per scavalcare il centrocampo; e poi c’è un uomo in più in area di rigore, una punta pura, meno associativa di Milik e quindi inevitabilmente più presente e più lucido in fase conclusiva. Da questo punto di vista, i tre gol realizzati in una settimana sono emblematici: un rimpallo sfortunato per van Dijk, un tiro di Milik smorzato da un difensore del Lecce e una conclusione di Insigne respinta da Gabriel, tutte queste situazioni sono finite con l’esultanza di Llorente. Se ci aggiungiamo un’altra palla sporca domata in piena area di rigore e offerta a Mertens per il gol del 2-0 contro la Sampdoria, il quadro che viene fuori è quello dell’elemento utile ed efficace in diverse situazioni, dell’attaccante che il Napoli cercava per perfezionare l’organico, per allungarlo senza stravolgere le gerarchie. L’impatto di Llorente forse è andato oltre le più rosee aspettative in termini di quantità e qualità e immediatezza del rendimento, ma il senso del suo arrivo in azzurro era proprio questo, sarà proprio questo.

Il primo gol di Llorente a Lecce

Le incertezze della middle class

La classifica dice Inter, Juventus, Napoli. Poi la Roma e la Lazio, con il Milan a inseguire. Le gerarchie di questo inizio di stagione sono cristallizzate rispetto alle previsioni iniziali, certo i rossoneri di Giampaolo non hanno iniziato bene, ma hanno solo due punti di distacco dalla Roma. Nel frattempo, però, nessuno è sembrato in grado di prendersi uno spazio maggiore rispetto ai pronostici della vigilia: la stessa Atalanta, per dire, ha perso cinque punti contro Torino e Fiorentina, anzi la partita contro i viola è stata pareggiata solo nei minuti di recupero del secondo tempo. L’andamento degli orobici è una cartina al tornasole rispetto all’incertezza che regna nella media borghesia della Serie A. Prendiamo il Torino: dopo un ottimo inizio, la squadra di Mazzarri ha perso contro il Lecce in casa e poi a Genova contro la Sampdoria. Due stop inattesi, che mostrano come la squadra granata sia ancora in fase di costruzione e rodaggio, nonostante la continuità progettuale assicurata da Cairo sul calciomercato. È come se non esistesse una formula giusta per accedere a un livello superiore: anche chi ha cambiato molto, pensiamo per esempio a Fiorentina e Cagliari, non ha ancora trovato la sua reale identità. I viola hanno dovuto fare i conti con un calendario tremendo – hanno affrontato Juventus, Napoli e Atalanta, che componevano il podio dell’ultima Serie A –, i sardi hanno perso contro Brescia e Inter, poi però hanno battuto Parma e Genoa. Un’altalena di risultati che ha coinvolto anche il Genoa e il Bologna, e che ha portato a una classifica che sembra già spezzata in due, forse non nei numeri ma sicuramente nelle sensazioni. Le prossime partite, a iniziare dal turno infrasettimanale, serviranno come scrematura: Roma-Atalanta ci dirà se i bergamaschi si sono ripresi dalla batosta di Champions; Fiorentina-Sampdoria sarà uno scontro tra grandi deluse che provano a uscire dalle sabbie mobili della bassa classifica; Parma-Sassuolo potrebbe lanciare la squadra di De Zerbi (la più divertente della middle class, secondo miglior attacco con 10 gol) verso l’alto o anche ricacciarla giù, in un limbo da cui si fa sempre più fatica a uscire.

La vittoria del Sassuolo contro la Spal, firmata da Caputo e Duncan