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Ada Hegerberg, calciatrice innanzitutto

Di lei si è parlato per i commenti sessisti ricevuti durante la consegna del Pallone d'Oro, ma è soprattutto una calciatrice che può ridefinire i confini del calcio femminile.

Di Ada Hegerberg il grande pubblico ha probabilmente in mente soltanto due cose: un “No” leggermente imbarazzato, subito prima di scendere dal palco, Pallone d’Oro tra le mani, in seguito a una bizzarra domanda sulle sue abilità di ballerina; e poi la sua assenza ai Mondiali 2019, cioè i Mondiali che dovevano presentare al mondo il meglio del calcio femminile ma da cui, per protesta, la miglior calciatrice al mondo aveva deciso di tenersi a distanza.

Pochi, invece, hanno presente istantanee del suo gioco, dei suoi gol, della sua carriera come sportiva. Il 16 ottobre, con la doppietta segnata alle danesi del Fortuna Hjørring, ha raggiunto quota 51 reti in Champions League, eguagliando il record della tedesca Anja Mittag, ritiratasi a 34 anni la scorsa estate: Hegerberg ha esattamente dieci anni in meno di Mittag, e di partite nella massima competizione europea per club ne ha giocate appena 49, per cui è quasi certo che il record della tedesca sia destinato a essere pesantemente ritoccato. Eppure, l’indomani mattina pochissimi siti sportivi ne parlavano.

Se c’è un modo per notare la differenza tra il calcio femminile e quello maschile, è guardare a come la stampa ne parla. Anche oggi, nella fase moderna del calcio delle donne, la maggior parte degli articoli riguardano l’impegno sociale delle atlete, le loro battaglie sull’equal pay, il riconoscimento degli stessi diritti dei colleghi uomini. Di Hegerberg, infatti, s’è parlato soprattutto per la polemica che l’ha portata ad abbandonare la nazionale norvegese, rea di investire troppo poco nel settore femminile. La dimensione tecnica, puramente sportiva, delle calciatrici viene però spesso ignorata.

E dire che ignorare Ada Hegerberg sarebbe come ignorare Cristiano Ronaldo. Messa da parte l’aura da superstar mondiale del portoghese, i punti di contatto tra i due non sono pochi: Hegerberg, come Ronaldo, proviene da un luogo remoto delle mappe, non dalla calda isola di Madeira ma dalla fredda Sunndalsøra, un borgo rurale di 7mila abitanti posto su un fiordo nel nord-est del Paese. Quando i suoi genitori Stein e Gerd, entrambi calciatori in gioventù, si sono accorti delle sue capacità – e di quelle della sorella maggiore Andrine, attualmente alla Roma – hanno intrapreso un coraggioso trasferimento di 470 km verso sud, fino a Kolbotn, sobborgo di Oslo e sede di una delle principali squadre norvegesi.

Con la maglia del Lione, Hegerberg ha vinto le ultime cinque edizioni del campionato francese e le ultime quattro della Champions League (Laszlo Szirtesi/Getty Images)

Talvolta, Hegerberg ha raccontato il suo ambientamento al sud, le iniziali difficoltà dovute alla mentalità provinciale e al suo buffo accento, storie simili a quelle che riguardano i primi tempi di Ronaldo a Lisbona, nell’Academia dello Sporting. Per entrambi è stata la dedizione al calcio a farli integrare in città: essendo cresciuta in una famiglia di sportivi, Hegerberg ha iniziato ad allenarsi duramente fin da bambina, sotto la guida del padre, che faceva correre e saltare lei e la sorella finché non erano esauste, per metterle a confronto con i loro limiti. Quando dovevano andare all’allenamento con il club, Stein e Gerd dicevano a entrambe che dovevano farlo da sole, a piedi o in bici: “Se non è importante per te, allora non ci andare” era il motto di famiglia.

Questo ha fatto sì che Ada crescesse non solo fisicamente, ma anche di testa. La sua maturità mentale è sempre andata di pari passo con quella tecnica: a 15 anni ha esordito nella massima divisione norvegese; a 16 appena compiuti ha realizzato la più giovane tripletta della storia del calcio norvegese in appena sette minuti di gioco. A 17 anni, dopo il passaggio allo Stabæk, ha trovato la sua piena dimensione come centravanti, divenendo la miglior realizzatrice del campionato con 25 reti segnate in sole 18 partite, siglandone cinque tutte assieme in un unico match. È vero che non ha senso fare paragoni con i colleghi maschi, ma alla sua età Rune Bratseth – che è considerato il più forte calciatore norvegese del Novecento e giocava in un campionato non più competitivo di quello femminile attuale – non aveva ancora esordito in prima squadra.

Osservando una carrellata dei suoi migliori gol in carriera, è facile notare come la maggior parte di essi siano avvenuti in prossimità dell’area piccola, di testa o molte volte d’opportunismo, su ribattute difensive: il tipico lavoro del centravanti. Ma assistendo a una partita intera o ricercando video meno noti in rete, si scopre anche il suo straordinario bagaglio tecnico: ad esempio, in occasione della rete del 4-0 sul Barcellona nell’ultima finale di Champions, quando riceve palla sulla trequarti, dribbla secca Mapi León con un tocco elegante, per poi aprire d’esterno per Lucy Bronze; Hegerberg si stacca dalla marcatura e si allarga leggermente a sinistra, puntando l’area e sfuggendo all’occhio della telecamera, per poi piombare nell’area piccola e concludere a rete l’azione che lei stessa aveva ispirato. No, non proprio nel repertorio di un centravanti classico.

Gli anni a Lione hanno segnato la sua definitiva maturazione tecnica, trasformandola in un’attaccante completa, capace di svariare sul fronte offensivo e ricoprire quasi qualsiasi ruolo. Un altro punto di contatto con Ronaldo, che ai tempi di Manchester smise di essere solo una brillante ala destra per diventare la punta totale che è oggi. Entrambi hanno saputo costruire i propri successi sportivi su una superiorità fisica e tecnica che li rende semplicemente immarcabili, giocatori unici nel loro genere, prototipi dell’attaccante perfetto.

Ma l’eccellenza può essere tanto un dono quanto un guaio. Hegerberg è il meglio che il calcio femminile possa offrire, e pertanto richiede il meglio da ciò che le sta attorno. Il che non rappresenta un problema a Lione e, in generale, in Francia, dove da un po’ di anni il calcio femminile ha raggiunto un livello organizzativo pari a quello maschile, ma può esserlo in Norvegia. Perché alla fine si torna sempre lì: nell’estate del 2017, a soli 22 anni, Ada Hegerberg ha detto addio alla Nazionale, e lo ha fatto in maniera definitiva, nonostante la Norvegia sia uno dei Paesi con la maggiore tradizione di calcio femminile e venga considerato un modello piuttosto positivo, tra i primi ad aver equiparato i compensi della selezione dei maschi e di quella delle donne.

Ma per Hegerberg questo non è abbastanza, e nelle risposte alle sempre più frequenti domande sul perché abbia saltato i Mondiali ribadisce che secondo lei il Paese scandinavo ha ancora molta strada da fare. Questo atteggiamento le è costato non poche critiche, a partire dal ct Martin Sjögren e dal dirigente federale Nils Johan Semb, che hanno fatto intendere che la scelta di Hegerberg sarebbe dovuta al puro egoismo, alla delusione di giocare in una squadra non alla sua altezza.

Che sia un’individualista e un’ingrata, o piuttosto un’idealista e una radicale, Ada Hegerberg è di sicuro una personalità catalizzatrice, in campo e fuori. Quando si muove per l’area di rigore, esercita un’influenza su tutto ciò che la circonda, come se fosse un pianeta con la sua propria atmosfera, come se sospendesse il tempo nell’attesa della giocata decisiva. È un peccato che se ne parli così poco dal profilo tecnico, perché è davvero una meraviglia.