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Perché il Barcellona ha scelto proprio Quique Setién?

L'ex tecnico del Betis è in sintonia con l'identità tattica del club catalano.

La decisione del Barcellona di esonerare Ernesto Valverde dopo la sconfitta in Supercoppa contro l’Atlético Madrid è stata quantomeno controversa, e proprio per questo può essere letta in diversi modi. Intanto, parla la storia: il licenziamento di un allenatore a stagione in corso è un evento che non si è verificato spesso nell’universo blaugrana. L’ultimo tecnico a subire quest’onta era stato Louis van Gaal, nel gennaio 2003. I 17 anni passati dalla sostituzione dell’olandese con Radomir Antic sono un dato che indica una certa coerenza della società nelle sue scelte strategiche, che evidenzia come il Barça abbia seguito un progetto sempre lineare, sempre razionale. Non ci sono state grandi rotture o sterzate improvvise, anche perché in tutti questi anni al Barcellona le cose sono andate molto bene, in termini di risultati: dieci successi in campionato, sei in Copa del Rey, otto Supercoppe nazionali, e ovviamente quattro Champions League con tre Supercoppe Europee e altrettanti Mondiali per club.

Neanche i due anni e mezzo di Ernesto Valverde al Camp Nou sono andati così male: l’ex tecnico dell’Athletic Club ha vinto due campionati, una Copa del Rey e una Supercoppa, e veleggiava al primo posto nella Liga in corso di svolgimento. Allora la decisione di esonerare il tecnico dell’Extremadura per sostituirlo con Quique Setién deve essere spiegata andando al di là dei risultati. È un discorso di identità, termine che racchiude tutti gli elementi che rendono il Barcellona una squadra immediatamente riconoscibile in campo e fuori, e che proprio per i blaugrana ha un valore molto diverso rispetto a tutte le altre società del mondo. Un’identità che Valverde aveva iniziato a sfumare per assecondare i cambiamenti della sua rosa e l’evoluzione del calcio contemporaneo. Mentre la firma di Quique Setién fino al 2022 è una rottura netta all’interno di questa stagione, e un cambio di rotta nella progettazione della squadra che dovrebbe riportare il Barça dov’era prima. Diciamo a qualche anno fa, a quello stile che negli ultimi quindici anni ha reso il Barcellona il club che è oggi, a quel calcio celestiale che si è visto soprattutto durante la gestione di Pep Guardiola. Un calcio perfettamente sovrapponibile con le idee di Quique Setién. Nelle ultime due esperienze in Liga, sulle panchine di Las Palmas e Real Betis, l’allenatore cantabro (è nato a Santander il 27 settembre 1958) si è imposto come uno dei massimi rappresentanti di quell’idea di gioco riassunta nella locuzione “juego de posición”, che rimanda immediatamente al Barça disegnato negli anni Novanta da Cruijff e ripreso da van Gaal, Rijkaard, Guardiola, Luis Enrique, in modi più o meno accentuati, dopo di lui.

Setién ha firmato un contratto fino al 2022, ma secondo alcune indiscrezioni (riportate da Espn) ci sarebbero delle clausole che permetterebbero al Barça di interrompere in anticipo il rapporto di lavoro (Alex Caparros/Getty Images)

Quique Setién, tecnico cruijffiano se ce n’è uno (per sua stessa ammissione), ha quindi il compito di riportare il Barcellona lì dove ha raggiunto il suo apice più splendente, cioè in una sorta di iperuranio calcistico dettato dal gioco di posizione, da un controllo pressoché totale del possesso e da una fase difensiva aggressiva e rischiosa. Lo ha spiegato anche Rory Smith sul New York Times poco dopo l’esonero di Valverde, sottolineando che l’ormai ex tecnico del Barça, per quanto vincente, «non è stato in grado di costruire una squadra comparabile con quella della golden age blaugrana». Più che un discorso meramente estetico si tratta dunque di un discorso di riconoscibilità del brand. Un aspetto che al Barcellona conta almeno quanto i trofei, evidentemente. E che aveva caratterizzato il ciclo di Guardiola, che aveva reso il suo club non solo vincente, ma aveva determinato anche un’esplosione di bellezza, raffinatezza e stile, un modello perfettamente e immediatamente identificabile a tutte le latitudini.

In questo senso, l’ex allenatore del Betis è potenzialmente perfetto per riportare il Barellona lì dove vorrebbe essere. In un’intervista del 2018 a El País, Setién spiega la sua visione del gioco con due passaggi. Il primo: «Un calciatore vuole la palla, non correrle dietro. Nessuno gioca nel cortile della scuola per difendere o fare la diagonale. Diventi un calciatore perché ti piace la palla». Il secondo: «La parte più difficile è dover convincere chi pensa di non avere gli strumenti adatti a fare ciò che chiedo, come portieri e centrali. Gli chiedo sempre di scambiare il pallone, che se lo passino. Il mio compito è dargli opzioni muovendo il resto della squadra intorno a loro». Nell’ultima frase tocca un argomento che sarà fondamentale nelle prossime settimane: non solo il possesso palla in sé (che con il Betis aveva raggiunto vette altissime: nel 2018/19 ha avuto il 62,5% su 38 giornate, il dato più alto di una squadra di Liga dal 2005/06, Barcellona escluso), ma in particolare la costruzione dal basso della sua nuova squadra. Setién ha sempre posto un’attenzione maniacale al primo possesso, e non l’abbiamo ancora visto all’opera con la regola del passaggio in area su rinvio dal fondo – ha rescisso il contratto con il Betis al termine dell’ultima stagione. Allo stesso tempo la costruzione bassa stava diventando una criticità per i blaugrana, sempre più prevedibili e messi in difficoltà dagli avversari nel far uscire il pallone dalla difesa, nonostante le qualità dei calciatori.

Ma è l’intera rosa del Barça ad essere complessivamente più che adatta a riprodurre il sistema che proverà a disegnare Quique Setién. I difensori blaugrana hanno la capacità di difendere in campo aperto e – ovviamente – impostare l’azione da dietro, i centrocampisti sanno essere aggressivi sul portatore di palla avversario e conservare il possesso una volta riconquistato, così come gli attaccanti hanno la qualità necessaria per essere pericolosi anche contro un blocco difensivo compatto (scenario che verosimilmente si verificherà spesso). A proposito di attaccanti: Setién arriva proprio nel momento in cui il Barça ha perso Luis Suárez per infortunio, ma paradossalmente l’infortunio dell’uruguaiano potrebbe facilitare la transizione verso quello che dovrebbe essere il Barcellona dei prossimi anni, con un esterno a dare ampiezza e Griezmann a fare da centravanti di raccordo per dialogare con Messi molto più di quanto non abbia fatto fin qui.

L’ultima squadra allenata da Setién è stata il Betis Siviglia. Prima degli andalusi, ha guidato il Racing di Santander, l’Ejido, la Nazionale della Guinea Equatoriale, il Logroñés, il Lugo e il Las Palmas (Charlie Crowhurst/Getty Images)

Nonostante le affinità con il nuovo club, però, Setién arriva al Camp Nou con più di un interrogativo a cui trovare risposta. Da un lato c’è un Barcellona con esigenze altissime e immediate, non comparabili con quelle del Betis o di qualunque altra squadra già allenata in passato. E il tecnico cantabro potrebbe aver bisogno di tempo per ricalibrare l’approccio tattico della squadra: è vero che per filosofia e visione dello spogliatoio dovrebbe trovare la strada spianata, ma di tempo il Barça non ne ha e quindi non ne concede, soprattutto a stagione in corso. Dall’altro lato, è la prima volta che si ritrova a gestire un club di questo calibro, quindi anche uno spogliatoio abitato da veterani che si chiamano Piquè, Busquets, Messi. Quique Setién dovrà quindi dimostrare di potere imporre le sue idee anche ai massimi livelli della piramide calcistica. Soprattutto, dovrà riuscire a risollevare psicologicamente un gruppo che ha terribilmente bisogno di affermarsi in Champions League per ritrovare serenità, e che proprio nelle ultime due campagne europee si è fermato dopo sconfitte ai limiti del surreale contro Roma e Liverpool – tra l’altro si tratta delle uniche partite perse da Valverde su 28 di Champions League, e hanno avuto un peso enorme per chi ha deciso di esonerarlo.

È qui che si ritrova l’area più grigia della decisione presa dalla dirigenza catalana. Perché la scelta di sollevare dall’incarico el Txingurri per dare la panchina a Quique Setién ha una sua logica, è coerente e risponde a esigenze ben precise. Che sono esigenze di mercato, di brand, ma anche di campo. Solo che è stata presa con un tempismo difficile da comprendere e interpretare. Avrebbe avuto una sua ratio dopo la sconfitta di Liverpool o al termine della scorsa stagione, per dare al nuovo allenatore il tempo di lavorare con la squadra con calma e iniziare un percorso lungo (il contratto fino al 2022, se indica qualcosa, indica la volontà di iniziare un ciclo). Oppure poteva essere presa al termine di questa stagione, aspettando ancora un po’, lasciando che la parabola di Valverde si chiudesse in maniera naturale. Magari vincendo la terza Liga in tre anni. Che non sarebbe stato poi tanto male.