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Come Ronaldo è tornato a fare Ronaldo anche alla Juventus

La sua media gol è spaventosa.

Negli anni ci siamo abituati a raccontare Cristiano Ronaldo attraverso la lente della sua impressionante regolarità realizzativa. In questo senso le undici gare di campionato in cui è andato consecutivamente in gol – per un totale di 19 reti nelle ultime 15 partite disputate – sono la perfetta rappresentazione di quello standard di eccellenza cui eravamo talmente abituati da utilizzare il termine “crisi” per un inizio di stagione da 6 gol in 15 presenze.

Anzi, le due sostituzioni in quattro giorni contro Lokomotiv Mosca e Milan avevano addirittura fatto pensare che la Juventus fosse tranquillamente in grado di fare a meno di lui nei momenti chiave di partite decisive poi vinte grazie alle giocate del subentrato Dybala, di Higuaín o di Douglas Costa, ragionando secondo quel principio di “tutti utili nessuno indispensabile” totalmente in contrasto con l’epica del fuoriclasse portoghese.

Per questo la spiegazione di questo (e di quel) momento non è, non può essere, legata meramente ai numeri e alle statistiche ma alla valutazione di questi numeri e di queste statistiche all’interno di una centralità prepotente che si è finalmente manifestata per la prima volta da quando è in Italia: il gol di testa contro la Sampdoria, quello in solitaria contro la Roma in Coppa Italia, la tripletta al Cagliari, le 15 reti sulle 21 di una squadra in cerca di certezze e identità tra gennaio e febbraio, l’aver già segnato lo stesso numero di gol dello scorso campionato con tre mesi d’anticipo, hanno alimentato e stanno alimentando l’idea di un Ronaldo che ha cominciato “a fare il Ronaldo” anche con la maglia della Juventus. Qualcosa che, a un certo punto, non era scontato accadesse in considerazione di quelle difficoltà strutturali tali da non poter essere più mascherate dal valore assoluto delle singole individualità.

In quest’azione la Roma è sbilanciata, ma Ronaldo è incontenibile nella corsa e pure nella conclusione in diagonale di sinistro – che in teoria sarebbe il suo piede debole

Al di là del miglioramento della condizione fisica in vista del periodo decisivo della stagione, si tratta di sensazioni e percezioni traslate dal singolo al collettivo. Quando Sarri, dopo il 2-1 interno contro il Parma, dice che «il pensiero è che hai dentro un fuoriclasse, che a volte ti crea una piccola problematica, ma te ne risolve cento. Quindi è chiaro che tutto il resto dell’organizzazione deve girare intorno a lui», fa riferimento alla necessità di rendere CR7 il centro di gravità della sua Juve, anche a costo di sacrificare qualcosa in termini di principi e fluidità di gioco.

Un cambio di paradigma netto rispetto ai propositi di inizio 2019/2020, quando si pensava che i propositi del tecnico di aiutare il fuoriclasse portoghese a vincere il sesto Pallone d’oro si sarebbero sostanziati nell’esaltazione delle sue qualità individuali in un sistema dalle sovrastrutture codificate. Oggi, invece, la sensazione condivisa è quella di un Ronaldo troppo totalizzante e decisivo per poter anche solo pensare di sacrificarne caratteristiche e inclinazioni sull’altare di un cambiamento tattico e culturale che sta diventando sempre più difficile completare del tutto con il passare delle settimane e delle partite.

Quello realizzato contro la Sampdoria è probabilmente il più imperioso realizzato da Ronaldo da quando è approdato alla Juventus

Non è una questione di Juventus “Ronaldo-dipendente” o di Ronaldo talmente più grande della Juventus stessa da imporle una natura che non le sarebbe propria, ma di opportunità legate al momento e alle contingenze. Tattiche, tecniche e non solo: in teoria Ronaldo, anche per un discorso di gestione delle energie e del logorio fisico legato all’età, dovrebbe accettare l’idea di agire da punta centrale delimitando il suo raggio d’azione agli ultimi 15-20 metri del terreno di gioco; da quando è in Italia, invece, il portoghese ha ripreso ad attaccare l’ultimo terzo di campo partendo dall’esterno sinistro per poi accentrarsi e rientrare sul piede forte per una conclusione fronte porta.

E quando non è possibile creare la superiorità numerica in situazioni di attacco posizionale attraverso l’uno contro uno, la scelta è quella dell’attacco della profondità sfruttando i movimenti del centravanti, quelli a “tirare fuori” i centrali difensivi avversari o del dialogo (con e senza palla) con un compagno dalla cifra tecnica almeno comparabile.

Il primo dei due gol segnati contro il Parma arriva dopo un movimento a convergere dalla sinistra

Non è un caso, quindi, che il miglioramento del portoghese sia coinciso con l’inserimento in pianta stabile di Dybala tra i titolari: pensare, oggi, ad un “undici tipo” senza l’argentino – l’unico, in attesa dell’adeguata continuità di rendimento da parte di Ramsey, in grado di creare le giuste connessioni tra centrocampo e attacco – significherebbe pensare a una squadra dal potenziale offensivo limitato nonostante Ronaldo. Nonostante questo Ronaldo. «Parliamo di uno dei più grandi di tutti i tempi e vorrei aiutarlo a vincere il sesto Pallone d’oro. Può giusto migliorare a livello di reparto e movimenti, ma non a livello individuale» ha detto Sarri dopo il quarto di finale di Coppa Italia, riferendosi a un fuoriclasse che risulta comunque vincolato a condizioni e situazioni indipendenti dal suo stato di forma e che, però, si manifesta in tutta la sua unicità ogni volta in cui riesce a fare la differenza nonostante tutti, nonostante tutto.

La differenza, rispetto al passato più o meno recente, è che questo è accaduto con una regolarità minore, quasi “umana”, tale da far pensare a una normalizzazione che è stata poi progressivamente smentita dai fatti e dai numeri. Perché non c’è nulla di eccezionale in quello che sta accadendo dal primo dicembre a questa parte: si tratta di una normalità cui non eravamo abituati perché lui per primo non ci aveva ancora abituato. Fino ad ora.