ì

Ante Rebic si è preso la scena

Con poche mosse, Pioli l'ha messo al centro del suo Milan.

La fibrillazione dell’ambiente per l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic ha caratterizzato – e non poteva essere altrimenti – le prime settimane del Milan nel 2020. Lo svedese ha avuto un impatto evidente sul gioco della squadra, ma anche sul progetto tecnico del club rossonero: per lui, il Milan ha sacrificato uno degli investimenti più importanti del ciclo precedente, quel Krzysztof Piatek ceduto in Germania un anno dopo il suo arrivo dal Genoa. Allo stesso tempo, però, Pioli è riuscito a capire subito come valorizzare al meglio altri asset partendo dall’effetto-Ibra, dalle qualità intatte di un fuoriclasse ancora tale all’età di 38 anni. È un discorso che riguarda l’influenza emotiva di Zlatan, ma anche la nuova collocazione di calciatori su cui erano nati dei dubbi: Hakan Calhanoglu, Samu Castillejo, ma soprattutto Ante Rebic. Il croato è arrivato a Milano in un’operazione da 30 milioni complessivi tra prestito e diritto di riscatto, è stato l’ultimo colpo della sessione estiva di calciomercato ma anche un oggetto sconosciuto per i primi mesi della stagione.

Al suo arrivo, le probabilità che Rebic non si calasse a dovere nel progetto di Marco Giampaolo erano piuttosto alte. Oltre a essersi aggregato al Milan senza aver svolto il ritiro con la squadra e con qualche problema fisico, Rebic ha caratteristiche particolari: è un esterno d’attacco che sa unire grandi capacità atletiche alle doti di finalizzazione e dribbling. Piuttosto che adattare il suo sistema, Giampaolo preferì restare legato alle logiche del 4-3-1-2 che aveva sempre proposto in carriera, con un trequartista molto tecnico e risolutivo negli ultimi trenta metri, una figura di cui però era sprovvisto, e che inizialmente era stata individuata – con risultati alterni – in Suso. Rebic avrebbe potuto giocare in quello slot, l’aveva già fatto con efficacia sorprendente nelle stagioni all’Eintracht Francoforte, dove agiva dietro ad Haller e Jovic, con libertà di proporsi su entrambi i lati del campo, con l’obiettivo, in fase di non possesso, di pressare sempre il portatore di palla avversario, senza però eccellere nell’ultimo passaggio. Un limite evidente per ciò che Giampaolo aveva in mente. «Rebic dice che il suo ruolo è esterno alto a sinistra, ma con la Croazia ha fatto anche la punta e ha giocato a destra». Queste parole, pronunciate da Giampaolo in conferenza stampa prima della sfida di settembre col Verona, confermavano di fatto la difficoltà a ritagliargli una specifica modalità di utilizzo nel Milan 2019/20. Una condizione difficile, che ha pregiudicato anche il suo approccio emotivo alla nuova avventura: i 179 minuti complessivi giocati nei primi quattro mesi sono il dato più eloquente rispetto alla parte iniziale della stagione, soprattutto se si considera che il suo impiego, oggi, è già stato più che triplicato.

Da quando è al Milan, Rebic ha segnato sette gol e ha servito un assist decisivo in 17 partite, per un totale di 874 minuti di gioco in tutte le competizioni (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Ad ogni modo, il primo grande merito di Pioli nella ricostruzione di Ante Rebic è quello di aver capito le sue qualità e aver lavorato in particolare sul carattere del giocatore, preparandolo al momento in cui avrebbe dovuto concretamente responsabilizzarsi da un punto di vista tecnico. Anche con metodi duri, come le sei gare senza vedere il campo tra ottobre e dicembre. La nuova utilità del croato è maturata col tempo, e si è manifestata quando Rebic ha mostrato di aver cambiato atteggiamento, di aver sviluppato l’attitudine giusta. Le tre reti segnate a Udinese e Brescia, entrando sempre dalla panchina, in 77 minuti di gioco effettivo, erano la risposta attesa: da quel momento, l’ex Fiorentina è entrato nell’undici di partenza in tutte le sei gare successive disputate dai rossoneri tra campionato e Coppa Italia, segnando in quattro di queste e servendo un assist decisivo.

La svolta nell’assetto tattico del Milan è avvenuta quando Pioli è riuscito a bilanciare il tridente in fase offensiva e la presenza di quattro centrocampisti in fase passiva. Il nuovo modulo del Milan oscilla tra il 4-2-3-1 e il 4-4-1-1, con Calhanoglu che agisce dietro Ibrahimovic, più Rebic e Castillejo sulle ali. In questo modo è come se al tempo stesso si fossero fuse le caratteristiche dell’esterno d’attacco che aveva fatto vedere poco nelle precedenti esperienze in Italia con Fiorentina e Verona, ma molto bene ai Mondiali con la Croazia, e quelle della seconda punta che hanno fatto la sua fortuna in Germania.

In questo senso, i gol messi a referto finora sono esemplificativi, sono stati realizzati con movimenti diversi che certificano la varietà di soluzioni di cui Rebic dispone. Il preferito resta quello a staccarsi all’indietro all’altezza del dischetto del rigore, in questo modo sono arrivate le reti all’Udinese e quella al Torino: Rebic sfrutta il collasso dei difensori avversari su Ibrahimovic, però fa anche una scelta insolita, non attacca il secondo palo ma anticipa l’arrivo della palla nella zona centrale dell’area. A questi gol vanno aggiunte le marcature sotto porta contro Brescia e Inter, l’azione personale (conclusa di sinistro) sempre contro i friulani, la girata al volo in Coppa Italia contro la Juve e quella da puro opportunista contro la Fiorentina.

Un saggio breve di Ante Rebic sui movimenti ideali della seconda punta

La libertà di movimento è un altro concetto chiave per comprendere l’evoluzione di Rebic – e del Milan – negli ultimi mesi. Anche in questo senso, l’intesa con lo svedese è un aspetto da mettere necessariamente in evidenza. Rebic, infatti, individua e poi attacca perfettamente lo spazio migliore non appena il pallone arriva a Ibrahimovic, o nelle sue vicinanze. L’imprevedibilità e la qualità garantita dall’ex Juve e Inter nel momento in cui riceve spalle alla porta lascia in apprensione la difesa avversaria, che viene aggredita dal croato nel modo più efficace. La rapidità di cui è dotato aumenta il vantaggio nella corsa verso la porta, la facilità di calcio con entrambi i piedi gli permette di concludere sempre con una certa pericolosità, senza dover necessariamente scegliere una posizione o una situazione di gioco specifica.

Il gioco veloce e verticale di Rebic può tornare utile anche in fase di rifinitura

Lo ha confermato anche il commissario tecnico della nazionale croata, Zlatko Dalic, in un’intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport: «Avere un compagno di reparto come Ibrahimovic conta tanto perché attira le attenzioni dei difensori avversari e a Rebic restano più spazi, nei quali sa muoversi come gli chiede l’allenatore. E sa approfittarne come dimostrano gli ultimi cinque gol. L’importante è che resti nella posizione che gli è più congeniale: nelle ultime partite Pioli ha saputo utilizzarlo al meglio».

Le cifre non fanno altro che confermare come Ante Rebic sia uno dei protagonisti principali nella svolta che ha permesso al Milan di collezionare quindici punti in otto partite nell’anno in corso. A cominciare da un’impressionante media gol/minuti giocati: uno ogni 103 minuti di gioco, quarto dato migliore del campionato tra i calciatori che hanno segnato almeno cinque reti – in questa classifica, prima di Rebic, ci sono solo Muriel, Immobile e Cristiano Ronaldo. E se i gol vanno pesati più che contati, va evidenziato come nove dei quindici punti ottenuti dal Milan nel 2020 siano arrivati grazie a Rebic, un giocatore ricostruito e messo al centro del progetto con poche, semplici mosse.