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Allenare una Nazionale sarebbe la scelta giusta per Pep Guardiola?

Una riflessione di FourFourTwo sulle enormi differenze tra calcio di club e calcio delle rappresentative.

Siamo agli sgoccioli del break internazionale, tra poche ore si tornerà a parlare esclusivamente – o quasi – del calcio di club, anche perché all’orizzonte c’è la prima giornata di Champions League, la competizione più attesa e affascinante. Nelle ultime settimane, però, c’è stato un personaggio che ha saputo mettere insieme tutte queste discussioni, tutti questi temi: calcio di club, calcio per Nazionali, presente, passato e futuro. Si tratta di Pep Guardiola, che in un’intervista – poi rettificata dallo stesso manager catalano – ha spiegato che «al termine della sua esperienza al Manchester City, un momento che non è stato ancora scelto o individuato (qui la rettifica di Pep rispetto alla prima versione secondo cui avrebbe lasciato il City nel 2023), il prossimo passo potrebbe essere allenare una rappresentativa nazionale».

In tanti hanno detto la loro su queste affermazioni, ma una delle riflessioni più interessanti è stata pubblicata da FourFourTwo, a firma di Richard Jolly. Parla di Pep, ovviamente, ma parte anche da un altro aspetto interessante, ovvero dal fatto che essere e diventare commissari tecnici, oggi, è una scelta antistorica, forse anche un ripiego, per i grandi allenatori: «Non a caso», scrive Jolly, «in occasione degli ultimi Europei c’era un solo tecnico capace di vincere una Champions League nel corso della sua carriera, vale a dire Luis Enrique. In passato, invece, c’era maggiore equilibrio tra squadre di club e squadre nazionali, per quanto riguarda il blasone degli allenatori».

Il focus dell’articolo si sposta poi su Guardiola, a cui viene riconosciuto «un evidente romanticismo, nel senso che Pep è consapevole del fatto che rappresentare un intero paese è Mes que un Club, come gli è già successo a Barcellona». Allo stesso tempo, però, dovrebbe essere scoraggiato da alcune situazioni-condizioni ineludibili: «Innanzitutto, un perfezionista come lui non potrebbe apprezzare il fatto che le Nazionali lavorino così poco, in quanto squadre, sul campo di allenamento. Solo in occasione dei grandi tornei, Mondiali e/o Europei, i commissari tecnici possono mettere a punto una filosofia di gioco ricercata e sofisticata come quella di Guardiola. Inoltre, un gestore ossessivo come lui non potrebbe esercitare la sua pretesa di controllo, perché ormai le carriere dei giocatori sono troppo legate ai club, ai loro dirigenti, e quindi un allenatore pretenzioso come lui farebbe fatica a imporre la sua leadership».

Un altro aspetto importante di cui tener conto riguarda i metodi di reclutamento dei calciatori: «Guardiola ha delle esigenze specifiche e stringenti: non è facile essere e quindi trovare un difensore centrale o anche un attaccante adatto al suo stile di gioco. Al Barcellona è stato eccezionale ad assemblare una squadra con tantissimi giocatori cresciuti nel vivaio, al Bayern ha fatto esordire e ha valorizzato diversi giocatori tedeschi, ma in ogni caso ha sempre avuto a che fare con dirigenze pronte a soddisfare le sue richieste di mercato. Al Manchester City, poi, le risorse sono praticamente illimitate. Quando alleni una Nazionale, invece, il tuo bacino di talento è quello, non c’è la possibilità di ampliarlo se non con un lavoro didattico che richiede anni, decenni, per portare a dei risultati. Dal punto di vista tattico, non è detto che tutti i giocatori di un Paese possano essere quelli giusti per il suo calcio, e allora occorre che i ct siano più pragmatici e meno idealisti rispetto ai tecnici di squadre di club».

Infine, un piccolo “graffio” sull’idiosincrasia di Pep al successo in Champions League: «È dal 2011 che una squadra di Guardiola non vince la Champions League. Con le Nazionali, l’opportunità di vincere arriva ogni due anni, e solo con tornei a eliminazione diretta. Non c’è un campionato di 38 partite in cui far valere le proprie intuizioni sul lungo, è un terreno di scontro più immediato, più spietato, in cui l’overthinking – pensare troppo, e a soluzioni tattiche troppo complicate, per vincere le partite – può costare ancora di più, perché l’occasione successiva per trionfare arriverà molto tempo dopo. Guardiola non sembra possedere l’intuizione fulminante che è servita a Mancini o a Deschamps per vincere Euro 2020 e i Mondiali 2018, è un allenatore diverso, bravissimo a lavorare nel corso della stagione – anzi, è sicuramente il migliore – ma che rende meno nei tornei brevi, quelli che si decidono sulla singola partita. Insomma, sarebbe di certo interessante vedere una Nazionale guidata da Guardiola, ma se Pep diventasse commissario tecnico rischierebbe seriamente di non poter più essere se stesso. Sicuro che sia la scelta giusta?».