Diego, il rugby, l’orgoglio da ritrovare

Allenatore del Tolone, ma anche insegnante nel Mediobanca Rugby Camp. Intervista a Diego Dominguez: «Il rugby italiano è in mano a incompetenti, urge cambiare».

Diego Dominguez

È stato uno dei più grandi giocatori a vestire la maglia azzurra dell’Italrugby, e a 13 anni dal suo ritiro ancora si cerca il suo erede. Diego Dominguez, mediano d’apertura e incredibile cecchino, non è mai sparito dal mondo del rugby e proprio in questi mesi ha iniziato la sua ultima avventura: allenare i campioni d’Europa del Tolone.

Intanto questa estate, per il terzo anno consecutivo, Diego Dominguez sarà in mezzo a 50 ragazzini di 14 e 15 anni al Gruppo Mediobanca Rugby Camp, che si terrà all’Acqua Acetosa di Roma dal 27 giugno al 1 luglio. Da oggi 18 aprile, e fino al 18 maggio, sarà attivo un sito internet dove ci si può iscrivere e da dove verranno sorteggiati 25 ragazzi che parteciperanno al Camp, assieme a cinque ragazzi provenienti dalle due edizioni precedenti e, per la prima volta, a 20 ragazzi che vivono nelle Case Famiglia di Roma. Un’avventura fantastica per i giovanissimi rugbisti, ma anche per Diego: «Un Camp così supportato – finanziariamente e con energia da Mediobanca – è sempre un successo sportivo e sociale per 50 giovani, anzi per 50 famiglie. Sono orgoglioso di poter contribuire affinché questo messaggio passi, affinché sia forte e costante, e a far sì che ogni anno sia più bello e più forte. E mi auguro e mi aspetto che altri campioni che hanno avuto una bella carriera facciano cose del genere, perché per le nuove generazioni è fondamentale che noi trasmettiamo certe cose faccia a faccia».

Nonostante il momento difficile per il rugby italiano, come ricorda Diego Dominguez: «Purtroppo il rugby italiano in questo momento è gestito da gente che non ha le competenze, che non capisce il rugby moderno, che non capisce le strutture professionali e quelle amatoriali, come vanno gestite in rapporto l’uno con l’altro. Non hanno nessuna idea, sono incompetenti. Ok? Quando una persona gestisce una cosa ed è incompetente fa solo danni, ed è quello che sta succedendo. Hai risorse finanziarie, hai un movimento pieno di bambini, non vinci niente, perdi soldi tutti gli anni. Sei un pazzo, te ne devi andare. Se io non vincerò tra sei mesi a Tolone dovrò andare, ma non aspetterò che mi mandano via, me ne andrò io, devi avere questa onestà per riconoscere se sei capace o non sei capace di fare una cosa».

Diego Dominguez 1999
L’iconico calcio di Diego Dominguez, 1999. (Jamie McDonald /Allsport)

Spesso, però, gli insuccessi e i fallimenti vengono nascosti dietro ad alibi, con le colpe che si rimbalzano o si aggrappano alle cosiddette sconfitte onorevoli. Alibi che, però, l’ex numero 10 azzurro rimanda al mittente. «Come Nazionale prendi 40 punti a partita da anni, con l’Under 20 ne prendi altri 40 a partita da anni, le franchigie prendono 40 a partita da sempre, il tuo campionato non esiste, la tua formazione giovani è sempre più scadente, la tua formazione allenatori è sempre più scadente, non hai strutture sulle grandi città, ti sembra poco? Non sei competente per gestire questa macchina, te ne devi andare. Devono arrivare altri, che hanno saputo vivere questo passaggio dall’amatoriale al professionismo e senza conflitti d’interessi».

Tanti, forse troppi, i problemi che deve affrontare il rugby italiano. Ma, volendo fare un progetto serio, qual è per Diego Dominguez il primo cambiamento che deve avvenire nel rugby italiano? «Cambiare lo spirito per tornare a vincere. Oggi è trasmesso dalla gente sbagliata. 25 anni fa noi avevamo fame di conquistare qualcosa di importante come giocatori, ma c’era un backup molto più forte di quello di adesso, c’era un campionato italiano fortissimo, con migliaia di spettatori a ogni partita, oggi vai… sono cento, se ce li hai. Loro parlano, parlano, ma fuori stanno pensando come cacciarci dalle coppe, da tutto».

Eppure, in un passato anche recente, l’Italia ha ottenuto buoni risultati, come le due vittorie nel Sei Nazioni 2007 e quelle nel 2013. E sono entrati anche tanti soldi nel movimento. Quindi perché il sistema non funziona? «Vedi, un anno puoi avere i soldi, puoi vincere, ma un anno puoi non averli. Ma se hai lavorato per avere sempre nuove generazioni forti, se lavori bene nelle giovanili sarai sempre lì, sarai sempre competitivo. Oggi non lo sei. In Nuova Zelanda se Dan Carter si ritira ne hanno altri venti pronti; io mi sono ritirato nel 2003 e ancora si parla del nuovo Dominguez da trovare. Perché? Perché non hanno mai formato, non perché non esista. Nessuno li ha mai formati».

Diego Dominguez 2002
Nel 2002, con la maglia della Nazionale. (Dave Rogers/Getty Images)

E per ovviare a questo errore ci si è affidati a giocatori cresciuti all’estero se non addirittura stranieri. È più facile, costa meno? «Costa meno formarli in casa che prenderli fuori. Devi investire i soldi per creare una scuola di rugby forte. È come la scuola o l’università: ci sono scuole o università forti e altre meno forti, perché? Perché ci sono professori forti e hai il top come professori, o hai professori scarsi. L’università con buoni professori ti costa tanto, ma esci che sai. Chi è forte non è forte per caso, e per avere allenatori e giocatori forti vanno fatti investimenti».

Come i famosi Centri di formazioni e le Accademie? «Tutte queste Accademie hanno creato un male incredibile. Quando tu sei giovane dove è la tua identità, chi ti dà la tua prima formazione? La famiglia, la scuola, il club. Queste tre sono le cose fondamentali. Se tu, giovane, vieni portato via dal tuo club e dalla tua scuola, non va bene. Da nessuna parte del mondo succede questo. Conosco bene la formazione com’è all’estero. Hai tolto ai giovani la loro identità di club, dove impari a vivere per la tua squadra, per il tuo compagno, per il tuo club. Lo togli e lo metti in un posto senza identità. In Accademia devi entrare a 18 anni, dopo la scuola, quando sei più maturo. Con due Accademie di alta qualità e basta. Il resto sono soldi che vanno spesi sui club, sulla formazione, sul rugby dilettante e sulle strutture. Sono quelle che danno la certezza del futuro».

Diego Dominguez tutto ciò, come dicevamo, da alcuni mesi lo vede da lontano. Da Tolone, dove ora è assistente di Bernard Laporte, ma dove sarà head coach dal prossimo anno. E il suo presidente, Mourad Boudjellal, eccentrico e ricchissimo, è un personaggio unico nel mondo della palla ovale. Com’è lavorandoci assieme? «Lui ha sempre un colpo in anticipo rispetto agli altri. Ha cambiato la gestione e la maniera di comunicare nel rugby, ha rivoluzionato l’organizzazione interna. Lui tutti i giorni è lì. Io arrivo alle 8 e lui è lì, vado via alle 19 e lui è lì. Ha dato un’impronta che ora tutti gli altri club stanno copiando. Ora è un rugby sempre più comunicativo, sempre più bello. E ora io dovrò vincere, perché lui non è abituato a perdere. E dev’essere così. Se non vinci deve arrivare un altro». E Tolone? «Sono pazzi di rugby. Ci sono sempre migliaia di persone agli allenamenti, quando vai allo stadio nei trecento metri di strada fino allo spogliatoio ci sono 10mila persone tra cui passi in mezzo. Domenica scorsa c’erano 50mila persone per la partita».

Cristian Stoica, Diego Dominguez, Carlo Festuccia
Cristian Stoica, Diego Dominguez, Carlo Festuccia: era Italia-Irlanda del Sei Nazioni 2003. (Jamie McDonald/Getty Images)

Il rugby è cambiato tantissimo negli ultimi 25 anni. Cosa c’è di diverso oggi rispetto a quando Diego Dominguez è sbarcato in Italia nel 1990? «È cambiato molto fuori dal campo, non tanto in campo. I giocatori sono più fisici, più allenati, dedicano più ore di prima, ma soprattutto è cambiato fuori. È veramente una cosa bella, è un programma famigliare andare alle partite di rugby. Il campionato francese è un’esperienza di rugby veramente bellissima, e sono contento di poterla vivere. Ho imparato tanto in passato e imparerò tanto anche ora».

Torniamo in Italia. Da noi c’è molta delusione, molta rabbia per come va il rugby azzurro. Ma all’estero come vedono lo stato di salute del rugby italiano? «È un disastro. Un disastro. Un disastro. Io che ho dedicato 12 anni alla nazionale mi sento male quando sento parlare del rugby italiano fuori. Perché potremmo essere molto meglio di quanto siamo: dall’ingresso nel Sei Nazioni abbiamo avuto tanti soldi, tantissimi e potevamo avere molto di più. Ora, però, la gente anche da noi si è stufata e ci sono le elezioni. Spero arrivi qualcun altro, perché peggio di questo è impossibile».

 

Nell’immagine in evidenza, Diego Dominguez al Mayol stadium di Tolone, nel suo incarico da allenatore. (Bertrand Langlois/AFP/Getty Images)