La seconda vita di Kevin Strootman

La nuova versione dell'olandese dopo l'infortunio: meno fisico ed esplosivo, ma più completo. E terribilmente fondamentale nel piano tattico di Spalletti.

Roma-Cagliari, minuto 93. Osservare la tranquillità con la quale tutti i compagni di squadra reagiscono al brutto fallo di Joao Pedro su Kevin Strootman fa capire come il calvario dell’olandese sia solo un lontano ricordo. A terra, dolorante e con il medico della Roma intento a prestargli soccorso, nessun compagno gli si avvicina, provando a sincerarsi sulle sue condizioni. Dai loro sguardi sembra di leggerne il pensiero. «È un fallo di gioco, Kevin è un trattore. Non si è fatto niente». Non c’è preoccupazione. La fase di fraterna protezione per un compagno fragile è finita. Strootman è tornato un calciatore come tutti gli altri. Ma è lo stesso calciatore ammirato sotto la gestione di Rudi Garcia? Potrà mai tornare quello di un tempo? La risposta è semplice. No, quello Strootman non c’è più. Oggi non c’è un giocatore peggiore o meno forte rispetto al passato, semplicemente davanti abbiamo un calciatore nuovo. Psicologicamente, fisicamente ma soprattutto tatticamente.

«Oggi credo di essere una persona diversa», ha ammesso lui stesso qualche settimana fa al sito della Uefa. Tre operazioni al ginocchio in due anni che avrebbe segnato chiunque, riassunte da un pensiero semplice, tanto sincero quanto intimo. Un atteggiamento introspettivo nuovo rispetto all’animo “da duro” che lo ha sempre contraddistinto. Nelle sue parole c’è la consapevolezza di un percorso che ha modellato la percezione di se stesso: «Ho imparato a convivere con questo tipo di situazione, devo dimenticare quello che è successo e guardare avanti». Non c’è paura, quella è stata combattuta con forza fin dal recupero dal terzo intervento: «Quando mi allenavo con la Primavera nessuno voleva entrare su di me, erano sempre a distanza di due metri. Allora ho parlato con Alberto De Rossi e con i ragazzi e ho detto loro: “Se non entrate non tornerò mai in campo!”». L’animo da lottatore non è stato intaccato. La grinta che mostra in campo è la stessa di tre anni fa, ma probabilmente, è sparita quell’inconsapevole ed ingenua sicurezza di essere indistruttibile.

Il gol nel derby contro la Lazio

Testa ma anche fisico. I tre interventi al ginocchio gli hanno tolto il dinamismo e la forza prorompente degli inizi. Mettendo a confronto alcuni tackle del primo anno, con quelli di questa stagione, balza agli occhi una differenza sostanziale. L’olandese ha perso lo sprint sul primo passo e una certa esplosività in campo aperto. Ha una corsa più pesante, meno fluida e veloce rispetto a prima. Messa da parte la fallosità o meno dei tackle presi in esame, è chiaro come la forza muscolare che tre anni fa gli permetteva di rincorrere l’avversario e scegliere al meglio il tempo dell’intervento non sia più così preponderante nel gioco dell’olandese. E parlare ancora di carenza di forma o ritmo partita, a distanza di sei mesi dal pieno recupero fisico,  sarebbe tanto limitante quanto errato. Quella forza nelle gambe non c’è più. L’aggressività è rimasta la stessa, ma con un passo gara più lento ha la tendenza a risolvere i contrasti più rapidamente. Ecco spiegato l’aumento dei falli commessi e la proporzionale diminuzione di efficacia dei suoi interventi.  I numeri di questa stagione sono lì a confermarlo. Strootman effettua di media 5 contrasti a partita, ma ne vince solo il 38% e più di un intervento su due è falloso.

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Dati e prestazioni lo rendono un giocatore peggiore rispetto a tre anni fa? Assolutamente no. Strootman, forse consapevole di questa mancanza fisica, ha sviluppato altri punti di forza, meno visibili prima dell’infortunio, ma altrettanto importanti per quel lavoro difensivo che gli chiede Luciano Spalletti. L’olandese sopperisce ai limiti sopravvenuti con l’intelligenza tattica, affinando partita dopo partita la lettura anticipata delle linee di passaggio avversarie. Un’attitudine rischiosa, ma obbligata, per ridurre al minimo le sfide in velocità con gli avversari. Meglio un tentativo di intercetto errato, recuperabile da un compagno, che la responsabilità di un duello fisico perso, con conseguente inferiorità numerica. Qualità che si sposano perfettamente con il lavoro di De Rossi, più di posizione e di presenza fisica. Anche qui i numeri di questa stagione aiutano a comprendere meglio questa evoluzione: 37 intercetti in 19 partite. Una media di 1,94 a partita, quasi il doppio rispetto alla prima stagione. Un lavoro che lo porta spesso a trasformare l’azione da difensiva in offensiva. Non più con le caratteristiche da centrocampista “box to box” come un tempo, ma con il passaggio in verticale. Pallone intercettato e lancio in profondità per le due ali. Spesso e volentieri con palloni alti a scavalcare la linea avversaria. Causa l’arretramento posizionale voluto da Spalletti, il numero dei passaggi chiave si è abbassato dalla prima stagione (1.9 a partita) a quella odierna (1.1), così come i tiri verso la porta, crollati da 1.4 del 2013 a 0.5 di questa stagione. L’attitudine offensiva è rimasta, solo che viene centellinata a seconda della situazione di gioco che si viene a creare.

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Cambiamento fisico che ha portato Spalletti a ritagliare il ruolo perfetto per il “nuovo” Strootman. Con Garcia l’olandese era il prototipo del centrocampista completo. Posizionato come interno sinistro del centrocampo a 3, svolgeva indifferentemente entrambe le fasi. Sempre presente in fase difensiva, come primo schermo della difesa, non rinunciava all’apporto in fase offensiva. Con Pjanic creatore di gioco e De Rossi quinto difensore, Strootman era sempre il primo sostegno in fase di possesso. Totti arretrava per innescare le ali e lui si inseriva nello spazio creato dal capitano giallorosso, in un perenne pendolo tra la trequarti offensiva e quella difensiva. Perso questo dinamismo, è diventato un perfetto centrocampista di contenimento con compiti di impostazione. Un mix di De Rossi e Pjanic di “Garciana memoria”.

Che la Roma giochi con il 4-3-3 o con il 3-4-2-1, il duo di mediani davanti alla difesa è formato da lui e De Rossi. L’olandese è il primo ostacolo alla creazione di gioco avversario, sia in fase di pressing alto che di attesa e diventa la seconda scelta in fase di costruzione. La prima palla in uscita è sempre di Fazio, che ha l’obbligo di sviluppare l’azione sui “braccetti” laterali (come ama chiamarli Spalletti). Chiusa la via esterna, si passa dai piedi di Strootman, che diventa primo ricevitore nel caso in cui Fazio sia marcato. Scaricata palla sui terzini o innescate le ali, il compito di impostazione termina e il lavoro di supporto alla fase offensiva molto spesso si sviluppa solo in termini posizionali, accorciando i reparti e portando in avanti la linea mediana. I due assist e due gol in stagione esplicitano alla perfezione le tipologie di sostegno offensivo dell’olandese. L’assist contro l’Udinese nasce da una sollecitazione di Bruno Peres, che trovata sbarrata la strada per lo sviluppo dell’azione, invita Strootman ad appoggiare la trama offensiva, costringendo l’olandese a superare il suo limite posizionale nelle azioni manovrate.

 

Se il gol nel derby nasce da un pressing portato altissimo sul primo portatore della Lazio, la rete segnata al Cagliari esplicita tutta la sua intelligenza tattica. Appoggia l’azione fino alla trequarti, vede il varco in area creato dal movimento dei compagni e, complice la pigrizia in marcatura di Di Gennaro, si butta nello spazio, con Dzeko che lo premia con un assist al bacio. Contro il Bologna però c’è il vero sunto del nuovo corso dell’olandese. Con il possesso palla in mano agli avversari, Strootman legge in anticipo l’azione, capisce le intenzioni di impostazione di Helander ed intercetta il passaggio per Taider. Recuperata palla gli basta un tocco per innescare Salah, fornendo all’egiziano una palla solo da spingere in rete. Preparazione, aggressività, opportunità e nuove peculiarità. Quattro azioni per quattro caratteristiche del nuovo Strootman, tutte accompagnate dall’intatta intelligenza tattica e velocità di pensiero.

 

In sintesi lo Strootman che ci è stato riconsegnato quest’anno, dopo due anni di calvario, è un giocatore meno fisico ed esplosivo. Forse più completo, sicuramente fondamentale nello scacchiere tattico di questa Roma. A lui rinuncia (5 volte su 30 in stagione)  solo per infortunio o in partite con massiccio turnover. E l’esposizione mediatica, i toni e la dialettica utilizzata da Spalletti per protestare contro la squalifica di due giornate comminategli post derby spiegano al meglio quanto davvero conti oggi l’olandese per la Roma. Da un semplice «sono stupito per le due giornate», man mano che montava la rabbia e la consapevolezza di aver perso una colonna della squadra, l’allenatore di Certaldo alzava il tiro. Prima con un «se squalificano Strootman allora vale tutto», fino ad arrivare all’ormai famoso «chiedo la prova tv anche per Rudiger che ha simulato vendita di calzini», utilizzando la solita ironia pungente in riferimento alle frasi di Lulic. Alla fine la squalifica fu annullata, Strootman giocò contro la Juventus risultando anche uno dei migliori in campo. Ad oggi nessun centrocampista riesce a fare quello che fa l’olandese e per l’allenatore giallorosso è insostituibile. Continuare a chiedersi se tornerà mai il giocatore ammirato tre anni fa è inutile. Il cambiamento è sotto gli occhi di tutti, soprattutto quelli di Spalletti, forse l’unico a non porsi questa domanda. Ha conosciuto solo il “nuovo” Strootman e gli ha cucito addosso il vestito di miglior incontrista della Serie A.